Cosa sarà il PD di Elly Schlein
Superato lo stupore tra chi le era vicino e tra chi le si opponeva nel partito, la nuova segretaria dovrà prendere presto una serie di decisioni che definiranno subito il suo mandato
di Luca Misculin
All’interno del Partito Democratico il sentimento più diffuso dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie per scegliere la nuova segretaria è lo stupore. Nel comitato di Schlein, deputata 37enne dell’ala sinistra del partito che non aveva mai ricoperto alcuna carica interna, nessuno si aspettava di vincere. Nel comitato del suo avversario Stefano Bonaccini – presidente dell’Emilia-Romagna, una vita dentro al partito, vincitore con netto distacco della prima fase di voto nei circoli – nessuno si aspettava di perdere.
Un dirigente del partito che domenica sera ha seguito lo spoglio dei voti a Roma nella sede centrale del comitato Schlein, e che preferisce rimanere anonimo (una richiesta che accomuna tutte le persone dentro e fuori dal partito sentite dal Post in questi giorni), racconta di aver capito che le cose stavano andando molto meglio del previsto quando ha ricevuto i primi dati dalle grandi città.
«Le primarie del PD funzionano come le elezioni americane. Vince chi ottiene più delegati all’assemblea nazionale, e le regioni più popolose eleggono più delegati. Da Milano, Roma, Napoli e Palermo arrivavano numeri ottimi. Quando abbiamo ottenuto il dato sulla Sicilia rimaneva da capire solo il margine della vittoria». In realtà i dati indicavano una vittoria di Schlein anche prima, ma la sorpresa era tale che il comitato ci ha messo un paio d’ore per metabolizzarli. «Stiamo parlando di numeri che nemmeno Schlein si aspettava», spiega il dirigente.
Una sostenitrice di Schlein ha raccontato che stava seguendo lo spoglio sul divano di casa propria, in pigiama. Solo dopo avere letto i primi dati si è precipitata alla sede del comitato, inciampando per strada per la fretta. Una navigata ex parlamentare che ha sostenuto Bonaccini riferisce che i principali collaboratori dello sconfitto sono tuttora «sconvolti» dal risultato di domenica.
Il disorientamento durerà poco. Diverse persone dentro e fuori dal partito si aspettano che già nelle prossime settimane Schlein prenderà le prime decisioni che contano. Queste scelte daranno anche un’idea di come vorrà guidare il partito: e anche se per il momento non c’è molto di concreto, molti nel partito stanno facendo delle ipotesi ragionate su cosa potrebbe succedere.
Per prima cosa Schlein dovrà nominare la segreteria, cioè l’organo di governo del partito; indicare i nuovi capigruppo alla Camera, al Senato e al Parlamento Europeo; e i suoi delegati nella direzione nazionale, il principale organo di indirizzo politico del partito. Dovrà inoltre prendere le prime posizioni politiche sui principali temi di attualità, che indirizzeranno l’orientamento del resto del partito: dalla guerra in Ucraina al reddito di cittadinanza passando per la riforma delle concessioni balneari e l’attuazione del PNRR, per citare solo alcuni degli ultimi argomenti del dibattito politico.
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Secondo alcuni Schlein non avrà vita facile, soprattutto all’interno del partito. Dal punto di vista economico e amministrativo il PD continua ad avere debiti arretrati e 121 dipendenti in cassa integrazione, e finora nessun segretario si è preso carico di risolvere la questione della sua sostenibilità. Sul piano politico, Schlein rimane una segretaria «che i circoli non hanno votato, a cui un grosso pezzo dei sindaci e degli amministratori locali preferivano Bonaccini», spiega l’ex parlamentare. Non era mai successo nella storia del partito che il voto nelle primarie aperte ribaltasse quello nei circoli. E non era mai successo che il nuovo leader venisse eletto da una maggioranza così risicata: Schlein ha staccato Bonaccini di circa sette punti percentuali (53,75 per cento di voti contro 46,25), cioè poco più di 80mila voti su un milione circa di votanti.
