Chi stava con Elly Schlein
Dentro al PD è stata sostenuta da un bel pezzo di dirigenza, da Orlando a Franceschini passando per Boccia e Zingaretti
Elly Schlein è diventata la nuova segretaria del Partito Democratico vincendo le primarie in modo molto inaspettato: l’altro candidato, Stefano Bonaccini, era considerato ampiamente favorito, stando ai sondaggi e al voto dei circoli del PD, cioè la fase delle primarie a cui partecipano solo gli iscritti del partito per scegliere i due candidati prima del voto aperto a tutti. Bonaccini aveva preso circa il 53 per cento delle preferenze, oltre 27mila voti in più di Schlein. Nei 16 anni di vita del PD non era mai successo che il voto degli iscritti venisse ribaltato da quello aperto a tutti.
In queste settimane lo staff di Schlein aveva fatto circolare un certo ottimismo sulle sue possibilità di farcela, motivato dalla mobilitazione delle persone che diceva di aver riscontrato nelle città, in contrapposizione allo “zoccolo duro” degli iscritti che invece aveva scelto Bonaccini. La rimonta rispetto al voto dei circoli e il fatto che fosse una candidata meno gradita tra gli iscritti non devono però far pensare che Schlein non avesse una solida base di sostegno anche all’interno del partito: anzi, la sua campagna elettorale per le primarie è stata appoggiata proprio da un bel pezzo della dirigenza che lei stessa si è proposta di rinnovare.
Il primo sostegno di un certo rilievo Schlein lo aveva ricevuto dal segretario uscente Enrico Letta, che poco dopo la grossa sconfitta elettorale del PD alle elezioni politiche dello scorso settembre aveva aperto la fase del congresso, quella che avrebbe portato alle primarie e alla scelta di una nuova guida del partito. In quel momento Schlein non era nemmeno iscritta al PD, da cui uscì nel 2015 in polemica con la direzione politica presa da Matteo Renzi. È rientrata nel partito di recente, appositamente per le primarie.
La sua storia fuori dal partito e la sua estraneità rispetto ai risultati elettorali deludenti degli ultimi anni hanno contribuito in modo decisivo a farla apparire a molti come una figura in grado di rinnovare il PD: anche perché ha costruito gran parte della sua carriera politica al di fuori del partito, in aperta polemica con le sue scelte e la sua classe dirigente.
Una volta rientrata però è stata da subito sostenuta più o meno apertamente da due dei capi corrente più influenti del PD, Dario Franceschini e Andrea Orlando, entrambi più volte ministri. Le correnti sono una delle questioni più dibattute e controverse quando si parla del PD e delle sue crisi: sono le fazioni interne che competono tra loro, ciascuna con un leader, con una propria linea politica e propri interessi. Secondo alcuni sarebbero proprio le correnti la causa principale dell’incapacità del partito di rinnovarsi, tuttavia sono anche in grado di mobilitare reti di persone sul territorio e soprattutto voti: perciò il loro sostegno può essere decisivo durante le campagne per le primarie.
Oltre a Letta, Franceschini e Orlando, Schlein è stata poi sostenuta dall’ex segretario ed ex presidente del Lazio Nicola Zingaretti e dal vicesegretario ed ex ministro Peppe Provenzano. Inoltre ha scelto come coordinatore della sua campagna elettorale Francesco Boccia, altro esponente di lungo corso del partito che ha sostenuto diversi segretari degli ultimi anni. Alcuni di loro erano domenica sera nella sede del comitato elettorale in cui Schlein ha atteso e poi festeggiato il risultato del voto.
Bonaccini ha cercato di trarre un vantaggio politico da questo ampio sostegno dei pezzi grossi del PD di cui ha beneficiato Schlein. Durante la campagna elettorale ha rivendicato spesso di non avere avuto l’appoggio delle correnti e di essere sostenuto più che altro da sindaci e amministratori del PD. Bonaccini ha insistito molto sul fatto che sarebbe stato in grado di sostituire la vecchia classe dirigente, suggerendo in modo sibillino che non valesse lo stesso per la sua avversaria.
In campagna elettorale Schlein non ha mai negato quel tipo di sostegno, ma ha anche detto più volte di non aver fatto promesse a nessuno per riceverlo. Alcuni commentatori si sono chiesti quanta autonomia potrà avere Schlein nel decidere la linea politica. Già lunedì mattina, in un’intervista al Corriere della Sera, Boccia è sembrato far capire da che parte vorrebbe far andare il partito: ha detto che la sconfitta alle elezioni è stata causata dalla «rottura con i 5 Stelle», con i quali anche in questi mesi si è sempre detto favorevole ad allearsi, e ha parlato di Renzi come del «passato remoto» del PD, escludendo di fatto alleanze con i partiti di centro.
Non è detto che questa non sia un’idea condivisa da Schlein, i cui sostenitori peraltro hanno idee molto diverse tra loro su alcune questioni. Per esempio il segretario uscente, Enrico Letta, poco prima delle elezioni dello scorso settembre ha fatto saltare l’alleanza tra PD e M5S che Boccia auspica. Schlein avrà insomma il compito non semplice di esaudire le aspettative di rottura rispetto al passato, mantenendo però compatto il sostegno di quei dirigenti che l’hanno aiutata a diventare segretaria.