L’Union Berlino ci prova davvero
In testa al campionato di calcio tedesco, tra Bayern Monaco e Borussia Dortmund, c’è la squadra popolare e autogestita di Berlino Est, che fin lì non era mai arrivata
di Pietro Cabrio
Dopo i risultati dell’ultimo fine settimana ci sono tre squadre in testa a pari merito al campionato di calcio tedesco, la Bundesliga. Due sono scontate: il Bayern Monaco, che lo vince da dieci anni di fila, e il Borussia Dortmund, la rivale più attrezzata. L’altra invece è una grande novità da qualsiasi parte la si guardi, perché l’Union Berlino, oltre a essere una squadra speciale, non è mai stata così in alto.
Appena quattro anni fa l’Union giocava in seconda divisione e non era mai stata in Bundesliga. Dal 2019, anno del suo esordio, non ha fatto che migliorarsi, passando dall’undicesimo posto al quinto dell’anno scorso, con annessa qualificazione alle coppe europee. Da quando è in Bundesliga va sempre meglio di quello che dovrebbe stando a numeri e bilanci. Nella passata stagione era la penultima squadra del campionato per monte ingaggi e valore complessivo della rosa; quest’anno è la quartultima per monte ingaggi e l’undicesima per valore della rosa.
I risultati sono impressionanti e ben al di sopra delle aspettative, ma se si parla dell’Union Berlino sono soltanto una parte della storia.
Il club attuale è il risultato di oltre un secolo di incroci e appunto unioni fra decine di piccole squadre locali che dal 1920 hanno avuto come centro il quartiere popolare di Köpenick, nella vecchia Berlino Est. Questo centro è rappresentato in particolare dallo stadio a ridosso di un grande parco pubblico, l’An der Alten Försterei, che per tre quarti è fatto di gradinate spoglie, senza posti a sedere, come si usava una volta.
L’An der Alten Försterei fu ricostruito nel 2009 da tifosi volontari, gli stessi che nel 2004 salvarono il club da una probabile bancarotta anche con i rimborsi che in Germania riceve chi dona il sangue. L’impianto è inoltre al servizio della comunità che lo ha costruito: a Natale ospita per esempio un grande mercatino natalizio dove oltre 20mila persone si ritrovano tra bancarelle, canti tipici ed eventi benefici.
In Germania le squadre di calcio professionistiche non possono essere proprietà di un unico soggetto: la maggioranza delle loro azioni deve essere posseduta dai soci, quindi tifosi e sostenitori. È la cosiddetta regola del “50+1”, che viene applicata, salvo eccezioni, da tutte le squadre creando grande attaccamento e partecipazione, come dimostrano gli stadi sempre pieni e il bell’ambiente che si respira in generale.
L’Union però è speciale perché non si limita soltanto a rispettare la posizione maggioritaria dell’azionariato popolare, ma applica questo concetto alla totalità delle sue quote. Tutti i suoi 48.368 soci contano allo stesso modo e nessuno può avere più “peso” degli altri, come accade invece in altri club (il Bayern Monaco, per esempio, tra i cui soci di minoranza ci sono grosse aziende come Adidas, Audi e Allianz). L’attuale presidente dell’Union, Dirk Zingler, è soltanto un tifoso fra i tanti, con esperienza nel settore imprenditoriale, eletto dalla maggioranza dei soci. Le sue decisioni devono ricevere sempre l’approvazione di un gruppo di supervisori, cioè di altri tifosi.
Questa linea societaria è stata ereditata in maniera naturale dalla storia del club. Dopo la costruzione del Muro di Berlino e la divisione della città tra settori, l’Union rimase infatti una squadra dalla forte connotazione operaia e finì a giocare nel campionato della DDR, dove nacquero sentite rivalità con le squadre controllate da militari e corpi di polizia, su tutte la Dinamo Berlino e la Dinamo Dresda. La contrapposizione alle due squadre statali fece diventare l’Union la squadra di calcio di riferimento per i dissidenti e successivamente anche per le folte scene punk e skinhead in una città storicamente legata alle sottoculture. Da lì nacque anche il motto «Eisern Union» (l’unione di ferro), come il titolo dell’inno cantato da Nina Hagen.
Anche se a fine stagione non dovesse riuscire a vincere il campionato, o a qualificarsi per la prima volta in Champions League, la società sta già cercando di capitalizzare quanto ottenuto finora, anche perché rimette in circolo e reinveste nel club tutto quello che guadagna (soltanto l’anno scorso ha chiuso il bilancio in attivo di 12,7 milioni di euro con un aumento delle entrate del 50 per cento dall’annata precedente).
E così nel 2024 ha in programma di rifarsi lo stadio, ma non per sostituire le gradinate di cemento, che rimaranno, e nemmeno per installare un segnapunti elettronico, perché quello manuale funziona sempre, bensì perché la domanda di biglietti è talmente alta che ora riempirebbe due volte l’attuale stadio da 22mila posti.
L’Union ha sempre avuto una storia complicata e ora sta vivendo il suo miglior momento, che capita proprio nel peggior periodo per l’Hertha, la squadra di Berlino Ovest, storicamente la più rilevante. Soprannominata “die alte Dame”, che come per la Juventus in Italia vuol dire “la vecchia signora” ha un passato austero e importante, ma tra annosi dissidi interni e investimenti sbagliati, rischia ancora una volta la retrocessione.
Negli ultimi anni il derby tra le due squadre di Berlino si è fatto sempre più acceso. Nel 2024, tuttavia, l’Union si sposterà temporaneamente nello stadio dell’Hertha, l’Olympiastadion, dove già gioca le sue partite europee perché le gradinate in cemento dell’An der Alten Försterei non sono conformi alle regole della UEFA. Fra due anni però l’Union potrebbe essere anche l’unica squadra di Berlino in Bundesliga.
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