La sfida per trovare il ghiaccio più vecchio, in Antartide
Una squadra di scienziati europei compete con altre sei di diversi paesi del mondo per ricostruire la storia climatica dell'ultimo milione e mezzo di anni
di Ludovica Lugli
È passato più di un secolo dalla sfida tra l’inglese Robert Scott e il norvegese Roald Amundsen per raggiungere per la prima volta il Polo Sud, ma l’Antartide è tuttora un territorio di competizione tra spedizioni di paesi diversi. L’obiettivo non è più mettere piede dove nessuno è mai arrivato prima, bensì ottenere il ghiaccio più vecchio che sia mai stato trovato in fondo alla calotta polare, risalente a un milione o un milione e mezzo di anni fa, e utilizzarlo per ricostruire la storia climatica passata della Terra e quindi prevedere meglio quella futura. Dal ghiaccio, e più precisamente dalla sua composizione chimica e dalle particelle e dalle sostanze presenti al suo interno, si possono ricavare infatti informazioni su com’era l’atmosfera ai tempi della sua formazione.
I gruppi di scienziati che stanno tentando l’impresa sono sette: uno australiano, uno giapponese, uno sudcoreano, uno cinese, uno russo, uno statunitense e uno europeo. Per arrivare al ghiaccio più antico devono scavare fori profondissimi nella calotta polare, l’enorme massa di ghiaccio che ricopre l’Antartide ed è spessa quasi tremila metri in alcuni punti, estraendone man mano dei cilindri, in gergo tecnico le “carote”: più si scende, più è vecchio il ghiaccio che si incontra.
Non è un’impresa semplice, anche perché non è sempre possibile lavorare sulla calotta. Le perforazioni si fanno solo durante l’estate antartica, tra fine novembre e fine gennaio, cioè nel periodo in cui c’è quasi sempre luce e fa meno freddo, e anche in queste condizioni la temperatura media si aggira intorno ai -35 °C. Per questo ci vorranno anni prima che si arrivi all’obiettivo finale e la competizione finisca.
Il carotaggio del progetto europeo ad esempio è iniziato nel 2021 e secondo le previsioni finirà nel 2026. Lo scorso 18 gennaio, ultimo giorno di perforazione della seconda campagna di lavoro, si è arrivati a una profondità di 808 metri, corrispondenti a ghiaccio vecchio circa 49.300 anni. Quando cadde la neve che lo formò, la nostra specie, l’Homo sapiens, viveva insieme ai cosiddetti uomini di Neanderthal (Homo neanderthalensis).
Il foro da cui sono stati estratti i cilindri di ghiaccio ha un diametro di soli 15 centimetri e in fotografia ha un aspetto piuttosto modesto se confrontato con l’ambizione del progetto che gli è stato costruito attorno, con gli sforzi necessari a portarlo avanti e con la sua profondità, quella attuale (808 metri appunto) e quella finale, da programma, cioè 2.700 metri.
Il gruppo di ricerca europeo riunisce scienziati di dieci paesi diversi ed è guidato dall’italiano Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. «La campagna di quest’anno è andata bene, meglio delle aspettative», racconta Barbante, che ha seguito i lavori dall’Italia. «Testavamo un nuovo carotiere quindi non eravamo sicuri di come sarebbe andata: secondo i più esperti saremmo arrivati solo a 600 metri di profondità».
Il progetto è stato finanziato con 11 milioni di euro dalla Commissione Europea e si chiama Beyond EPICA Oldest Ice, letteralmente “Oltre EPICA il ghiaccio più vecchio”. Deve il suo nome a EPICA, il precedente progetto europeo per lo studio del clima attraverso il ghiaccio antartico: acronimo di European Project for Ice Coring in Antarctica, “Progetto Europeo per il carotaggio di ghiaccio nell’Antartide”, si svolse dal 1996 al 2005 e permise di fare una ricostruzione della storia dell’atmosfera di 800mila anni, la più lunga mai ottenuta finora grazie al ghiaccio. Per avere un’idea di che periodo si tratta: 800mila anni fa è quando per la prima volta, per quel che sappiamo, degli ominidi antenati della nostra specie arrivarono in Italia.
Tra le altre cose EPICA era servito a scoprire che nell’atmosfera le attuali concentrazioni di anidride carbonica (CO2), il principale gas serra prodotto dalle attività umane, sono più alte quasi del 50 per cento rispetto alle concentrazioni massime degli ultimi 800mila anni.
