La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di Cospito contro il 41 bis
Dopo otto ore di camera di consiglio: Cospito resterà al regime detentivo contro cui sta conducendo da oltre 4 mesi uno sciopero della fame
Venerdì la Corte di Cassazione, l’organo supremo della giustizia italiana, ha respinto il ricorso del detenuto anarchico Alfredo Cospito contro il regime detentivo del 41-bis a cui è sottoposto, e contro cui sta conducendo uno sciopero della fame da oltre 4 mesi.
La Corte di Cassazione ha comunicato la sua decisione al termine di una camera di consiglio durata otto ore: durante tutta la giornata, fuori dalla sua sede in piazza Cavour a Roma, ci sono state manifestazioni e sit-in di solidarietà per Cospito, controllate da pattuglie di polizia e carabinieri. Dopo l’annuncio del respingimento del ricorso di Cospito i presidi di anarchici hanno intonato cori di protesta.
La decisione della Corte era attesissima: era stata inizialmente calendarizzata per il 7 marzo, ma l’udienza era stata anticipata per via delle condizioni fisiche di Cospito, che dopo quattro mesi di sciopero della fame ha perso quasi cinquanta chili ed è a rischio di patologie gravi.
Cospito è attualmente ricoverato nell’ospedale San Paolo di Milano. Secondo La Stampa, una volta informato sulla decisione della Corte di Cassazione Cospito avrebbe detto di essere intenzionato a sospendere gli integratori alimentari e a rifiutare ogni terapia in ospedale, una dichiarazione coerente con quanto sostenuto dall’anarchico nelle scorse settimane.
Nel frattempo, sempre venerdì, il Comitato nazionale di bioetica ha fatto sapere in una nota di voler continuare ad approfondire se Cospito ha diritto ad autodeterminarsi nel ricevere o meno i trattamenti sanitari in carcere. La questione è molto dibattuta in questi giorni, anche se diversi esperti ritengono che continuare lo sciopero della fame anche fino alla morte sia un suo diritto.
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L’ipotesi finora ritenuta più probabile era che la Corte decidesse di rinviare il ricorso di Cospito al tribunale di sorveglianza di Roma: il pubblico ministero della procura generale della Corte di Cassazione, Piero Gaeta, aveva chiesto che la Corte annullasse l’ordinanza del tribunale di sorveglianza che lo scorso dicembre aveva confermato il 41 bis per Cospito, e aveva chiesto proprio che la questione venisse rinviata a un nuovo esame.
L’ordinanza in questione era quella che aveva respinto il reclamo dei legali di Cospito contro il decreto ministeriale che lo scorso maggio aveva stabilito l’applicazione del regime 41 bis. Il decreto era stato emesso dall’allora ministra della Giustizia, Marta Cartabia, su richiesta della procura di Torino, che si occupava delle indagini, e su sollecitazione del ministro dell’Interno, dopo aver sentito il parere della Direzione nazionale antimafia e della polizia.
Secondo la procura di Torino, Cospito continuava a dare direttive alla sua organizzazione, cioè la Federazione anarchica informale (Fai), attraverso i suoi scritti, in particolare con lettere ad altri anarchici fuori dal carcere: il regime del 41 bis, che comporta un isolamento estremo, era stato ritenuto il più efficace per limitare i contatti di Cospito con l’esterno.
Ma la decisione era stata estesamente criticata. Tra gli altri, Gaeta aveva motivato la sua richiesta di annullamento dell’ordinanza chiedendo che venissero indicate più concretamente e dettagliatamente le ragioni per cui era stato respinto il ricorso dell’avvocato di Cospito. In pratica, aveva detto Gaeta, è necessario che «emerga una base fattuale» con «elementi immanenti e definiti», cosa che non è «data di riscontrare». Secondo Gaeta, il collegamento tra Cospito e gli anarchici all’esterno non è «desumibile interamente ed unicamente né dal ruolo apicale» né «dall’essere egli divenuto “punto di riferimento” dell’anarchismo in ragione dei suoi scritti e delle condanne riportate».