Il governo ha bloccato la nave di Medici Senza Frontiere che soccorre i migranti
Accusa la ong di aver violato il nuovo codice di condotta per i soccorsi in mare: venerdì la nave sarebbe dovuta ripartire per una nuova missione
Giovedì sera la nave Geo Barents di Medici Senza Frontiere, che si trova nel porto di Augusta, in Sicilia, e che sarebbe ripartita venerdì per una nuova missione di soccorso in mare dei migranti, ha ricevuto dalla capitaneria di porto di Ancona una multa da 10mila euro e un fermo amministrativo di 20 giorni – cioè un blocco delle sue attività: non potrà lasciare il porto di Augusta – per aver violato il controverso e contestato codice di condotta delle navi delle ong, approvato in via definitiva proprio giovedì dal Senato. Prima del fermo amministrativo era previsto che la Geo Barents ripartisse per una nuova missione venerdì mattina alle 8.
Il governo non ha ancora commentato la notizia. Il fermo è arrivato dalla capitaneria di porto, che dipende dal ministero dei Trasporti: cioè dal ministro Matteo Salvini, noto per la sua ostilità contro le ong. Ancona è il porto da dove era ripartita la Geo Barents per la sua ultima missione, conclusa qualche giorno fa.
Con l’applicazione del codice il governo sta continuando a ostacolare le operazioni delle navi che soccorrono migranti nel Mediterraneo, come fatto più o meno dal giorno del suo insediamento. In un comunicato, Medici Senza Frontiere ha commentato che «non è accettabile essere puniti per aver salvato vite», e ha annunciato che farà ricorso al fermo (potrebbero volerci diversi giorni, però, per ottenere la decisione di un giudice).
Il governo accusa la Geo Barents di non essersi coordinata a sufficienza con le autorità italiane durante l’ultima missione, conclusa ad Ancona con lo sbarco di 48 persone soccorse nel Mediterraneo centrale. Il codice di condotta appena approvato in via definitiva – era in vigore da inizio gennaio – prevede delle sanzioni per l’equipaggio della nave che «non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniforma alle indicazioni della medesima autorità»: insomma, per ogni ong che prima di un soccorso in mare non si coordina con le autorità italiane.
In un primo momento sembrava che il governo avesse fermato la Geo Barents per la sua penultima missione. Il 24 gennaio la nave aveva soccorso 69 persone, e il giorno stesso aveva ricevuto dal governo l’indicazione di dirigersi verso il porto della Spezia. Ma il giorno dopo, il 25 gennaio, mentre stava andando verso La Spezia aveva fatto altre due operazioni di soccorso di imbarcazioni in difficoltà, con a bordo decine di persone ciascuna. Solo a quel punto era andata alla Spezia, come chiesto dal governo. Quella della Geo Barents a fine gennaio era stata la prima violazione da parte di una nave del codice di condotta sulle ong: ma ai tempi il governo non l’aveva sanzionata.
Il codice è molto contestato da diversi esperti di immigrazione e dalle ong, perché a loro dire viola le convenzioni internazionali sul soccorso in mare. Prevede per esempio che le navi delle ong si dirigano «senza ritardo» verso il porto assegnato loro dopo una operazione di soccorso. Da alcuni mesi il governo sta assegnando loro un porto dove sbarcare subito dopo la prima operazione, di fatto costringendole a non fare altre operazioni di soccorso. Nel codice di condotta non c’è un divieto esplicito di compiere più operazioni di soccorso: si dice però che le attività di una nave non devono «impedire di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco».
Con l’applicazione del codice di condotta il governo Meloni sta continuando, insomma, a ostacolare le operazioni delle ong nel Mediterraneo, imponendo loro una sola operazione di soccorso e indicando di sbarcare nei porti del Nord Italia, anziché del Sud come successo sempre negli ultimi anni. Di fatto sta cercando di rendere le operazioni più complesse e costose, scoraggiandole.
Nelle scorse settimane il governo aveva indicato alle navi delle ong come porti di sbarco diverse città del Centro e Nord Italia, fra cui Livorno, Ravenna, e Ancona. Il porto più a nord in cui erano state mandate era quello di Ravenna, in Emilia-Romagna, poco più a nord di quello di La Spezia. La pratica di mandare nei porti del Nord le navi delle ong prolunga le sofferenze delle persone soccorse, già provate da giorni di navigazione e da traumi subiti durante il naufragio o durante la permanenza nei centri di detenzione in Libia.