I risultati del più grosso studio sulla settimana lavorativa di quattro giorni
La cosiddetta “settimana corta” non diminuisce la produttività, non danneggia le aziende e chi lavora sta meglio
Martedì sono stati pubblicati i risultati di uno studio, il più ampio al mondo finora sull’argomento, sulla settimana lavorativa di quattro giorni anziché cinque: come altre ricerche svolte finora, lo studio suggerisce che la riduzione dell’orario di lavoro diminuisca lo stress di chi lavora e non intacchi la produttività delle aziende, in alcuni casi aumentandola. La maggior parte delle aziende coinvolte, 61 in tutto, ha deciso di non tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni.
La settimana lavorativa di quattro giorni è un tema discusso da tempo e su cui sono stati fatti esperimenti in più paesi. I risultati sono stati finora incoraggianti, anche se diversi economisti hanno invitato a prenderli con cautela: gli studi condotti finora erano stati fatti su campioni relativamente ridotti e non avevano dato risultati generalizzabili su larga scala. Benché lo studio appena pubblicato sia decisamente più esteso dei precedenti, anche i suoi risultati vanno presi con qualche cautela: le aziende coinvolte sono perlopiù di piccole dimensioni e già intenzionate a investire nella settimana corta.
Manca ancora, in altre parole, uno studio condotto su aziende con dimensioni e ambizioni molto diverse tra loro, e per misurare l’impatto della settimana lavorativa corta sul lungo periodo serve inoltre più tempo.
Lo studio pubblicato martedì ha coinvolto 2.900 dipendenti e si è svolto nell’arco di sei mesi tra giugno e dicembre 2022 su aziende di diverso tipo presenti soprattutto nel Regno Unito. È stato coordinato dall’organizzazione non profit 4 Day Week Global e dal centro studi britannico Autonomy, e ha coinvolto gruppi di ricerca di diverse università: alcune europee, come l’università di Cambridge e di Salford nel Regno Unito, la University College Dublin in Irlanda e la Libera Università di Bruxelles, e una americana (il Boston College, nel Massachusetts).
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Lo studio è stato condotto con un certo grado di gradualità e flessibilità. Le aziende coinvolte sono state preliminarmente preparate con due mesi di workshop e incontri basati sull’esperienza delle aziende che avevano già provato la settimana corta oltre che sugli studi svolti al riguardo. Alle aziende è stato inoltre presentato un ventaglio piuttosto ampio di possibilità su come accorciare la settimana: il requisito era che venisse significativamente accorciato l’orario di lavoro mantenendo lo stesso stipendio.
La maggior parte delle aziende, comunque, ha optato per il venerdì libero, e quindi per quattro giorni lavorativi seguiti da tre non lavorativi.
I risultati sono stati raccolti basandosi sui dati forniti dalle stesse aziende (per esempio per quanto riguarda i fatturati) e su una serie di interviste fatte nell’arco dei sei mesi ai dipendenti coinvolti. Delle 61 aziende coinvolte, 56 (cioè il 92 per cento) hanno detto di voler mantenere la settimana lavorativa di quattro giorni senza tornare a quella di cinque: di queste, 18 hanno descritto il cambiamento come definitivo.
Un risultato sorprendente ha riguardato i fatturati delle stesse aziende: lo studio dice che durante tutto il periodo di prova le loro entrate economiche sono rimaste sostanzialmente invariate, con un aumento medio dell’1,4 per cento. Per misurare in modo più preciso l’impatto della settimana corta sulla produttività, gli autori dello studio hanno inoltre confrontato il fatturato dei sei mesi di progetto con quello di un equivalente periodo di tempo in cui la settimana lavorativa era di cinque giorni, concludendo che in questo caso l’aumento del fatturato sale mediamente al 35 per cento.
Anche per quanto riguarda i dipendenti i risultati sembrano molto incoraggianti. Al termine dei sei mesi di progetto, il 39 per cento dei dipendenti intervistati risultava meno stressato e il 71 per cento aveva ridotto il proprio livello di burnout (la cosiddetta sindrome da stress lavorativo, diversa dal semplice stress in quanto generalmente più negativa e impattante). Sono diminuiti anche ansia, stanchezza e problemi di sonno, mentre sono generalmente migliorate le condizioni di salute sia psichica che fisica dei dipendenti: la riduzione nelle richieste di permessi per assentarsi dal lavoro è stata pari al 65 per cento, passando da una media di due a 0,7 giorni al mese per dipendente.
Nei sei mesi di tempo oggetto della ricerca, inoltre, il numero di dipendenti che ha deciso di lasciare il posto di lavoro è calato molto, del 57 per cento durante i periodi di prova. Il 15 per cento dei dipendenti intervistati ha detto anche di essere disposto a guadagnare meno pur di non tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni.
È molto migliorato anche l’equilibrio tra gli impegni lavorativi e personali dei dipendenti: il 54 per cento degli intervistati ha detto di aver conciliato più facilmente il lavoro con gli impegni familiari e di cura e il 62 per cento il lavoro con la propria vita sociale. Molti dipendenti si sono inoltre detti generalmente più soddisfatti delle proprie finanze, della gestione del proprio tempo e delle proprie relazioni.
Joe Ryle della 4 Day Week Global ha definito la pubblicazione dei risultati dello studio un «importante momento di svolta». A breve questi stessi risultati saranno presentati alla Camera dei comuni britannica (l’equivalente della nostra Camera dei deputati). L’evento di presentazione sarà presieduto dal deputato Laburista Peter Dowd, che proprio lo scorso ottobre aveva presentato un disegno di legge che punta a ridurre la lunghezza massima della settimana lavorativa da 48 a 32 ore.