Nel corso del Novecento la storia del clima terrestre è stata man mano compresa analizzando carote di sedimenti oceanici, cioè cilindri estratti dai fondali marini. Al loro interno si distinguono successivi strati di sostanze che si sono depositate nel corso del tempo, che si possono datare grazie al decadimento degli isotopi radioattivi – come il noto carbonio 14 usato in archeologia – presenti nelle rocce: l’analisi di questi strati e di ciò che contengono dà indicazioni sul livello del mare in epoche passate e su altri aspetti delle condizioni ambientali.
Allo studio dei sedimenti oceanici si è poi aggiunto quello delle carote di ghiaccio prelevate nei ghiacciai sulle montagne e dalle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide. Come ha spiegato Barbante nel suo libro Scritto nel ghiaccio. Viaggio nel clima che cambia (Il Mulino), quando nevica i fiocchi di neve inglobano particelle di polvere e possono assorbire sostanze presenti nell’aria, dunque in un certo senso registrano delle informazioni sulla sua composizione. I ghiacciai e le calotte glaciali sono grandi depositi di successive nevicate che non si sono mai fusi e per questo conservano queste informazioni per centinaia di migliaia di anni.
Nel centro dell’Antartide in particolare è presente ghiaccio antichissimo perché, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, la quantità di precipitazioni annuali è molto bassa, in media cadono solo 10 centimetri di neve in un anno. Quindi nei circa tremila metri di ghiaccio della calotta si susseguono centinaia di migliaia di strati di neve, poi trasformata in ghiaccio.
I primi strati sono più spessi, poi scendendo in profondità sono via via più sottili perché vengono compressi dal peso del ghiaccio sovrastante. C’è un limite all’antichità del ghiaccio più antico perché col passare del tempo gli strati più profondi e vicini alle rocce su cui si trova la calotta glaciale, che sono appunto quelli più vecchi, vengono spinti ai bordi della calotta, verso l’esterno, cioè in direzione dell’oceano. Tuttavia, almeno nei punti più spessi della calotta, si stima che in fondo si trovi del ghiaccio originato da nevicate di un milione e mezzo di anni fa.
È un’età molto più antica rispetto a quella che si può studiare grazie al ghiaccio dei ghiacciai delle Alpi: dato che sono molto meno spessi e sono formati da strati annuali più consistenti (ci nevica molto più che in Antartide) conservano al massimo ghiaccio vecchio di decine di migliaia di anni.
Beyond EPICA è iniziato ufficialmente nel 2019, quando furono annunciate le coordinate del punto in cui si sarebbe fatto il carotaggio. Si trova in un’area chiamata Little Dome C – i punti più alti della calotta antartica sono indicati come “dome”, “cupole”, perché hanno forme simili a quelle di panettoni – a 40 chilometri di distanza dalla base italo-francese Concordia, una delle poche strutture di ricerca dell’Antartide che sono usate tutto l’anno. È stato scelto per il particolare spessore della calotta polare in quel punto, tale da ipotizzare che il ghiaccio più profondo lì presente sia vecchio un milione e mezzo di anni, cioè risalente ai tempi in cui l’Homo erectus, un’antica specie umana, stava migrando dall’Africa orientale verso l’Europa e imparava a usare il fuoco.
Il momento in cui la squadra di Beyond EPICA è arrivata per la prima volta nel sito scelto per la perforazione e ha piantato la bandiera dell’Unione Europea, nel 2020:
«Ci vogliono circa tre ore per raggiungere il campo da Concordia se si viaggia con un gatto delle nevi», racconta ancora Barbante, «si fanno i 10 chilometri all’ora. Abbiamo anche un mezzo di emergenza, un pick-up Toyota Hilux con sei ruote motrici, che può arrivare in tre quarti d’ora». Il campo è piuttosto spartano ed è costruito attorno alla tenda di perforazione, una struttura temporanea lunga 26 metri, larga 8 e alta altrettanto che è stata costruita attorno al foro.
Come le altre tende – un’altra ad esempio ospita i ricercatori quando dormono – si trova al campo anche ora che è disabitato, mentre molte altre sue parti sono portate a Concordia durante l’inverno antartico. «Rimangono tutti i container dove stocchiamo il materiale, rimane tutta l’attrezzatura di perforazione, quella più pesante. A Concordia portiamo ad esempio i gruppi elettrogeni; tutta l’elettronica più sofisticata la stocchiamo in un container mantenuto a +4 °C».
Il foro di perforazione si trova in fondo a una trincea profonda 8 metri che è stata scavata quando è stato realizzato il campo e attorno alla quale è stata installata l’apparecchiatura per il carotaggio. Il carotiere, lo strumento che serve appunto per scavare nella calotta ed estrarre le carote, è costituito da un tubo metallico lungo diversi metri che nella testa, la parte che scava, ha dei coltelli o denti: viene messo in verticale e fatto ruotare grazie a un motore elettrico, così penetra in profondità e intanto raccoglie nella sua parte interna una carota dopo l’altra.
