Cos’ha fatto Mozilla per Internet
Da 25 anni è tra le poche grandi fondazioni che lavorano per renderla un posto migliore, tra le altre cose con Firefox
di Viola Stefanello
Navigare sul web negli anni Novanta non era semplice come oggi. Fino alla fine degli anni Ottanta soltanto gli accademici e gli studenti universitari che facevano parte di una rete di università statunitensi avevano avuto accesso a quello che era essenzialmente un sistema di comunicazione all’avanguardia. A partire dal 1990, con la creazione del World Wide Web – il sistema informatico che consente di accedere a documenti, informazioni e altre risorse connettendosi a Internet senza bisogno di avere una conoscenza tecnica particolarmente avanzata – sia le persone comuni che le aziende avevano però cominciato a guardare a Internet con crescente interesse.
Per permettere anche ai nuovi arrivati meno capaci di raccapezzarsi tra linee di codice verdi su uno sfondo nero c’era bisogno di un browser, ovvero di un programma che navigasse su Internet, richiedendo alla rete di ottenere l’accesso a un determinato documento (di solito un sito) e poi permettendo all’utente di visualizzarla. Il primo browser commerciale di grande successo fu quello di Mosaic, creato nel 1993 e apprezzato fin da subito perché aveva un’interfaccia intuitiva, si installava con facilità e si poteva installare sul PC. Mosaic presto cambiò nome in Netscape: il suo browser, Netscape Navigator, contribuì pesantemente a portare una massa di nuove persone online nel corso degli anni Novanta. All’interno dell’azienda ci si riferiva al browser con un nome in codice: Mozilla, dall’unione di “Mosaic Killer” e “Godzilla”, come il lucertolone dei film giapponesi.
Dopo aver lavorato a varie versioni di Netscape Navigator – tallonato da Microsoft, che nel 1995 aveva lanciato il suo Internet Explorer e che fino al 2001 sarebbe stato il suo principale rivale – il 23 febbraio del 1998, 25 anni fa, Netscape fece un annuncio inaspettato e un po’ bizzarro. Nei mesi successivi, disse, avrebbe messo a disposizione gratuitamente il codice – cioé l’insieme di istruzioni testuali in linguaggio di programmazione, scritte per essere eseguite da un computer – di Netscape Navigator a chiunque volesse lavorarci.
L’iniziativa si basava su una filosofia all’epoca molto in voga tra chi si occupava di Internet, secondo cui il web aveva il potenziale per essere una forza democratizzante, che permettesse a chiunque di condividere e ottenere informazioni da qualsiasi parte del mondo, ma anche sull’idea che aprire il codice alle masse fosse il modo perfetto per coinvolgere una grande comunità di sviluppatori nel proprio processo creativo, portando a una maggiore innovazione e pubblicità per il prodotto. Lo stesso giorno, Netscape creò anche un gruppo di lavoro interno all’azienda che aveva il compito di coordinare la versione open source – cioè, appunto, con il codice pubblico – del software Internet di Netscape: nacque così, venticinque anni fa, mozilla.org.
Oggi le persone conoscono Mozilla principalmente per uno dei suoi prodotti: il browser Firefox, che non è diffuso quanto Google Chrome (di proprietà di Google) o Safari (sviluppato da Apple) ma che è considerato comunque di alta qualità e apprezzato dagli esperti per le sue funzionalità che rendono molto più difficile il tracciamento dell’attività degli utenti quando navigano su Internet.
Ma Mozilla non è soltanto “l’azienda che sta dietro a Firefox”. In primis perché non è un’azienda, ma una fondazione non profit che controlla legalmente una società sussidiaria, la Mozilla Corporation, i cui profitti vengono completamente reinvestiti nel progetto. E poi perché, all’interno di una Internet che negli ultimi vent’anni è stata quasi completamente privatizzata e usata per generare enormi profitti per le aziende tecnologiche, Mozilla è come Wikipedia: uno dei pochi prodotti tecnologici mantenuti attivi non a fini commerciali, ma sulla base di alcuni valori fondamentali condivisi dalla propria comunità
Nel caso di Mozilla, questi valori sono espressi nel “Mozilla manifesto”, un documento diviso in dieci principi, tra cui spiccano frasi come «Internet è una risorsa pubblica globale che deve rimanere aperta e accessibile», «La sicurezza e la privacy di ogni persona su Internet sono prerogative fondamentali e non devono essere considerate facoltative» e «ogni persona deve avere la possibilità di contribuire allo sviluppo di Internet ed essere l’artefice della propria esperienza online».
