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  • Venerdì 24 febbraio 2023

Le critiche al New York Times per il modo in cui scrive delle persone trans

Centinaia di collaboratori hanno contestato lo spazio dato alle posizioni critiche sui percorsi di transizione per i più giovani

(Flickr)
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La settimana scorsa il New York Times ha ricevuto due lettere aperte che criticavano la stessa cosa: lo spazio dato nell’ultimo anno sulle sue pagine ad articoli e opinioni che sollevano dubbi e preoccupazioni sull’aumento delle persone che si identificano come trans negli Stati Uniti, soprattutto tra i più giovani e tra i bambini, e sulle modalità con cui vengono applicate le pratiche di accompagnamento nei loro percorsi di transizione.

Una delle lettere è stata firmata da quasi mille persone che collaborano o hanno collaborato con il New York Times come giornalisti o opinionisti nel corso del tempo; l’altra da un centinaio di organizzazioni e gruppi che si occupano di diritti umani e della comunità LGBT+. Entrambe hanno evidenziato errori e imprecisioni, hanno contestato il coinvolgimento di esperti o presunti tali ritenuti parziali e inaffidabili, e hanno ricordato come negli scorsi mesi alcuni articoli del New York Times siano stati citati come fonti autorevoli da politici e legislatori conservatori per proporre o introdurre leggi che rendono più difficile iniziare un percorso di transizione – medica o anche solo sociale – alle persone trans molto giovani.

Il dibattito è particolarmente rilevante perché riguarda un tema, quello dei percorsi di transizione di genere per bambini e adolescenti, che è diventato estremamente sentito e divisivo negli Stati Uniti. In un contesto in cui le persone trans vengono ancora discriminate attivamente dalle leggi promosse dai Repubblicani e subiscono violenze sistematiche, da tempo non solo tra gli elettori conservatori si è diffusa una certa preoccupazione per come questi percorsi di transizione per i minori, talvolta, vengono approvati e accompagnati con quella che qualcuno considera una disinvoltura eccessiva.

Il New York Times è probabilmente il quotidiano più autorevole e prestigioso del mondo, e nonostante si vanti di essere particolarmente attento a mantenersi imparziale nel riportare le notizie, viene tendenzialmente considerato progressista e vicino alle posizioni del Partito Democratico statunitense. Già in altre occasioni, per esempio durante le proteste del movimento Black Lives Matter, aveva provocato estesi dissensi per aver ospitato opinioni particolarmente reazionarie. Queste lamentele erano arrivate soprattutto sui social e dai lettori più giovani e vicini a quelle sensibilità che vengono ormai riassunte, spesso a sproposito e con intento dispregiativo, con la parola “woke”.

A proposito dei diritti delle persone trans si è ripresentato questo tipo di scontro, reso particolarmente complicato dal fatto che il confronto su alcuni temi che le riguardano, soprattutto relativi alle persone più giovani e agli aspetti delle transizioni legati alla salute, è generalmente poco sereno e costruttivo. Da una parte per via dell’estremismo bigotto della destra americana, dall’altra perché tra chi fa attivismo per la comunità LGBT+ spesso c’è reticenza ad affrontare queste questioni per il timore che siano strumentalizzate per limitare i diritti delle persone trans.

La prima lettera inviata al New York Times, quella scritta e firmata dai giornalisti, sottolineava che «benché molti giornalisti al Times scrivano di tematiche relative alle persone trans in modo imparziale», negli ultimi mesi la testata ha pubblicato tantissimi articoli (per un totale di 15 mila parole apparse soltanto nella prima pagina del giornale, escludendo le pagine degli editoriali) sul tema delle cure mediche disponibili per i bambini trans «con un mix stranamente familiare di pseudoscienza e linguaggio eufemistico e carico di emotività».

