La contestata assoluzione di un uomo accusato di stupro in Svezia
È stato processato per aver stuprato una bambina di 10 anni ma la sentenza si è concentrata sulla definizione di “snippa”, un eufemismo usato per i genitali femminili
La scorsa settimana, in Svezia, un uomo è stato assolto in secondo grado dall’accusa di aver stuprato due volte una bambina di dieci anni a causa della definizione della parola “snippa”, un eufemismo con cui in lingua svedese ci si riferisce in un modo anche infantile ai genitali femminili e che in italiano potrebbe essere tradotto con “patatina”. “Snippa” è il termine utilizzato dalla bambina per descrivere quanto ha subìto, ma la corte d’appello, nella sua sentenza di assoluzione, ha scritto che il dizionario svedese che ha consultato definisce la parola come “genitali esterni”: non è stato dunque possibile provare il reato contestato e cioè che durante l’abuso vi sia stata penetrazione. La sentenza sta facendo discutere molto e negli ultimi giorni sui social si è diffuso l’hashtag #JagVetVadEnSnippaÄr, “Io so che cos’è una snippa”.
Gli abusi al centro della sentenza sono avvenuti nell’estate del 2021 in una città nel sud della Svezia. Secondo il racconto della vittima, l’uomo aveva «infilato la mano dentro i suoi pantaloncini e le sue mutandine» e poi aveva «messo la mano sulla sua “snippa” e aveva introdotto un dito». Dopodiché l’uomo aveva portato la bambina in un’altra stanza e aveva ripetuto la violenza. In primo grado, nel settembre del 2022, l’uomo era stato condannato per aver stuprato due volte la minore. Aveva presentato ricorso e il 23 febbraio la corte d’appello di Göteborg lo ha assolto.
Il giornalista del quotidiano Aftonbladet che ha dato inizio alla discussione pubblica sul caso, Oisín Cantwell, ha spiegato che nella sentenza di appello la corte non ha messo in discussione il racconto della bambina. Ma per stabilire se l’unico reato contestato potesse essere dimostrato, cioè lo stupro, si è chiesto quale fosse l’esatto significato della parola “snippa” usata dalla bambina durante la sua testimonianza al pubblico ministero. E in assenza di informazioni più precise da parte della bambina stessa sul significato della parola o sulla sua percezione del significato della parola, ha deciso di ricorrere alla definizione data dal dizionario svedese. Così è arrivato alla conclusione che si trattasse di «un’espressione familiare per indicare i genitali esterni di una donna».
“Snippa”, per la corte di appello, non poteva dunque essere intesa come sinonimo di “vagina” e cioè come “il canale che mette in comunicazione la vulva con l’utero”. Non essendoci stata penetrazione, non c’è stata a loro parere nemmeno la configurazione del reato così come era stato contestato dal pubblico ministero. E il fatto che la bambina avesse affermato durante diversi colloqui che il dito «era entrato», ha scritto Oisín Cantwell, è un fatto che è stato completamente ignorato.
Dopo la sentenza, la madre della bambina ha inviato una nota al quotidiano Expressen dicendo che «dopotutto, il verdetto afferma che l’uomo è colpevole e che ha agito con intenzionalità. Poi la sentenza cambia e parla di cosa significhi la parola “snippa”. Inoltre, analizza fino a che punto l’uomo fosse entrato dentro di lei con il dito. È assolutamente folle. Come può accadere? Per me, per mia figlia e per la nostra famiglia, tutto questo è incredibilmente offensivo».
La sentenza di appello ha causato molte proteste e discussioni in Svezia, anche tra avvocati ed esperti legali che, in gran parte, hanno espresso indignazione verso la decisione della corte. L’avvocata della bambina, Agneta Carlquist, ha spiegato che c’è stata molta attenzione e cura nel raccogliere la testimonianza esatta e precisa di cosa la bambina aveva subìto, ma che «i bravi ragazzi della corte d’appello» evidentemente non hanno compreso una parola che tutti usano, «anche all’asilo».
Molti giornalisti e giornaliste hanno scritto in modo polemico che effettivamente i bambini di dieci anni non hanno avuto il tempo di fare un dottorato sull’origine e il significato storico e linguistico delle parole e che se la corte avesse consultato il dizionario dell’Accademia della lingua svedese invece che il dizionario svedese forse il verdetto sarebbe stato diverso. L’Accademia definisce “snippa” semplicemente come “genitali femminili”, senza specificare se esterni o interni.
La giornalista Linda Jerneck, su Expressen, si è chiesta se per i tribunali del paese i bambini e le bambine che hanno subito degli abusi sessuali debbano forse esprimersi con un linguaggio medico per essere creduti: «Non sorprende che i bambini non distinguano tra i genitali esterni e interni, ma che usino un’unica parola per tutto. In realtà, lo fanno anche molti adulti. Se una donna adulta avesse detto che le era stato infilato un dito nella figa, il tribunale avrebbe sentito lo stesso bisogno di chiedersi se si trattava davvero del “canale che collega i genitali esterni all’utero”? E se una persona avesse parlato di qualcosa che gli era stato ficcato nel culo, sarebbe stato ignorato per non aver usato il termine “anale”?». Forse, commenta Jerneck, «l’anatomia del corpo della bambina è particolarmente misteriosa per dei signori così anziani».
Parte della discussione, in Svezia, sta riguardando in effetti l’età, il sesso e l’inadeguatezza nel giudicare la violenza di genere della maggioranza dei giudici che componevano la corte: quattro di loro sono uomini e, in media, hanno poco più di 66 anni: «Questa è l’età media dei quattro giudici maschi che hanno avuto difficoltà a capire cosa sia una “snippa”», scrive Cantwell. La quinta giudice che componeva la corte era una donna trentenne, ed è stata l’unica che ha ritenuto inequivocabili le parole della bambina e che ha creduto fosse effettivamente vittima di uno stupro. Questa giudice ha dichiarato che sebbene la bambina non avesse spiegato con maggiore precisione il significato che aveva per lei la parola “snippa”, ha comunque riportato che il dito dell’uomo l’aveva penetrata.
Åke Thimfors, uno dei giudici della corte che ha assolto l’uomo, ha spiegato invece che è fondamentale, nell’emettere un giudizio, l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento del reato contestato e che tali prove devono essere stabilite oltre ogni ragionevole dubbio. L’accusa del pubblico ministero riguardava un unico e preciso reato, non altre tipologie di reati sessuali. E il reato contestato non è stato secondo lui sufficientemente dimostrato: «Non è stato possibile per noi fare ulteriori domande alla bambina su ciò che ha vissuto», ha detto, spiegando anche che il pubblico ministero avrebbe dovuto presentare ulteriori prove per poter arrivare a una condanna.
Cantwell conclude il suo articolo dicendo che forse «si sarebbe potuto fare un lavoro migliore», che forse la parola “snippa” «avrebbe dovuto essere spiegata durante il processo» e che forse si sarebbero dovuti contestare anche dei reati alternativi rispetto all’unico presentato, come ad esempio quello di molestie sessuali: «Ma in realtà è anche compito del presidente del tribunale chiedere chiarimenti se sorgono ambiguità». Il pubblico ministero dovrà ora decidere se impugnare la sentenza e portarla alla Corte Suprema.