Sentiremo parlare di “policrisi”
Il termine va molto di moda per descrivere la situazione economica e politica mondiale, ma sta anche creando scetticismo
Da alcuni mesi, soprattutto sui media e negli ambienti economici anglosassoni, è diventata molto di moda la parola “policrisi”, in inglese “polycrisis”, un termine che cerca di descrivere l’attuale situazione mondiale in cui numerose grandi crisi (economica, climatica, politica) si accumulano e si amplificano l’una con l’altra. Il termine è piuttosto usato sui giornali, anche con qualche scetticismo, si trova nelle ricerche degli scienziati politici, è stato ritenuto una delle parole dell’anno appena trascorso, è stato usato da celebri economisti ed è diventato uno degli argomenti più discussi dell’ultimo World Economic Forum di Davos, all’inizio di quest’anno.
“Policrisi” sta ottenendo qualche successo, sebbene più limitato, anche in Italia, e ha una storia interessante. Il termine, sviluppato negli anni Novanta, era stato recuperato alcuni anni fa dall’ex presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Ma è diventato davvero celebre soltanto dopo essere stato adottato da uno degli storici dell’economia più famosi degli ultimi anni, il britannico Adam Tooze, che l’ha usato come un modo per interpretare la confusa situazione dell’economia mondiale, complicata dalla crisi climatica, dalla guerra e da numerose altre crisi. “Policrisi” sta trovando però anche molte resistenze, soprattutto tra chi dice che in realtà non contribuisce a definire un fenomeno nuovo, e che per questo l’utilizzo del termine è una moda passeggera destinata a sparire.
Adam Tooze ha dedicato numerose edizioni della sua popolare newsletter Chartbook alla policrisi, ma la descrizione più sintetica del termine si può leggere probabilmente in un articolo pubblicato dallo stesso Tooze sul Financial Times lo scorso ottobre. Tooze parte da una citazione di Larry Summers, ex segretario del Tesoro americano e uno degli economisti più celebri del mondo, che di recente ha detto, commentando l’accumularsi di varie crisi di livello globale come la pandemia e la guerra: «Questa è la più complessa, disparata e trasversale serie di sfide che ricordi nei 40 anni da quando ho cominciato a fare attenzione a queste cose».
La tesi, secondo Tooze, è che ci troviamo in un momento in cui le grandi crisi globali «interagiscono tra loro in maniera tale che l’insieme delle parti è più opprimente della loro semplice somma». Ciascuna crisi, secondo Tooze, diventa un fattore di un’altra crisi, e contribuisce ad amplificarla.
La pandemia da coronavirus, oltre alle conseguenze dirette e terribili in termini di morti e lockdown in tutto il mondo, è stata una delle cause scatenanti della grande crisi dei commerci globali. Sempre la pandemia, che ha spinto i governi occidentali ad adottare politiche economiche molto espansive per sostenere la popolazione durante i periodi di lockdown, è una delle tante cause dell’aumento dell’inflazione, soprattutto negli Stati Uniti. Ma anche la crisi dei commerci globali ha un evidente ruolo nell’aumento dell’inflazione. La guerra in Ucraina provocata dalla Russia di Vladimir Putin ha amplificato a sua volta i problemi dell’inflazione, e ha contribuito ai blocchi commerciali. A questo si aggiunge la crisi climatica, con tutta una serie di problemi e complicazioni.
Si potrebbe andare avanti. In uno dei numeri della sua newsletter, pubblicato ormai qualche mese fa, Tooze ha realizzato uno schemino della policrisi per come la vede lui, che non ha un gran valore dal punto di vista esplicativo ma aiuta quanto meno a comprendere l’enorme confusione e interconnessione delle crisi.
Tooze riconosce che il mondo è sempre stato complesso, e non è certo la prima volta che numerose crisi si amplificano l’una con l’altra. Ma secondo lui «ciò che rende le crisi degli ultimi 15 anni così disorientanti è che non sembra più possibile indicare una singola causa e, di conseguenza, una singola soluzione». Ancora negli anni Ottanta del Novecento, sostiene Tooze, era possibile immaginare che il “mercato” avrebbe sistemato le crisi economiche, o incolpare il “neoliberismo” di tutte le disgrazie del mondo, a seconda delle appartenenze politiche. Oggi non lo è più: le crisi non hanno più una sola origine, e dunque non hanno più una sola soluzione.
Il termine policrisi fu inventato dal filosofo e sociologo Edgar Morin negli anni Novanta, in riferimento soprattutto alla crisi climatica. Non ebbe molto successo sul momento, ma fu recuperato nel 2016 da Jean-Claude Juncker, che allora era presidente della Commissione Europea, che disse, in riferimento alle molte crisi che l’Europa stava vivendo in quel momento (da quella del debito sovrano a quella migratoria), che l’Unione Europea rischiava di «camminare come una sonnambula da una crisi all’altra, senza mai svegliarsi».
Ma policrisi è diventato celebre in questi mesi soprattutto grazie a Tooze, perché riesce con una parola sola a definire una sensazione di disagio diffuso e complessità impossibile da districare che accomuna molte persone in tutto il mondo. Altre parole stanno cercando di esprimere questo stesso disagio: il dizionario d’inglese Collins ha eletto come parola dell’anno 2022 “permacrisis”, mentre il celebre economista Nouriel Roubini in un libro da poco uscito ha cercato di rendere popolare il termine “megathreats” (che significherebbe “mega minacce” e in italiano è stato tradotto con “grandi minacce”).
“Policrisi” rimane almeno per ora la versione più popolare.
Il termine, benché evocativo ed efficace, è tuttavia molto generico, soprattutto se utilizzato in ambito economico: da alcuni è stato definito un «meme» che deve ancora essere riempito di significato. Per questo negli ultimi mesi c’è stato un certo dibattito attorno al tentativo di individuare le caratteristiche di una policrisi. Per brevità possiamo tornare all’articolo di Tooze sul Financial Times, secondo cui «nella policrisi gli shock sono numerosi, ma interagiscono in maniera tale che l’insieme è più sconvolgente della somma delle parti. A volte sembra che si perda il senso della realtà». Con quest’ultima frase Tooze intende dire che nella policrisi i problemi sono così intricati e connessi tra loro che a un certo punto diventa difficile mantenere la stessa percezione tra tutte le persone che li devono affrontare.
Com’è prevedibile, un termine così generico ha creato ampi e giustificati scetticismi. In particolar modo, è stata attaccata l’idea che la policrisi sia un fenomeno nuovo, e che le crisi mondiali siano diventate in qualche modo più complesse, intricate e irrisolvibili oggi che nei decenni passati. Sono usciti articoli che elencavano i numerosi periodi di enormi e complesse crisi, a partire dalle due Guerre mondiali del Novecento.
Su Bloomberg, l’economista Andreas Kluth sostiene che finora gli apologeti della policrisi non siano stati in grado di dimostrare che la parola descriva un fenomeno nuovo: una molteplicità di crisi che si intersecano e si amplificano l’una con l’altra è comune a molti grandi fenomeni storici, basti pensare alla caduta dell’Impero romano. Per questo, sostiene, un neologismo che non definisce nessun fenomeno nuovo non è utile e non merita di essere utilizzato.