La lettera fa l’esempio di “The battle over gender therapy”, articolo della giornalista Emily Bazelon pubblicato nel giugno del 2022 in cui l’autrice spiega che la percentuale di bambini e adolescenti che si considerano trans oggi – per un totale stimato di 300 mila persone in tutti gli Stati Uniti – è molto più alta della media storica. L’articolo si domanda quindi se «alcuni degli adolescenti che si dichiarano trans oggi potrebbero farlo per un motivo diverso da quello delle generazioni precedenti». «Tra gli adulti trans di oggi, l’accesso alla transizione ha avuto chiari vantaggi e il tasso di rimpianto per le proprie scelte è molto basso. Ma quanti dei giovani di oggi potrebbero volerlo fare per cercare di liberarsi di aspetti di sé stessi che non amano, soprattutto quando hanno dei gravi problemi di salute mentale?», si domanda anche Bazelon.

Il dubbio proposto da Bazelon, in sostanza, è se non esista negli Stati Uniti di oggi un contesto – mediatico, culturale, sanitario e scolastico – che spinge a identificarsi come trans bambini e adolescenti che hanno problemi personali diversi dalla disforia di genere, cioè il disagio sperimentato da chi non si riconosce nel genere associato ai propri organi genitali. E se non sia troppo lasco il sistema di controlli che li indirizza eventualmente verso un percorso di transizione di genere.

Quelli che per molte persone sono dubbi che andrebbero chiariti con maggiori studi e ricerche, negli ambienti più conservatori americani sono invece convinzioni da tempo usate come spauracchi per aizzare gli elettori, per esempio, contro l’educazione alla diversità nelle scuole e le forme di supporto per gli adolescenti con disforia di genere. Lo stato del Texas ha usato l’articolo di Bazelon per giustificare l’apertura di un’indagine statale per capire se l’assistenza sanitaria per bambini e adolescenti trans possa configurarsi come “abuso su minori”.

In 25 altri stati governati dai Repubblicani, i legislatori nell’arco degli ultimi mesi hanno proposto decine di nuove leggi per limitare o vietare completamente l’accesso alle pratiche mediche di transizione (o alla sospensione temporanea dello sviluppo puberale) almeno fino ai 18 anni. Alcune di queste proposte vorrebbero rendere illegale per i medici anche solo parlare della possibilità della transizione alle persone sotto ai 18 anni.

Lo stesso New York Times a fine gennaio aveva scritto che «questa ondata di leggi fa parte di un progetto a lungo termine di gruppi politici che ritengono che i diritti delle persone trans siano il tema perfetto per far arrabbiare gli elettori», convincendoli a votare per i candidati Repubblicani. In un’intervista riportata nell’articolo Terry Schilling, il leader di un grosso think tank che per le elezioni presidenziali del 2020 aveva donato 4 milioni di dollari ai candidati Repubblicani, ha detto apertamente che i politici conservatori al momento stanno concentrando la propria attenzione sui bambini trans perché sanno che il tema preoccupa anche molte persone che non si ritengono di destra, ma che l’obiettivo di lungo periodo del suo gruppo è quello di fare campagna per l’eliminazione totale della possibilità di effettuare transizioni di genere, anche da adulti.

Nelle settimane successive alla pubblicazione, l’articolo è stato molto criticato non solo da attivisti LGBT+, ma anche da medici ed esperti di transizione, tra cui alcuni di quelli citati nell’articolo. È stata per esempio contestata l’inclusione della testimonianza di Grace Lidinsky-Smith, presentata come una persona che dopo aver intrapreso un percorso di transizione ha deciso di interromperlo e «tornare alla sua identità cisgender», cioè al genere corrispondente al suo sesso biologico, per essersi «pentita». Di Lidinsky-Smith, Bazelon ha omesso che è anche presidentessa di un gruppo di attivisti che lavora a stretto contatto con organizzazioni apertamente transfobiche. Secondo i critici, l’articolo non sottolineava poi a sufficienza come la maggior parte degli studi scientifici abbia concluso che le cure mediche di affermazione di genere per le giovani persone trans migliorano la loro salute mentale.

