Come il Giappone sta provando a riarmarsi
Il paese è tradizionalmente pacifista ma ha approvato una riforma che raddoppia la spesa militare, con grosse conseguenze
di Guido Alberto Casanova
Lo scorso dicembre il governo giapponese ha approvato una riforma storica con cui, dopo decenni trascorsi senza un esercito regolamentare e ad applicare una politica estera pacifista, il paese ha deciso di riarmarsi. Il governo del primo ministro Fumio Kishida ha pubblicato tre nuovi documenti sulla difesa che modificano completamente l’assetto militare e strategico del paese. Prevedono tra le altre cose un forte aumento della spesa per la difesa, nuove capacità militari, acquisto di missili a lungo raggio.
L’importanza del riarmo del Giappone è in parte storica, perché la costituzione giapponese, voluta dagli Alleati dopo la Seconda guerra mondiale, sostiene che il paese “non riconoscerà il diritto alla belligeranza” e che “non saranno mai mantenute forze terrestri, marine e aeree né qualsiasi altro potenziale bellico”. Ma è anche politica e militare: benché stia attraversando una lunga fase di stagnazione, il Giappone è la terza economia del mondo, e un suo maggiore investimento nell’esercito potrebbe avere conseguenze importanti in tutta la regione, e non solo.
Una nazione pacifista?
Il Giappone uscì dalla Seconda guerra mondiale come un paese sconfitto sul piano militare e devastato su quello materiale. Non solo per le due bombe atomiche sganciate nell’agosto del 1945, ma soprattutto per la distruzione che la guerra portò in tutto il paese. Meno conosciuti delle vicende di Hiroshima e Nagasaki sono i bombardamenti incendiari che gli Alleati fecero sulle altre città del Giappone. Yokohama, Nagoya, Osaka, Kobe, Shizuoka furono in buona parte rase al suolo, visto che all’epoca gran parte delle strutture erano in legno. I bombardamenti su Tokyo uccisero oltre 100.000 persone in una sola notte. Durante la battaglia di Okinawa circa la metà dei civili sull’isola morì. L’allora governo giapponese, che aveva deciso di condurre una “guerra totale”, portò il paese alla fame e alla rovina.
Ma la conseguenza più profonda della disfatta del Giappone imperiale fu la sua sconfitta morale. Il militarismo, la missione imperialista, l’espansionismo aggressivo e lo stesso sistema politico autoritario uscirono distrutti dalla resa incondizionata del paese. La costituzione, adottata nel 1947 durante l’occupazione statunitense, incarnava quindi la determinazione a impedire il ritorno di un sistema che aveva portato il Giappone alla rovina e che aveva inferto immani sofferenze ai paesi vicini.
Da allora nessun governo giapponese ha mai emendato la costituzione, ma negli anni la sua interpretazione ha subìto alcuni cambiamenti. Oggi il Giappone possiede delle Forze di autodifesa – note in giapponese come Jieitai, o con l’acronimo inglese di SDF – che non possono definirsi forze armate ma che in sostanza sono ugualmente incaricate di difendere la sicurezza e l’integrità del paese dalle minacce esterne.
Nell’ultimo decennio questa continua reinterpretazione ha cambiato velocità man mano che il panorama regionale in cui si trova il Giappone si è fatto sempre più instabile. Lo sviluppo dell’armamento nucleare nordcoreano, la modernizzazione militare cinese e infine lo scoppio della guerra in Ucraina hanno cambiato radicalmente il modo in cui il paese percepisce il proprio posto in Asia orientale.
Ad esempio, nel caso di un ipotetico conflitto tra Cina e Stati Uniti nello stretto di Taiwan, per il Giappone sarebbe virtualmente impossibile evitare di essere coinvolto dal momento che ospita sul proprio territorio numerose basi militari dell’alleato statunitense. Ma mentre questa prospettiva è rimasta a lungo una possibilità remota, le tensioni attorno a Taiwan e soprattutto l’invasione russa dell’Ucraina hanno diffuso in Giappone la consapevolezza che una guerra deve essere presa in considerazione come un’opzione possibile.
Da questo punto di vista il 2022 è stato l’anno che ha concluso il dibattito nazionale pluridecennale su quale sia l’identità del paese e, quindi, su quale sia la strada da seguire sul piano militare.
I giapponesi ormai sostengono in maggioranza l’idea che il paese si debba riarmare per difendersi dalle minacce esterne. A inizio anni Duemila nella popolazione non esisteva un consenso così diffuso come oggi sul tema della sicurezza e anzi un’azione di riarmo sarebbe stata considerata estremamente controversa, e apertamente contestata da una grossa parte della società civile. Oggi le cose sono cambiate.