I primi cento metri del foro, quando la calotta è ancora più neve che ghiaccio, vengono “incamiciati” con un tubo di vetroresina e il carotiere lavora al suo interno. Poi, a partire da una certa profondità il carotiere lavora immerso in un liquido antigelo. «Già dopo poche decine di metri», spiega Barbante, «il foro tende a chiudersi perché la pressione della neve e del ghiaccio sovrastante è molto elevata. Quindi quando la neve si comincia a trasformare in ghiaccio, che dunque è bello compatto, riempiamo il foro di un liquido antigelo che contrasta la pressione ed evita che il foro si chiuda». Per questa stessa ragione la prima cosa che si fa quando si estrae una carota di ghiaccio dal foro è pulirla dal liquido, che alla fine del progetto sarà pompato via.
Una volta estratte le carote sono pulite, misurate in lunghezza, pesate e catalogate, e dato che possono essere lunghe da due a più di quattro metri vengono tagliate in pezzi di un metro, più adatti per il trasporto. Poi sono poste all’interno di casse, ognuna delle quali può contenere sei pezzi. In parte sono già state portate a Concordia, dove vengono tagliate longitudinalmente: una parte della sezione resta a Concordia, come archivio, mentre l’altra metà è sottoposta a ulteriori analisi preliminari per stabilire una datazione di massima e poi impacchettata in vista del viaggio in Europa, dove avverranno le analisi vere e proprie.
La spedizione dalle coste dell’Antartide ai laboratori europei è un momento critico, perché per tutto il viaggio la temperatura all’interno dei container che trasportano il ghiaccio deve restare costante, a -50 °C, per evitare che i campioni fondano parzialmente e vengano compromessi. Attualmente parte delle carote estratte a Little Dome C si trova in viaggio verso l’Europa sulla nave oceanografica Laura Bassi e arriverà nelle prossime settimane.
Sono fatte del ghiaccio più superficiale, quindi meno interessante dal punto di vista scientifico, ma comunque importante per «confermare i vecchi risultati e testare i nuovi metodi di analisi che stiamo mettendo a punto», spiega ancora Barbante. Infatti «nei 15 anni passati dal progetto EPICA abbiamo fatto dei passi in avanti straordinari per quanto riguarda le capacità di analisi».
La parte davvero interessante della colonna di ghiaccio che si progetta di estrarre a Little Dome C «saranno gli ultimi 400 metri, quelli che vanno da 700mila anni fino a un milione e mezzo di anni fa, più o meno». Analizzandoli sarà possibile raggiungere l’obiettivo specifico di Beyond EPICA, cioè ricostruire com’è cambiato il clima tra 900mila e 1 milione e 200mila anni fa, quando la periodicità delle ere glaciali passò da 41mila a 100mila anni.
Sappiamo che l’alternarsi delle diverse epoche climatiche della Terra è influenzato dal cambiamento di alcuni parametri dell’orbita del pianeta attorno al Sole, secondo i cosiddetti cicli di Milanković, ma questi non bastano a spiegare tutte le variazioni del clima che ci sono state in passato.
L’obiettivo per la prossima campagna, che si svolgerà a cavallo tra il 2023 e il 2024, è riuscire a superare i 1.500 metri, dove secondo le stime si trova un ghiaccio risalente a 300mila anni fa, cioè all’epoca della comparsa di Homo sapiens. Ma quando si fanno i carotaggi ci sono molti imprevisti possibili e non è detto che tutto andrà secondo i programmi. Del resto «non è che siamo sicuri al 100% che il ghiaccio lì in fondo sia vecchio di un milione e mezzo di anni», chiarisce Barbante.
Intanto sia la squadra di scienziati giapponesi che quella russa hanno già iniziato a perforare. Gli americani e i coreani devono ancora scegliere dove farlo, mentre gli australiani hanno sfruttato l’ultima stagione estiva per realizzare il proprio campo, che si trova a soli 5 chilometri da quello di Beyond EPICA. «Si sono posizionati vicino a noi perché è uno degli altri siti che noi avevamo dato per papabile», racconta Barbante: «C’è anche grande cooperazione, oltre che competizione». Forse inizieranno a perforare l’anno prossimo.
A vincere la sfida scientifica non sarà chi arriverà primo, ma chi effettivamente troverà il ghiaccio più antico e poi ne otterrà i migliori risultati.
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