Un altro articolo citato dalla lettera è il recente reportage “When Students Change Gender Identity, and Parents Don’t Know” della giornalista Katie Baker, che racconta vari casi di scuole che rispettano la decisione dei propri studenti di farsi identificare con un nome e un genere diverso da quello assegnato alla nascita a scuola (è la cosiddetta “transizione sociale”, che può anticipare quella ormonale), senza parlarne con i genitori.

– Leggi anche: Cos’è l’identità alias

«L’articolo non chiarisce che intentare cause giudiziarie contro le scuole che non condividono queste informazioni con i genitori dei bambini trans fa parte di una chiara strategia portata avanti da gruppi anti-trans», dice la lettera. «Questi gruppi identificano le persone trans come “una minaccia esistenziale per la società” e vogliono sostituire il sistema di istruzione pubblica americano con un sistema di istruzione domestica di stampo cristiano. Dettagli chiave che Baker non ha fornito ai lettori del Times».

«Come pensatori, siamo delusi nel vedere il New York Times seguire l’esempio di gruppi di odio di estrema destra nel presentare la diversità di genere come una nuova controversia che giustifica ulteriori leggi punitive», conclude la lettera firmata da un migliaio di collaboratori della testata. «I bloccanti della pubertà, la terapia ormonale e gli interventi chirurgici di affermazione del genere sono da decenni forme standard di cura per persone cis e trans. (…) Questa non è un’emergenza culturale».

La seconda lettera, firmata da più di cento organizzazioni, associazioni e attivisti che si occupano di diritti umani e delle persone LGBT+, riconosce che il New York Times ha pubblicato anche diverse storie che raccontano i problemi e le paure delle persone trans, nonché gli attacchi fisici e legali che stanno subendo, ma accusa il giornale di non dare a quel genere di contenuti lo stesso spazio e attenzione che ricevono articoli più lunghi e controversi, come quelli di Bazelon e Baker.

«Il Times ha ripetutamente permesso a persone cisgender di diffondere disinformazione imprecisa e dannosa sulle persone trans e i loro problemi», dice la lettera. «Ciò danneggia la credibilità del giornale. Ed è dannoso per tutte le persone LGBT+, in particolare i nostri giovani, che dicono che queste discussioni hanno un impatto negativo sulla loro salute mentale, in un modo che contribuisce agli alti tassi di suicidio tra i giovani LGBT+».

La lettera cita come esempio un articolo del novembre del 2022 che solleva preoccupazioni per gli effetti fisici a lungo termine dei bloccanti della pubertà, ovvero quei farmaci che intervengono per fermare, momentaneamente e in modo reversibile, la secrezione delle gonadotropine e degli ormoni sessuali, e ritardare dunque l’arrivo della pubertà e dei cambiamenti fisici che essa comporta.

L’articolo elencava i dubbi e le preoccupazioni di alcuni esperti sugli effetti collaterali di queste terapie, in particolare per come possono avere conseguenze negative sulla densità ossea di chi vi si sottopone. Ma secondo l’Associazione professionale mondiale per la salute transgender, associazione di categoria che si occupa del tema dal 1979, «gli autori di questo pezzo hanno interpretato in modo sbagliato i dati disponibili, e l’articolo sostiene narrazioni imprecise secondo cui i farmaci che bloccano la pubertà sono decisamente dannosi sul lungo periodo per la densità ossea e altri aspetti della salute umana, nonché l’idea che questi trattamenti finiscano spesso con il rimpianto dei pazienti». La lista degli errori e inesattezza dell’articolo individuata dall’associazione è lunga tre pagine.