Questi numeri – che peraltro sono forniti dal partito stesso, quindi vanno presi un po’ con le molle – potrebbero consegnare a Schlein una maggioranza piuttosto ridotta nella direzione nazionale, l’organo che fra le altre cose ha il potere di togliere di fatto la fiducia al leader del partito, per esempio respingendo una sua mozione. Secondo lo statuto del PD la direzione è composta da 124 persone, più una serie di figure che ne fanno parte di diritto come il tesoriere, i segretari regionali, il coordinatore della sezione giovanile, e così via. In una ipotetica situazione di difficoltà per Schlein, basterebbe insomma che 15-20 membri della direzione votassero con la minoranza, cioè l’opposizione interna, per togliere di fatto la fiducia alla nuova segretaria.
Altri, come il membro uscente della direzione che ha sostenuto Schlein alle primarie, tendono a minimizzare i rischi di scarsa stabilità interna, almeno nel breve-medio termine: a meno di sorprese, spiega, la maggioranza che sostiene Schlein controllerà circa il 57 per cento dei delegati dell’assemblea nazionale ma soprattutto il 60 per cento della direzione nazionale, cosa che dovrebbe metterla al riparo da scossoni, per ora.
Altri ancora notano come la condizione in cui Schlein prenderà il partito sarà più lineare e definita rispetto a molti suoi predecessori.
Schlein non dovrà giustificare il sostegno a un governo di coalizione, come per esempio capitato a Matteo Renzi, Nicola Zingaretti, Enrico Letta. Anzi, verosimilmente il PD rimarrà a lungo all’opposizione, dove grazie alla sua retorica piuttosto battagliera Schlein potrebbe trovarsi a suo agio da subito. Nell’immediato non dovrà nemmeno occuparsi del problematico tema delle alleanze: alle elezioni europee del maggio 2024 si vota con un sistema proporzionale puro che di fatto scoraggia le coalizioni. E almeno in un primo momento gli esperti di sondaggi e consenso politico si attendono un aumento di consensi per il PD, drenando per esempio quelli che negli ultimi mesi erano andati al M5S portato verso sinistra da Giuseppe Conte.
«Schlein ha sicuramente il vento dalla sua, anche per via della legittimazione che le ha dato la vittoria da sfavorita», spiega un consulente politico vicino al partito, che preferisce rimanere anonimo. «Ma dovrà saperlo usare bene, a partire dalla composizione della segreteria, che dovrà essere di qualità ma anche rappresentativa».
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Molti hanno fatto notare che la candidatura di Schlein era sostenuta da diversi pezzi grossi del recente passato del partito: dal segretario uscente Enrico Letta, almeno nella fase iniziale, passando da due potenti capi-corrente, cioè capi di fazioni interne al partito, come Dario Franceschini e Andrea Orlando. Oltre all’ex segretario Nicola Zingaretti, al vicesegretario Peppe Provenzano, e a figure più controverse come Goffredo Bettini e Francesco Boccia, due che nel PD hanno sempre contato molto ma perlopiù dietro le quinte, senza ottenere mai una vera e propria legittimazione elettorale.
Il timore di qualcuno è che questi dirigenti sfruttino la figura di Schlein per continuare a contare esattamente come oggi, nonostante diversi di loro siano responsabili diretti delle molte sconfitte accumulate dal partito negli anni recenti. Molti, dentro e fuori dal partito, osserveranno con curiosità il grado di autonomia che Schlein saprà ricavarsi: e faranno una prima valutazione sulle persone che finiranno nella nuova segreteria.
Nessuno ritiene che Franceschini, Orlando, Letta, Bettini e Zingaretti entreranno in prima persona nella segreteria Schlein: piuttosto, potrebbero indicare persone a loro vicine che appartengono alla stessa generazione di Schlein. Si fanno con insistenza i nomi di Marco Sarracino, 33enne segretario del PD a Napoli, molto vicino a Orlando quindi alla principale corrente di sinistra del partito, DEMS; di Michela Di Biase, 42enne appena eletta deputata, molto nota nel Lazio, nonché moglie di Franceschini; di Chiara Gribaudo e Chiara Braga, rispettivamente 41 e 43 anni, deputate arrivate alla terza e quarta legislatura. Braga è molto vicina a Franceschini, Gribaudo si è avvicinata molto a Schlein dopo essere uscita dai cosiddetti “giovani turchi”, una vecchia corrente dell’ala sinistra del partito, ormai quasi scomparsa.
