Cosa significa la sospensione del trattato nucleare New START decisa da Putin
Può avere effetti immediati limitati, ma segna la definitiva fine della fase del controllo e della limitazione delle armi atomiche
Al termine del lungo discorso alla nazione di martedì il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la sospensione della partecipazione della Russia al trattato New START (Strategic Arms Reduction Treaty), che ha l’obiettivo di monitorare i reciproci armamenti nucleari. È in vigore fra Stati Uniti e Russia dal 2011, è stato rinnovato l’ultima volta nel 2021, scade nel 2026 ed è l’ultimo trattato vigente in materia di controllo delle armi nucleari.
La sospensione della partecipazione da parte della Russia implica la fine dello scambio di informazioni riguardo ai rispettivi arsenali fra le due maggiori potenze nucleari al mondo e per la prima volta dal 1972 mette fine a ogni sorta di ispezioni reciproche. Di fatto il trattato era già sospeso, perché dal 2019 queste ispezioni non erano più state possibili, prima per i problemi legati alla pandemia da coronavirus, poi per le crescenti tensioni e l’invasione russa dell’Ucraina.
La sospensione formale di New START può segnare però la fine definitiva della stagione del controllo e della limitazione delle armi nucleari, dopo che alcuni trattati erano già stati via via eliminati o lasciati scadere nell’ultimo decennio.
Il trattato New START prevedeva una riduzione delle testate nucleari cosiddette “strategiche”, che a differenza di quelle “tattiche”, usate sul campo di battaglia, sono pensate per essere impiegate molto lontano dal fronte, e per danneggiare le capacità del nemico di fare la guerra, quindi anche con una funzione deterrente. Le armi nucleari “strategiche”, di fatto, sono quelle ben presenti nell’immaginario comune, bombe ad altissimo potenziale distruttivo capaci di devastare un’intera città. Le armi “tattiche” sono invece generalmente meno potenti, anche se la distinzione tra le due è spesso labile.
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Gli accordi del 2010 furono firmati dagli allora presidenti Barack Obama e
, e sono stati rinnovati nel 2021 pochi giorni dopo l’inizio della presidenza di Joe Biden (la precedente amministrazione di Donald Trump si era mostrata poco interessata a un rinnovo). Prevedevano che gli arsenali di Stati Uniti e Russia dovessero essere limitati a 1.550 testate ciascuno e a 800 vettori (lanciamissili, sottomarini e bombardieri), di cui 700 attivi. Per quel che riguarda le testate nucleari, implicavano una riduzione del 30 per cento dell’arsenale. Erano inoltre previste comunicazioni periodiche di informazioni circa dispiegamento ed evoluzione dell’arsenale, nonché ispezioni incrociate.Vladimir Putin nel discorso di martedì ha giustificato la sospensione della partecipazione al trattato parlando di quella che definisce “l’aggressione dell’Occidente” alla Russia. Secondo la propaganda del presidente russo non era possibile permettere agli ispettori americani di visitare i siti nucleari russi, perché questi avrebbero potuto passare informazioni sensibili al governo ucraino. Ha anche accusato gli Stati Uniti di aver vietato le ispezioni ai propri ispettori, cosa che il governo americano definisce falsa, sostenendo che si attendesse solo la reciprocità delle visite.
Putin ha poi chiarito che la sospensione non implica un ritiro definitivo dal trattato e che non riprenderanno test nucleari a meno che gli «Stati Uniti non li riprendano per primi». In seguito il ministero degli Esteri russo ha assicurato che la Russia non intende dispiegare più testate nucleari rispetto ai limiti previsti dal trattato.
Gli effetti immediati della sospensione possono essere limitati: come detto le ispezioni erano già bloccate da alcuni anni e gli Stati Uniti sembrano comunque in grado di controllare a distanza, soprattutto con l’impiego dei satelliti, i movimenti dell’arsenale nucleare russo. Però secondo alcuni esperti la sospensione di comunicazioni di routine fra i due paesi riguardo alle armi nucleari non sarà totalmente senza conseguenze.
Inoltre la decisione sembra sancire definitivamente la fine del periodo di controllo e non proliferazione nucleare, già in crisi dopo alcune precedenti decisioni. L’ultima era stata l’annuncio del governo statunitense del ritiro formale dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), cioè l’accordo che nel 1987 mise al bando qualsiasi missile balistico e da crociera basato a terra con gittata compresa tra i 500 e i 5.500 chilometri: allora gli Stati Uniti si ritirarono dal trattato accusando la Russia di averlo violato.
New START, in scadenza nel 2026, non sarebbe stato ulteriormente rinnovabile, ma era necessario sostituirlo con un nuovo trattato: i rapporti attuali fra Russia e Stati Uniti rendono questa prospettiva molto improbabile. In più oggi, a differenza del passato, le potenze con un significativo arsenale nucleare non sono più solo due (Stati Uniti e Unione Sovietica) e fra quelle più dotate c’è il paese che più minaccia la supremazia statunitense nel mondo: la Cina. Per questo motivo gli Stati Uniti avevano espresso l’intenzione di coinvolgere il governo cinese nei colloqui su futuri accordi riguardanti il controllo delle armi nucleari, ricevendo però per ora un no come risposta. Il governo cinese secondo fonti di intelligence starebbe seguendo un progetto a lungo termine per raggiungere Russia e Stati Uniti a quota 1.550 testate nucleari.
In questo contesto internazionale vanno poi inseriti i test missilistici della Corea del Nord e il programma nucleare dell’Iran. La tendenza ultradecennale che pareva consolidata riguardo a una limitazione delle armi nucleari come strumento di potere e deterrenza sembra in questa fase essersi invertita.