Volodymyr Zelensky, un anno dopo
Un presidente non sempre convincente in tempi di pace si è trasformato in uno stimato ed efficace leader di guerra
L’anno trascorso dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina ha cambiato la percezione che il mondo ha di Volodymyr Zelensky: lo scetticismo internazionale sui primi anni di presidenza dell’ex attore comico si è trasformato in un diffuso apprezzamento per le sue doti di leader in tempi di guerra. Ma in questi dodici mesi non è cambiata solo l’idea che il mondo ha del presidente ucraino. È cambiato lo stesso Zelensky. E Zelensky a sua volta ha contribuito a cambiare l’Ucraina.
Sin dalle prime settimane dopo l’inizio della guerra la stampa internazionale ha evidenziato la dote più evidente del presidente ucraino: la sua grande abilità comunicativa. Il passato da attore, la capacità di trovare la giusta risposta e la giusta battuta, erano già state armi decisive in campagna elettorale. Si sono rivelate fondamentali anche per tenere unita una nazione e per tenere alta l’attenzione del mondo occidentale sulla questione ucraina e l’invasione russa. A queste doti di comunicatore nel tempo si sono aggiunti una risolutezza e un coraggio che gli sono stati riconosciuti da tutti i suoi interlocutori.
Quest’anno di guerra ha consentito inoltre a Zelensky di sviluppare una crescente consapevolezza politica che lo ha allontanato dalle posizioni relativamente concilianti con la Russia di Vladimir Putin che aveva avuto durante la campagna elettorale per diventare presidente, e fino a pochi mesi prima dell’invasione del febbraio scorso.
Quando nel maggio 2019 è stato eletto presidente, a sorpresa ma con un forte mandato popolare (73 per cento dei voti), Zelensky era considerato il candidato dalle posizioni meno intransigenti con la Russia, soprattutto in confronto al suo principale rivale, il presidente uscente Petro Poroshenko. Poroshenko era stato eletto per la prima volta nel 2014, poco dopo l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia, ed era il presidente dei primi anni di guerra contro i separatisti del Donbass: per questo godeva inizialmente di una reputazione molto più aggressiva di Zelensky, che peraltro è originario dell’est dell’Ucraina e parla il russo come prima lingua.
Zelensky ha sempre avuto comunque posizioni apertamente europeiste, peraltro già esposte nella sua prima carriera, quella di comico e attore.
Lo stesso anno della sua elezione, a dicembre, Zelensky ottenne un auspicato incontro con il presidente russo, a Parigi: la sua speranza era quella di trovare un accordo di pace per risolvere la questione del Donbass, seppur non ammettendo rinunce territoriali. Zelensky ha mantenuto la fiducia che il dialogo con la Russia fosse possibile fino a pochi mesi prima dell’invasione.
L’invasione però ha cambiato tutto, in modo radicale: Zelensky si è calato subito nel ruolo di “presidente di guerra” e ha chiuso ogni possibile percorso di dialogo con Putin soprattutto dopo la scoperta delle atrocità commesse dai soldati russi a Bucha. Il 4 aprile, quando visitò la città appena liberata, disse: «È molto difficile parlare quando vedi quello che hanno fatto qui».
Ma il primo momento di svolta nella presidenza di guerra di Zelensky sono stati i giorni immediatamente successivi all’invasione.
Allora la sua decisione di non abbandonare Kiev e di rifiutare un’offerta americana (probabile, anche se mai ufficialmente confermata) di uscire in sicurezza dal paese lo resero immediatamente un leader di guerra credibile, soprattutto agli occhi degli ucraini. La celebre frase «La battaglia è qui. Mi servono munizioni, non un passaggio» forse non è mai stata davvero pronunciata, ma ha comunque contribuito a rafforzare la sua leadership: quelli erano tempi in cui Kiev sembrava poter cadere a giorni, in cui la resistenza si organizzava con le molotov, in cui il presidente ucraino era il primo obiettivo in caso di occupazione russa della capitale. Rimanere, a rischio della propria vita, non era una scelta così scontata.
Da allora Zelensky si è mostrato nei luoghi meno sicuri e vicino alla popolazione, ha sostenuto e alimentato il sentimento di resistenza del paese, si è speso in continui e intensi messaggi internazionali per sostenere la causa ucraina. È stato in grado di coinvolgere l’occidente sottolineando come la resistenza dell’Ucraina sia una guerra fra la democrazia e l’autocrazia, e come l’Ucraina, respingendo la Russia, stia di fatto difendendo anche l’Europa.
Nel corso dei mesi Zelensky ha continuato a stimolare l’opinione pubblica internazionale, chiedendo constantatemente più sforzi, anche a costo di complicare le relazioni personali con i leader stranieri che lo stavano appoggiando. Nel corso di questi mesi ci sono stati momenti di tensione non solo con Mario Draghi, ma anche con il presidente americano Joe Biden e il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
I successi militari ucraini della seconda fase della guerra sono stati utilizzati dal presidente per convincere il mondo che una vittoria dell’Ucraina fosse perlomeno possibile, e che quindi lo sforzo economico per sostenere militarmente l’Ucraina fosse non solo giusto a livello etico, ma anche utile. Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri, ha detto: «Lui in prima persona crede sinceramente alla vittoria e per lui è prendere o lasciare, non c’è niente in mezzo. Se pensi che ci siano vie di mezzo, non potrai vincere».
Questo atteggiamento è stato interpretato da una parte dell’opinione pubblica occidentale, anche in Italia, come il segno di intransigenza, per cui Zelensky starebbe spingendo il popolo ucraino e l’occidente verso una guerra sanguinosa e verso il rischio di una “escalation” con una potenza nucleare come la Russia. In realtà molti analisti notano come Zelensky stia interpretando il sentimento prevalente di molti ucraini e ucraine: la storia recente del paese, a partire dalla rivoluzione del 2014, dimostra che difficilmente gli ucraini avrebbero accettato qualcosa di diverso.
– Ascolta Globo: Un anno di guerra raccontato dall’Ucraina, con Daniele Raineri
C’è poi un altro aspetto della presidenza di Zelensky che viene sottolineato soprattutto in Ucraina. Nel suo passato da attore recitava principalmente in russo, e molte delle sue commedie sono molto popolari in Russia. Ma da politico è riuscito a sostenere il messaggio che è possibile sostenere fortemente l’Ucraina e la sua indipendenza anche essendo russofoni. Come sottolinea fra gli altri Politico, la sua ascesa politica e la sua presidenza hanno contribuito al superamento di molte divisioni etniche e linguistiche all’interno del paese, contribuendo alla creazione di una identità ucraina più forte.