L’Oscar per il miglior film internazionale è il più difficile da vincere
I requisiti sono obsoleti e le selezioni tortuose: inoltre il film deve piacere prima di tutto nel paese di origine, un aspetto problematico
Il sistema attraverso il quale l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences – l’ente che organizza i premi Oscar – seleziona ogni anno i cinque candidati nella categoria del miglior film internazionale, dicitura che dal 2019 ha sostituito quella di “miglior film straniero”, è diverso rispetto a quello in vigore per la maggior parte delle altre categorie. Come per il premio al miglior documentario, esiste una giuria ristretta all’interno dell’Academy che pre-seleziona i film che ogni nazione sceglie come propri rappresentanti. Questo meccanismo di designazione affidato ai singoli paesi, negli anni, ha però mostrato limiti e storture.
I candidati agli Oscar nelle categorie tecniche, come quelle per i migliori attori, registi, costumisti o montatori, sono proposti e selezionati dalle singole associazioni di categoria (quindi da una giuria composta da loro pari). Vengono poi votati da tutti i membri dell’Academy, ovvero circa diecimila professionisti prevalentemente americani scelti per meriti, tra cui ci sono anche tutte le persone che in passato sono state candidate. Il percorso che porta un film a ottenere la nomination come miglior film internazionale invece inizia nel suo paese. La nazione, e non il singolo regista o produttore, è infatti tecnicamente la vincitrice del premio. Questo è un retaggio di quando, fino al 1951, anche il premio Oscar per il miglior film era assegnato allo studio di produzione, e non ai singoli produttori.
Il premio fu istituito ufficialmente nel 1956, dopo circa dieci anni in cui veniva assegnato un Oscar speciale a un film straniero senza candidature e a discrezione dell’Academy. Inizialmente aveva l’obiettivo di valorizzare cinematografie non americane e non in inglese, in un mondo in cui la circolazione dei film era limitata e difficile, specialmente nel caso di paesi più lontani o con industrie culturali meno forti. Il nome originale era miglior film in lingua straniera, poi diventato miglior film straniero.
Per questa ragione ancora oggi un film per poter essere considerato eleggibile deve soddisfare tre condizioni: deve essere uscito in sala nel proprio paese ma non negli Stati Uniti; deve essere parlato per almeno il 50% non in lingua inglese; deve essere realizzato prevalentemente utilizzando professionalità del paese che lo candida. Le ultime due regole servivano a evitare un dominio anche in questa categoria di paesi anglofoni come il Canada, l’Australia o il Regno Unito, o di paesi che sfruttassero per i propri film maestranze americane, dunque più note ai votanti e maggiormente in grado di promuoversi a Hollywood.
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Negli ultimi anni queste regole hanno portato titoli anche molto apprezzati, o provenienti da nazioni che raramente arrivano a farsi notare agli Oscar, a non poter essere candidati. È stato ad esempio il caso di Lionheart nel 2019, primo film nigeriano a chiedere di competere e che tuttavia, essendo stato girato nella lingua ufficiale della Nigeria, l’inglese, non fu accettato. Nel 2011 invece il film albanese parlato in albanese The Forgiveness Of Blood fu squalificato perché una buona parte delle maestranze assunte nei ruoli chiave (ovvero i capi reparto) non erano albanesi e questo, secondo le regole, non dava il controllo creativo del film unicamente all’Albania. Stessa ragione per cui Lussuria di Ang Lee nel 2008, vincitore del Leone d’Oro a Venezia, non fu ritenuto candidabile: il film era taiwanese, ma essendo stato girato in Giappone una buona parte della troupe, anche a livelli alti, era giapponese.
Casi ancora più clamorosi sono stati quelli di film non americani che hanno vinto alcuni dei premi Oscar più importanti ma non erano candidabili nella categoria come migliore film straniero, come Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino nel 2018. Il film è una co-produzione italo-francese-americana (a maggioranza italiana) parlata per più del 50% in inglese e quindi non eleggibile. Tuttavia, non esistendo questo tipo di limitazioni per le altre categorie, Chiamami col tuo nome fu candidato e vinse l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Allo stesso modo L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, co-produzione internazionale a maggioranza italiana parlata prevalentemente in inglese e cinese, con una troupe i cui ruoli chiave erano occupati da professionisti di paesi diversi, nel 1988 vinse nove premi Oscar incluso il più importante, quello per il miglior film, ma non fu candidato nella categoria del miglior film straniero.
Tutti i film che effettivamente soddisfano questi criteri, per partecipare devono essere candidati dal proprio paese, il quale sceglie un solo rappresentante attraverso una commissione che è espressione di un ente approvato dall’Academy. Per l’Italia questo ente è l’ANICA (l’associazione di categoria che riunisce produttori e distributori), che ogni anno crea una commissione i cui membri sono resi pubblici solo dopo la votazione. Ogni paese è libero di regolarsi come crede, il che fa sì che in molte nazioni per essere candidati occorra essere in linea con le direttive del governo. Nazioni in cui esiste un controllo rigido sul cinema come Cina, Iran, Turchia o Arabia Saudita candidano solo film che riflettono un’immagine gradita alle commissioni statali.