La direzione del New York Times ha risposto il giorno stesso alle due lettere, equiparandole. «Comprendiamo che la Gay & Lesbian Alliance Against Defamation (GLAAD, una delle tante organizzazioni che hanno firmato la lettera degli attivisti, ndr) e i co-firmatari della lettera vedono il nostro giornalismo in un certo modo. Ma allo stesso tempo, riconosciamo che la missione degli attivisti di GLAAD e quella giornalistica del Times sono diverse. In qualità di testata giornalistica, pubblichiamo reportage indipendenti sulla questione trans, che includono profili di alcuni pionieri del movimento, le sfide e i pregiudizi affrontati dalla comunità, e i dibattiti sulle pratiche mediche che animano la società», ha scritto in un comunicato Charlie Stadtlander, direttore delle comunicazioni esterne del New York Times.

I giornalisti firmatari della prima lettera si sono detti delusi dal fatto che la risposta di Stadtlander assimilasse la loro lettera a quella degli attivisti, per poi respingere anche le preoccupazioni di migliaia di collaboratori ed ex collaboratori come se fossero state espresse da attivisti e non da giornalisti e scrittori.

In un messaggio interno rivolto allo staff, il direttore esecutivo della testata Joe Kahn ha invece fortemente criticato i collaboratori e giornalisti che hanno firmato la lettera, dicendo che la politica interna del giornale proibisce ai giornalisti «di allinearsi con gruppi di difesa e di unirsi ad azioni di protesta su questioni di ordine pubblico» e di attaccare il lavoro dei colleghi, direttamente o indirettamente.

«I nostri articoli sulla questione trans, compresi gli specifici pezzi citati nell’attacco, sono importanti, approfonditi e scritti con sensibilità. Non accogliamo con favore, e non tollereremo, la partecipazione dei giornalisti del Times a proteste organizzate da gruppi di attivisti né attacchi a colleghi sui social media e altri forum pubblici», ha scritto Kahn.

«Ci rendiamo conto che si tratta di questioni difficili che toccano profondamente molti colleghi personalmente, compresi alcuni colleghi che sono loro stessi transgender. Abbiamo accolto con favore e continueremo ad accettare discussioni, critiche e dibattiti accesi sulla nostra copertura. Anche quando non siamo d’accordo, le critiche costruttive dei colleghi, espresse con rispetto e attraverso i canali giusti, rafforzano il nostro giornalismo».

Le discussioni interne alla redazione, condivise e commentate largamente sui social network, hanno alimentato ulteriormente l’interesse verso la vicenda. Su Nieman Reports, la rivista della Nieman Foundation, che si occupa di studiare e analizzare lo stato di salute del giornalismo statunitense, il ricercatore Issac J. Bailey ha scritto:

Il New York Times ha avuto la possibilità di affrontare seriamente una grave critica al modo in cui tratta la questione trans, avanzata da un gruppo affidabile di professionisti, inclusi giornalisti della cui credibilità lavorativa il Times si fida a sufficienza da farli scrivere sulle sue pagine. Invece, ha deciso di sminuire le loro preoccupazioni assimilandoli ad attivisti a cui non interessa veramente il giornalismo di qualità. È una vecchia tattica, che viene spesso adoperata per respingere le posizioni di gruppi che sono a lungo stati esclusi da queste discussioni e che chiedono legittimamente di potervi partecipare.

Il Times non doveva per forza prendere quella strada. Avrebbe potuto puntare ad alcune delle proprie recenti decisioni per mostrare che stavano cercando di trattare il tema in modo equo, anche se magari non sempre ci riescono. Invece hanno deciso di rincarare ulteriormente la dose, pubblicando un articolo di opinione a difesa delle opinioni dell’autrice miliardaria J.K. Rowling il giorno dopo aver ricevuto una lettera firmata da oltre mille collaboratori che li accusava di pregiudizi anti-trans. (…)

Avrebbe potuto comportarsi come l’adulto nella stanza, sapendo di avere una voce molto autorevole. Invece ha preso la strada che troppi giornalisti e opinionisti di alto profilo prendono quando vengono messi in discussione: ha ridotto i suoi critici a un gruppo di attivisti radicali.