Come sente le voci chi “sente le voci”?
Una ricerca offre nuovi spunti per studiare le allucinazioni uditive, partendo da come ci percepiamo parlare
È probabile che almeno per un istante sentirete leggere questo articolo dalla vostra voce interiore: forse è successo proprio in questo momento dopo che ve lo abbiamo fatto notare. Saltuariamente, “sentire” i propri pensieri è normale e rientra nel modo in cui la nostra mente organizza e gestisce le informazioni. In alcuni casi, però, questo processo prende percorsi inattesi e causa una allucinazione uditiva (“paracusia”), che porta a percepire come reali suoni e voci di altre persone senza che in realtà ci sia un vero stimolo uditivo o qualcuno stia parlando. Questa condizione, studiata da tempo da psichiatri e neurologi, può essere invalidante e può causare col tempo altri disturbi mentali.
Nella storia gli esempi di persone che “sentivano le voci” non sono certo mancati. Tra i casi più famosi c’è probabilmente quello di Giovanna d’Arco, protagonista di importanti gesta militari nella Francia del quindicesimo secolo che all’età di 13 anni aveva iniziato a sentire alcune voci, attribuite a santi della tradizione cattolica. Riteneva che quei messaggi esprimessero la volontà di Dio e che dovessero essere quindi seguiti alla lettera.
Come Giovanna d’Arco, spesso le persone con paracusia dicono di sentire una voce che esprime opinioni che non riconoscono come proprie, oppure voci di più persone che discutono tra loro, o ancora una voce interiore – diversa dalla propria – che racconta ciò che si sta facendo, come una sorta di narratore in terza persona. Le cause non sono ancora completamente note e sono oggetto di studi e analisi psichiatriche, ma secondo alcuni gruppi di ricerca comprendere come il nostro cervello distingue tra la propria voce e quella delle altre persone potrebbe offrire importanti elementi per studiare meglio le allucinazioni uditive.
Ci ha provato di recente un gruppo di ricerca della Scuola politecnica federale di Losanna, in Svizzera, partendo da una condizione in cui prima o poi ci troviamo tutti: sentire la registrazione della propria voce e stentare a riconoscerla, perché suona diversamente da come siamo solitamente abituati a sentirla quando parliamo. Quella strana sensazione deriva dal fatto che non sentiamo la nostra voce solamente con l’udito come percepiamo quella delle altre persone, ma anche attraverso le vibrazioni nel nostro cranio che derivano dai movimenti e dalle onde sonore che si producono quando emettiamo le parole. Sentiamo parte della nostra voce di riflesso, considerato che le nostre orecchie sono poste dietro alla bocca. Inoltre le ossa del cranio trasmettono le basse frequenze meglio dell’aria, di conseguenza tendiamo a sentire la nostra voce più bassa e intensa di quanto facciano le persone che ci ascoltano.
Il gruppo di ricerca di Losanna si è chiesto se utilizzando auricolari a conduzione ossea l’esperienza di sentire la registrazione della propria voce diventasse più simile a quella di sentirsi normalmente parlare, in modo da offrire una nuova base da cui partire per studiare come il nostro cervello riconosce e interpreta le voci. Come suggerisce il nome, gli auricolari a conduzione ossea non stimolano direttamente l’apparato uditivo, ma diffondono il suono attraverso le ossa del cranio, dopo essere state collocate tra la tempia e la guancia. Questi auricolari producono piccole vibrazioni meccaniche che raggiungono poi l’orecchio interno attraverso il cranio.
A un gruppo di volontari è stato richiesto di pronunciare per alcuni secondi la parola “ah” mentre la loro voce veniva registrata. In un secondo momento, la registrazione è stata mischiata con la registrazione di un numero variabile di altre voci, in modo da rendere più o meno distinguibile la voce di partenza. Ad alcuni volontari è stato poi richiesto di ascoltare le registrazioni con gli auricolari a conduzione ossea, ad altri utilizzando cuffie normali e ad altri ancora di ascoltare attraverso le casse di un comune computer portatile. A ogni partecipante è stato poi chiesto di indicare se tra le registrazioni ascoltate ci fosse effettivamente anche quella della loro voce.
I volontari che avevano utilizzato gli auricolari a conduzione ossea hanno riconosciuto la propria voce più di frequente rispetto agli altri. Il gruppo di ricerca ha allora provato a sottoporre loro ulteriori registrazioni, contenenti un mix della voce di ogni singolo volontario con quella di alcuni loro amici. In questo caso non è stata rilevata una particolare differenza nell’identificazione delle voci: alcuni volontari hanno mostrato di riconoscere più facilmente la propria, forse perché abituati a distinguere più facilmente le voci che conoscono da tempo.
Il gruppo di ricerca di Losanna ritiene che da esperimenti di questo tipo si potrebbero ricostruire i meccanismi che utilizza il nostro cervello per riconoscere la nostra voce e, su livelli più elaborati, parte del sé, inteso come il nucleo della personalità di ogni singolo soggetto. Studi di questo tipo riguardano per esempio l’analisi delle aree del cervello che si attivano quando riconosciamo noi stessi attraverso i sensi. Queste conoscenze potrebbero aiutare a comprendere meglio le condizioni che portano alcune persone a percepire voci interne diverse dalla propria, al punto da avere la sensazione di sentirle parlare.