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Un esempio dei problemi conseguenti riguarda il cineasta iraniano Jafar Panahi, che da più di un decennio si oppone al regime teocratico iraniano, è stato incarcerato più volte per la sua attività di regista, l’ultima meno di un anno fa, e solo recentemente è uscito su cauzione. Dal 2010 il governo iraniano gli proibisce di girare film. Nonostante questo, da quando esiste questo divieto ne ha girati clandestinamente sei, alcuni dei quali hanno vinto premi importanti a festival come Cannes, Berlino e Venezia. Sono film considerati molto importanti in tutto il mondo, ma nessuno di questi sei ovviamente è stato mai proposto dall’Iran come proprio rappresentante per la categoria del miglior film internazionale o straniero.
Nel 2011 il suo documentario This Is Not a Film, incentrato proprio sulla sua condizione e la persecuzione che stava subendo, entrò nella preselezione dell’Oscar per il miglior documentario ma non fu considerato per il premio al miglior film straniero.
Questo processo di selezione lasciato alle singole nazioni mostra i suoi limiti anche in paesi democratici in cui il processo non ha condizionamenti statali. Nel 2003 capitò che la Spagna candidasse il film di Fernando Leon de Aranoa I lunedì al sole come proprio rappresentante. Tuttavia in quello stesso anno sarebbe stato candidabile anche Parla con lei di Pedro Almodovar, film che seguiva il grande successo mondiale di Tutto su mia madre e di un cineasta di grande successo nel mondo e in America, che però come spesso capita a grandi autori è più amato all’estero che nel proprio paese. I lunedì al sole non arrivò a ottenere la nomination come miglior film straniero, mentre Parla con lei vinse l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale e Almodovar fu candidato nella categoria di miglior regista.
I film che ogni paese sceglie come proprio rappresentante vengono poi valutati da una cerchia ristretta di membri dell’Academy, un comitato chiamato International Feature Film Preliminary Committee, che li riduce a 15. Un secondo comitato più largo, chiamato International Feature Film Nominating Committee, vede poi i 15 film e vota per determinare i cinque candidati definitivi. A quel punto la votazione per scegliere chi sarà il vincitore dell’Oscar spetta a tutti i membri attivi dell’Academy che abbiano visto i cinque film in questione.
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È pratica accettata che pochissimi dei diecimila membri dell’Academy vedano un buon numero dei film che sono chiamati a votare, specialmente se stranieri. I membri più anziani e in pensione sono quelli che tendono a prendere il ruolo di votante con maggiore serietà, e la cosa notoriamente influenza le votazioni. È talmente raro che qualcuno li veda tutti che nel 2013 l’Hollywood Reporter intervistò Michael Goldman, uno dei membri del comitato che selezionava i film stranieri, noto per essere l’unico a farlo. I film inviati all’Academy per la categoria di miglior film straniero erano in quell’anno 76 (ma nel tempo sono anche aumentati), e il comitato ha meno di due mesi per vederli tutti.
Come per le altre categorie, dunque, superare le diverse selezioni implica la creazione di una campagna promozionale intorno al film, cioè un complesso di eventi e proiezioni finalizzati a farlo conoscere agli addetti ai lavori.
Una campagna Oscar non serve quindi solo a fare pubblicità a un film, ma nel caso dei film stranieri anche solo a farli vedere al maggior numero di potenziali votanti, sia tramite l’invio di DVD o file video, sia in modi ancora più efficaci creando eventi e feste collegate alle proiezioni. È uno sforzo economicamente significativo che è a carico delle produzioni, dei singoli paesi e in certi casi dei distributori americani (che il film lo hanno acquistato e dopo la cerimonia di consegna dei premi possono distribuirlo, dunque hanno interesse che venga premiato).
Molte nazioni non sono in grado di sostenere i propri film in questa maniera e hanno quindi pochissime possibilità di vittoria, a meno che un grande distributore americano non compri quel film e decida di valorizzarlo. La Miramax di Harvey Weinstein nei suoi primi anni di attività aveva per esempio creato un business intorno ai film stranieri. Sceglievano accuratamente film da tutto il mondo e li compravano per la distribuzione americana a cifre che per l’economia del cinema statunitense erano piccole, montando grandi campagne promozionali per condurli agli Oscar e trasformarli in successi. Uno dei casi più noti fu quello di La tigre e il dragone di Ang Lee nel 2000, ma già nel 1992 avevano acquistato e portato alla vittoria Mediterraneo di Gabriele Salvatores e poi fecero lo stesso con investimenti anche maggiori con Roberto Benigni e La vita è bella nel 1998, che di Oscar ne vinse tre (miglior film straniero, miglior attore protagonista per Benigni e miglior colonna sonora per Nicola Piovani).
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Negli ultimi anni questo complesso di regole e meccanismi è stato criticato da più parti. Tra i molti il critico del New Yorker Richard Brody ritiene che si tratti di una pratica antiquata che rispecchia una visione del mondo non aggiornata. In particolar modo Brody critica il fatto di lasciare che la prima selezione non sia affidata all’Academy: «ci sono grandi film che non saranno mai candidati. Gli Oscar si precludono la considerazione di alcuni tra i più grandi cineasti del mondo, solo perché rimettono le proprie decisioni ad organizzazioni governative».
Anche l’idea stessa di cosa renda un film internazionale, basata su criteri di lingua e nazionalità delle maestranze, è ritenuta in troppi casi fallace e modellata su quello che le industrie del cinema erano una volta, cioè meccanismi altamente nazionalizzati, cosa che è sempre meno vera. Le co-produzioni sono modalità molto frequenti di fare i film, e succede sempre meno che sui set dei film che ambiscono a concorrere al premio per il miglior film internazionale ci siano tutti professionisti dello stesso paese.