Si riparla dell’origine in laboratorio del coronavirus
Una nuova analisi del dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti l'ha definita probabile, ma le agenzie di intelligence non sono convinte
Il dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha concluso che sia alquanto probabile che la pandemia da coronavirus sia stata causata da una perdita accidentale in un laboratorio della Cina. La conclusione è diversa da quella cui erano giunte altre agenzie di intelligence degli Stati Uniti, che continuano ad avere ipotesi divergenti sull’origine del coronavirus. In precedenza gli esperti del dipartimento dell’Energia avevano mantenuto posizioni più prudenti, dicendo di non poter ricostruire con esattezza le circostanze che portarono alla pandemia tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.
Oltre a occuparsi della gestione dell’energia e della sicurezza nucleare, il dipartimento coordina l’attività di numerosi laboratori dedicati alla ricerca scientifica in vari ambiti. Alcuni di questi svolgono studi e sperimentazioni nel campo della biologia e sono stati probabilmente i principali responsabili delle nuove indagini scientifiche sul coronavirus, a differenza dei più tradizionali accertamenti svolti dalle altre agenzie di intelligence negli ultimi tre anni.
L’origine della pandemia da coronavirus è discussa ormai da tempo e secondo gli esperti comprenderla meglio potrebbe offrire nuove risorse per fare prevenzione, in modo da evitare che si ripeta in futuro la rapida diffusione di una nuova malattia, che causi milioni di morti (COVID-19 ne ha comportati finora circa 7 milioni solo considerando i dati ufficiali). Poco dopo essersi insediato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva chiesto alle varie agenzie di intelligence statunitensi di indagare sull’origine del coronavirus non ritenendo sufficienti i rapporti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in tema.
L’OMS all’inizio del 2021 aveva definito «estremamente improbabile» un’origine del coronavirus dovuta a un errore in un laboratorio. L’indagine era stata però svolta sotto uno stretto controllo da parte delle autorità cinesi e di conseguenza non era ritenuta soddisfacente dagli Stati Uniti. Le successive analisi condotte dalle varie agenzie di intelligence statunitensi non avevano comunque portato a risultati convincenti, con conclusioni divergenti a seconda delle agenzie coinvolte.
Ora le stesse agenzie sono scettiche sulle conclusioni del dipartimento dell’Energia, come hanno spiegato alcune fonti consultate dal New York Times. Ritengono che le valutazioni siano deboli e che ci si sia arrivati con «poca convinzione». Il dipartimento ha condiviso vari dettagli con le agenzie di intelligence, ma nessuna di queste ha cambiato le proprie conclusioni a ulteriore indicazione della scarsa considerazione verso la nuova indagine, sulla quale per ora non sono stati diffusi pubblicamente dettagli.
In precedenza anche l’FBI aveva concluso che il virus potesse essere emerso da un errore di qualche tipo presso l’Istituto di virologia di Wuhan, la città cinese da cui sarebbe poi iniziata la pandemia. Le altre quattro principali agenzie di intelligence degli Stati Uniti avevano invece concluso che il virus avesse avuto un’origine naturale, seppure segnalando di essere arrivati a questa valutazione con poca certezza. Le indagini e le ricostruzioni erano state condotte soprattutto nel 2021 e da allora le divergenze nelle valutazioni continuano a essere presenti. L’argomento sarà probabilmente affrontato all’inizio di marzo dal Congresso degli Stati Uniti nell’ambito della serie annuale di audizioni cui partecipa l’intelligence statunitense.
Il governo cinese ha sempre respinto le ipotesi su eventuali perdite accidentali da uno dei propri laboratori, che avrebbero poi portato il coronavirus a diffondersi tra la popolazione. Secondo la Cina affermazioni sull’origine in laboratorio del virus sono prive di evidenze scientifiche e vengono sfruttate esclusivamente a fini politici, per mettere in cattiva luce il paese in ambito internazionale. Le autorità cinesi non hanno però sempre permesso l’accesso ai luoghi dove si verificarono i primi contagi, complicando le già difficili attività di indagine sulle cause della pandemia.