La riforma della difesa
La riforma rappresenta un cambiamento importante per le Forze di autodifesa giapponesi. Il più evidente riguarda la spesa militare. Fin dal 1976 il paese ha mantenuto arbitrariamente le spese militari entro l’1 percento del PIL. Questo vincolo autoimposto è caduto a dicembre, quando il governo giapponese ha stabilito che la spesa militare andrà aumentata fino al 2 percento entro cinque anni. L’aumento dovrebbe far crescere il budget quinquennale per la difesa da 27,5 mila miliardi a 43 mila miliardi di yen (cioè da 194 miliardi a 303 miliardi di euro al tasso di cambio attuale): sarebbe sufficiente a posizionare il paese come terza potenza al mondo, dopo Stati Uniti e Cina, per entità del budget militare. Nella legge di bilancio proposta per l’anno fiscale che inizierà ad aprile, il governo prevede già un aumento della spesa militare del 26,3 percento rispetto all’anno corrente.
L’aspetto più interessante però riguarda le nuove capacità che il Giappone intende adottare. Se il potenziamento dell’unità di cybersicurezza è un passo in avanti per un paese che finora aveva abbastanza trascurato quest’ambito, la decisione di acquisire capacità di contrattacco è senza dubbio molto più rilevante dal punto di vista strategico.
Per capacità di contrattacco si intende un arsenale di missili di precisione a lunga gittata, capaci di colpire in profondità nel territorio di un paese ostile (come Cina o Corea del Nord) per metterne fuori uso il potenziale militare offensivo o le infrastrutture strategiche. Il Giappone non ha mai posseduto armamenti di questo tipo e, oltre all’acquisto previsto di 500 missili Tomahawk di fabbricazione statunitense, prevede di svilupparne di propri con l’obiettivo di migliorare la propria capacità di deterrenza da possibili attacchi esterni.
L’obiettivo del 2 percento del PIL in spesa militare da raggiungere entro la fine dell’anno fiscale 2027/2028 mette il Giappone in linea con gli standard di spesa militare della NATO, con la quale Kishida ha tentato di intessere rapporti sempre più stretti nell’ultimo anno. L’alleanza con gli Stati Uniti rimane il pilastro attorno a cui il paese ha strutturato la propria difesa ma gli eventi degli ultimi anni, dalla caduta di Kabul all’invasione dell’Ucraina, hanno persuaso il Giappone che questa garanzia non sia sufficiente e che anzi le proprie capacità militari vadano arricchite.
Oltre a espandere le proprie capacità militari e a rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti, il Giappone sta cercando di approfondire i propri rapporti strategici con gli altri paesi che fanno parte del sistema di alleanze statunitense: anzitutto l’Australia e il Regno Unito. Anche l’Italia rientra tra i partner con cui Kishida intende espandere la cooperazione per la difesa.
Il Giappone non sarà una potenza militare
Sebbene sia un cambiamento storico, il Giappone non intende ritrasformarsi in una potenza militare. L’impianto strategico e costituzionale rimane orientato in senso esclusivamente difensivo, benché la riforma riconosca che l’ambiente strategico circostante sia “tanto grave e complesso come non lo è mai stato dalla fine della Seconda guerra mondiale”.
Inoltre questo processo di riarmo deve fare i conti con grossi limiti interni. Finanziare un tale aumento della spesa pubblica non sarà affatto semplice per un paese già di per sé molto indebitato, afflitto dal calo demografico e incapace di far ripartire la crescita economica. In Giappone si sta discutendo molto della possibilità che venga emesso nuovo debito per finanziare il nuovo budget militare. L’alternativa più probabile è che il governo aumenti la pressione fiscale sui cittadini per sostenere questa spesa, ma si tratta di una decisione politicamente delicata. Kishida ha già fatto intendere di non voler procedere ad alzare le tasse senza prima aver ottenuto il necessario consenso degli elettori, ma la debolezza nei sondaggi del premier in carica rende la prospettiva di un voto anticipato abbastanza improbabile.
C’è poi un’inaggirabile questione di fondo: le Forze di autodifesa non hanno abbastanza personale. Da quasi un decennio le Jieitai faticano ad attirare reclute per riempire i propri ranghi e le proiezioni demografiche per il futuro non fanno che restringere il bacino di giovani a cui i reclutatori potranno rivolgersi. Le autorità giapponesi stanno cercando di rendere la carriera militare più accattivante ma la competizione sull’offerta di lavoro delle aziende private è notevole, sia in termini di prospettive d’impiego che di prestigio sociale.