Da questi nomi dovrebbe uscire anche il nuovo capogruppo alla Camera, mentre per il Senato si fa soprattutto il nome di Boccia. Non è chiaro cosa succederà al gruppo del PD al Parlamento Europeo, il cui mandato scadrà fra circa un anno. L’attuale capogruppo Brando Benifei era stato indicato da Zingaretti e alle primarie appena concluse aveva sostenuto Bonaccini, come del resto quasi tutti i 14 parlamentari europei del PD. L’unica fra loro che aveva sostenuto Schlein era stata Camilla Laureti, ex giornalista ed esperta di comunicazione, entrata in carica da poco più di un anno dopo la morte di David Sassoli.
L’ex membro della direzione che ha appoggiato Schlein sostiene che sarebbe un errore interpretare queste eventuali nomine come espressioni delle vecchie correnti. «C’è già stato e ci sarà un rimescolamento, le nuove aree politiche si formeranno attorno a Schlein o in opposizione a lei: l’area di Franceschini per esempio si è già spaccata, dato che lui ha sostenuto Schlein mentre persone a lui vicine come l’ex segretario Piero Fassino e la parlamentare europea Patrizia Toia stavano con Bonaccini».
Sul Foglio di martedì la rispettata cronista parlamentare Alessandra Sardoni ha scritto comunque che un’idea più precisa dell’approccio di Schlein potrebbe arrivare «non tanto dalla composizione della segreteria, che potrebbe essere anche popolata di volti nuovi, ma chissà se poi davvero influenti. Piuttosto da chi consiglierà la segretaria o chi già la consiglia». Ma su questo punto, ad oggi, si possono soltanto fare delle ipotesi.
Dal punto di vista politico, il consulente vicino al PD si aspetta già nelle prossime settimane «una forte discontinuità sui temi economici e sociali»: quindi uno spostamento a sinistra rispetto all’ultima segreteria di Enrico Letta ma più in generale di tutti i segretari che l’hanno preceduta. Con una maggiore attenzione sulle diseguaglianze e la povertà, e forse un impegno più netto per esempio sull’introduzione del salario minimo, su cui concordano anche il M5S e i partiti centristi.
Sul sostegno all’Ucraina, un tema su cui Schlein ha posizioni più sfumate rispetto a Letta, sembra che non cambierà molto, almeno nell’immediato: martedì Repubblica ha fatto notare che subito dopo la sua elezione Schlein ha spiegato a Letta e ai principali dirigenti del partito che la posizione del partito rimarrà la stessa, cioè di sostegno diplomatico e militare all’Ucraina per contrastare l’invasione russa. Secondo fonti a lei vicine riportate da Repubblica, Schlein chiederà inoltre un «maggiore coinvolgimento diplomatico di tutta l’Unione europea per un tavolo di pace e una contrarietà all’aumento lineare della spesa per armi nell’Unione Europea».
Schlein dovrà prendere alcune decisioni anche sulle imminenti elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia, in cui si vota ad aprile, e alle amministrative di maggio, che si terranno in circa 800 comuni (nessuno dei quali di primissimo piano). Ma a meno di situazioni particolarmente intricate Schlein dovrebbe lasciare ampia autonomia alle sezioni locali, che già oggi si stanno muovendo per definire alleanze e candidati.
Il bersaglio principale della segreteria di Schlein, almeno ad oggi, sono le elezioni europee. Al momento di fare le liste Schlein sarà in carica da un anno e avrà la possibilità di impostare la campagna elettorale, comporre le liste, orientare gli sforzi del partito per vincere le elezioni. Da quel risultato, e da come lo gestirà, dipenderà molto del suo mandato da segretaria.
«Viviamo un momento di grande entusiasmo, arriveranno persone nuove che vorranno militare nel partito, fare parte di questo cambiamento», prevede la sostenitrice di Schlein, quella che è inciampata per strada la notte della sua vittoria. «Poi arriverà il momento in cui questo entusiasmo si scontrerà con la realtà, con i compromessi, magari con la sconfitta. Come andrà a finire dipenderà dal contesto, dalle persone di cui si circonderà, e da come cambierà lei in questo nuovo ruolo».