Secondo Mitchell Baker, presidente della Mozilla Foundation, il compito dell’organizzazione «è quello di costruire prodotti che creino un Internet più umana, più focalizzata sui benefici individuali e sociali, e non tanto sulla massimizzazione dei profitti». «In base al nostro modello, la missione viene al primo posto, gli utenti dei nostri prodotti al secondo, le entrate aziendali al terzo», dice Baker. «Pensiamo chiaramente a gestire l’azienda e a gestirla bene, perché lavorare a questi software e competere con Big Tech è un lavoro costoso e difficile, ma non è mai la nostra priorità. Prendiamo spesso decisioni che vanno contro i nostri interessi commerciali».
Mozilla pubblica regolarmente un documento chiamato Internet Health Report, che analizza lo stato dell’infrastruttura di Internet globale. Organizza un evento annuale chiamato Mozilla Festival, che riunisce moltissimi esperti e attivisti che si occupano di diritti digitali a livello mondiale. Offre opportunità di finanziamento per specifici progetti nel settore della tecnologia open source. Sta lavorando alla creazione di una nuova comunità su Mastodon, il social network suggerito recentemente come possibile alternativa a Twitter. Rende disponibile il client di posta elettronica Thunderbird, il sistema operativo per dispositivi mobili Firefox OS, il servizio di “segnalibri digitali” Pocket. E, ovviamente, Firefox.
Introdotto nel 2002, nel 2008 Firefox superò Internet Explorer come browser più utilizzato al mondo, prima di essere surclassato nel 2015 da Google Chrome, che da allora è rimasto saldamente al primo posto. Oggi, Firefox viene usato dal 3 per cento circa di tutte le persone che accedono a Internet, e l’anno scorso Wired raccontava che non se la passa molto bene. In parte, il problema è che Firefox è economicamente sostenibile quasi esclusivamente grazie a un accordo molto redditizio con Google, che paga Mozilla circa 400 milioni all’anno per essere il motore di ricerca automatico per chi usa Firefox come browser. Mozilla sta lavorando molto per creare un modello di business più sostenibile, puntando principalmente sulle pubblicità.
A ciò si aggiunge un’altra questione: negli ultimi anni sono nati molti nuovi browser che, come Mozilla, usano le proprie funzionalità di privacy come punto di forza. Come Firefox, neanche DuckDuckGo, Brave, Vivaldi e Tor raccolgono molti dati di navigazione degli utenti né monitorano ciò che fanno online. E negli ultimi anni Mozilla ha fatto qualche scommessa che non ha funzionato molto bene: tra le altre cose, ha presentato un servizio crittografato di condivisione dei file che è stato presto utilizzato per distribuire virus informatici.
«Ma nonostante alcune delle sue mancanze, Firefox è ancora importante per l’ecosistema», ha scritto Matt Burgess su Wired. «Mozilla spinge le aziende a prestare più attenzione alla privacy, e Firefox è fondamentalmente diverso da tutti i suoi rivali. Tutti gli altri browser sul mercato si basano sul codice Chromium, sviluppato da Google, e da un motore sottostante che si chiama Blink e che permette di trasformare il codice in pagine web visualizzabili. I browser Edge (di Microsoft), Brave, Vivaldi e Opera utilizzano tutti versioni adattate di Chromium. Apple fa utilizzare agli sviluppatori il suo motore per browser WebKit su iOS. A parte questa eccezione, il motore del browser di Firefox, Gecko, è l’unica alternativa esistente. (…) Tutte le persone con cui ho parlato per questo articolo, sia dentro che fuori da Mozilla, sono d’accordo sul fatto che il successo di Firefox renderebbe il web un posto migliore».