Il Superbonus ha peggiorato molto i conti pubblici
Una nuova regola contabile dell'ISTAT ha avuto effetti concreti e ingenti sulla stima del rapporto tra deficit e PIL
Secondo dati di ISTAT sull’indebitamento delle amministrazioni pubbliche il Superbonus e gli altri bonus edilizi hanno peggiorato più del previsto i conti pubblici negli ultimi tre anni. A causa di un nuovo metodo di calcolo contabile, l’ISTAT ha stimato che il rapporto tra deficit e PIL è stato nel 2022 dell’8 per cento (contro il 5,6 previsto), nel 2021 del 9 per cento (contro il 7,2 previsto) e nel 2020 al 9,7 (contro il 9,5 stimato). Significa che nel giro di tre anni il deficit dello stato, ossia quanto ogni anno bisogna finanziare in più ricorrendo al debito pubblico, è stato molto peggiore delle attese. Per provare a dare una dimensione al ricalcolo: semplificando molto, se si sommano i vari incrementi percentuali, è stato complessivamente superiore di circa 4,4 punti percentuali di PIL, che sono pari a circa 80 miliardi di euro.
Il rapporto tra deficit e PIL misura la differenza tra entrate e uscite nel bilancio dello stato, quindi quella parte di bilancio che deve essere finanziata a debito perché eccede le tasse incassate. Se lo stato incassa 100 euro di tasse, ma ne spende 108, ci sono 8 euro che restano scoperti, e che quindi devono essere finanziati col debito. Per consuetudine, questo valore si mette in rapporto al Prodotto Interno Lordo, il reddito prodotto dal paese nell’anno, ossia la misura di quello che potenzialmente si usa per ripagarlo.
La revisione di ISTAT calcola un aumento del deficit di circa 80 miliardi in più rispetto alle previsioni. Non sono spese impreviste: questi 80 miliardi derivano da un differente modo di calcolare il deficit, che tuttavia ha grosse ripercussioni economiche ed è stato una delle principali ragioni per cui il governo ha bloccato gran parte dei crediti del Superbonus.
Semplificando molto, se prima della modifica contabile si spalmava su più anni il costo complessivo del rimborso dei crediti del Superbonus e degli altri bonus edilizi allo stato, ora invece li si contabilizza nei bilanci degli anni in cui quei rimborsi sono stati effettivamente emessi. Questo ha fatto sì che, a posteriori, il rapporto deficit/PIL tra il 2020 e il 2022 sia stato rivisto molto al rialzo.
Questo cambio di conteggio statistico ovviamente non cambia la sostanza. La quantità dei soldi spesi è sempre la stessa, ma cambia soltanto il modo in cui sono stati contabilizzati: se prima lo stato sperava di poterli spalmare in più anni, ora è costretto a metterli a bilancio tutti assieme, e questo ha provocato il peggioramento del deficit di 80 miliardi.
Il ricalcolo influisce in modo notevole sul bilancio dello stato e sulla percezione politica sul costo molto elevato dei bonus edilizi, soprattutto del Superbonus.
Bonus e crediti
Per capire l’importanza della questione serve ripercorrere il funzionamento della misura. Il Superbonus 110 per cento fu introdotto nel 2020 dal secondo governo di Giuseppe Conte, sostenuto dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle. Con questa misura il governo si impegnò a rimborsare, e anzi a corrispondere una piccola aggiunta (appunto: non un rimborso del 100 per cento ma uno del 110 per cento), una fascia molto ampia di lavori di ristrutturazione degli edifici residenziali, ville comprese.
Secondo i dati più recenti pubblicati dall’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, dal 2020 al 31 gennaio 2023 sono stati autorizzati 372.303 cantieri per un importo complessivo di 65,2 miliardi di euro e un costo a carico dello stato di 71,7 miliardi di euro in rimborsi imputabili solo al Superbonus. Se a questi si sommano anche gli altri bonus edilizi, come il bonus facciate e altri, la spesa complessiva raggiunge i 120 miliardi di euro.
Il superbonus poteva essere riscosso in tre diversi modi. Il più lineare e sicuro, l’unico rimasto dopo le modifiche, è la detrazione fiscale fatta direttamente ai proprietari delle case che pagano i lavori di tasca loro: i rimborsi vengono fatti dallo stato sotto forma di detrazione dalle tasse pagate negli anni successivi.
C’erano poi altre due possibilità, entrambe legate alla cosiddetta cessione del credito, che sono state eliminate dal governo la scorsa settimana perché giudicate ormai insostenibili. La prima era lo sconto in fattura applicato dai fornitori e dalle imprese, che potevano accollarsi il credito fiscale dei proprietari per recuperarlo successivamente dallo Stato sotto forma di detrazione fiscale oppure cedere ad altri intermediari per recuperare subito i soldi.
La terza opzione consentiva ai proprietari degli immobili di trasferire la detrazione fiscale a banche, enti o professionisti. In cambio della cessione del credito, chi ristruttura casa aveva la possibilità di avere subito i soldi per iniziare i lavori oppure per accedere a un mutuo o a un finanziamento. Chi voleva fare dei lavori di efficientamento energetico poteva pagare l’impresa, invece che una somma ipotetica di 10mila euro, con il credito d’imposta di 11mila euro. Chi comprava un credito di imposta faceva un investimento che poteva cedere a sua volta, per esempio a una banca o a un intermediario.
Secondo le nuove regole dell’ISTAT, che sono state a loro volta imposte da Eurostat, i crediti emessi dallo stato con il primo metodo, cioè la detrazione fiscale standard, possono essere spalmati su più anni di bilancio, perché lo stato programma di dover riscuotere meno tasse per alcuni anni e spalma l’onere nei successivi bilanci. Ma i crediti emessi con gli altri due metodi, che sono cedibili e di fatto sono stati usati come investimenti, devono essere contabilizzati non in vari anni come se fossero semplici detrazioni, ma interamente nell’anno in cui sono stati riscossi. Quindi l’effetto finanziario per lo stato si ha su un anno solo e non su vari anni.
Questo ha portato a una revisione notevole dei dati e del contraccolpo finanziario che il Superbonus e i bonus edilizi hanno avuto sul bilancio pubblico.
Come fa notare Luciano Capone sul Foglio dal punto di vista economico di fatto non cambia niente, perché il costo complessivo resta lo stesso. Ma le cose cambiano molto in ottica politica, perché il nuovo metodo di calcolo contabile obbliga il governo a mettere a bilancio tutta la spesa prevista per l’anno, senza poterla rateizzare nei bilanci successivi. Il che mostra immediatamente l’impatto notevole della misura. Anche per questo motivo, a metà febbraio il governo Meloni è intervenuto di urgenza per evitare che tale effetto sul deficit si verificasse anche per quest’anno.