Le dimissioni di Nicola Sturgeon sono un brutto colpo per l’indipendentismo scozzese
Per alcuni la prima ministra era la «colla» che teneva unite le varie anime del movimento, oltre che il suo volto più credibile e autorevole
Mercoledì la prima ministra scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato che si dimetterà dal suo incarico non appena il suo partito, il Partito Nazionale Scozzese (SNP), indicherà un successore. La notizia è stata interpretata da molti commentatori e persone interne al partito come un brutto colpo per la causa indipendentista scozzese, la principale proposta politica dell’SNP e dell’attuale governo regionale scozzese guidato proprio da Sturgeon.
«La conseguenza più importante delle sue dimissioni è che il movimento indipendentista non sa quale sarà il suo prossimo passo», ha scritto per esempio Robert Shrimsley, capo degli analisti del Financial Times sulle questioni britanniche. «Oggi l’indipendentismo è una nave senza capitano», ha detto invece a Politico Luke Graham, ex consulente dell’ufficio del primo ministro britannico sulla coesione interna del Regno Unito.
L’SNP domina la politica scozzese da una quindicina d’anni, durante i quali è riuscito sia a indire un referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, nel 2014, sia a gestire le conseguenze politiche della vittoria del No a quel referendum, riuscendo a far rimanere la questione dell’indipendenza al centro del dibattito politico. Buona parte del merito va dato proprio a Sturgeon. Entrò in carica da prima ministra e leader dell’SNP due mesi dopo la sconfitta del 2014, e per molti anni è stata il volto credibile e autorevole dell’indipendentismo. Sembra plausibile che il sostegno all’indipendenza dal Regno Unito sia stato alimentato anche dalle riconosciute capacità amministrative di Sturgeon.
Durante il primo anno della pandemia da coronavirus il governo scozzese è stato spesso lodato per il suo approccio prudente e più in linea con i paesi dell’Europa occidentale rispetto a quello del governo britannico, che sovrintende il sistema sanitario inglese (in Scozia la sanità è una competenza esclusiva del governo scozzese, e non di quello centrale). Per tutto il 2020 e buona parte del 2021 nei sondaggi sull’indipendenza dal Regno Unito il Sì (cioè l’indipendenza) è stato in vantaggio rispetto al No.
Nel maggio del 2021 l’SNP capitalizzò questo periodo stravincendo le elezioni parlamentari in Scozia, ma da lì in poi sono iniziati i problemi. Dopo la vittoria Sturgeon promise di indire un nuovo referendum alla fine della pandemia, ma fin da subito fu chiaro che il governo britannico guidato dai Conservatori – il cui assenso è necessario – non l’avrebbe permesso. A novembre del 2022 la Corte Suprema del Regno Unito ha confermato che la Scozia non può chiedere un referendum sull’indipendenza senza l’approvazione del governo o del parlamento britannico. Più o meno negli stessi mesi il governo di Sturgeon ha avuto altri inciampi: come la polemica sulle donne trans condannate per stupro detenute nelle carceri femminili, per via di alcune linee guida approvate dal governo. Dalla metà del 2021 nei sondaggi per l’indipendenza il Sì e il No sono praticamente pari.
Dopo la decisione della Corte Suprema del Regno Unito, Sturgeon aveva fatto sapere che la nuova strategia dell’SNP per tenere un referendum sull’indipendenza sarebbe stata trattare le prossime elezioni parlamentari del Regno Unito, previste fra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, come un «referendum di fatto» sull’indipendenza della Scozia. Se l’SNP o i Verdi, cioè i due principali partiti indipendentisti, avessero ottenuto una percentuale superiore al 50 per cento, Sturgeon avrebbe avviato i piani per rendere indipendente la Scozia, a prescindere da un nuovo referendum.
Dentro al partito la strategia del «referendum di fatto» aveva generato parecchio scetticismo, soprattutto sull’opportunità di polarizzare ulteriormente l’opinione pubblica scozzese e sulla fattibilità di ottenere davvero l’indipendenza. Ora che Sturgeon lascerà l’incarico di prima ministra e la guida del partito, non è chiaro che fine farà questa strategia.
In teoria a marzo sarebbe prevista una riunione speciale del partito per approvare ufficialmente la strategia del «referendum di fatto». Ma il Financial Times ha osservato che nella conferenza stampa in cui ha annunciato le sue dimissioni Sturgeon ha lasciato intendere che sarebbe sbagliato da parte sua forzare una decisione del partito in un momento così delicato. Un recente sondaggio peraltro ha indicato che circa due terzi degli scozzesi sarebbero contrari a considerare le prossime elezioni parlamentari britanniche come un referendum di fatto.
Nessuno dei principali candidati o candidate per la sostituzione di Sturgeon si è sbilanciato sulla strategia del «referendum di fatto». E sul quotidiano scozzese The Herald il commentatore politico David Bol ha osservato che chiunque verrà dopo di lei dovrà chiedersi «quanto del sostegno all’indipendenza era legato all’impressionante popolarità di Sturgeon». In altre parole, se sia anche solo possibile immaginare di continuare a chiedere un referendum per l’indipendenza una volta che Sturgeon non guiderà più il partito e il paese.
Resta da capire inoltre se l’SNP riuscirà a garantire un buon livello di amministrazione anche con il successore di Sturgeon. «Da fuori l’SNP dà l’impressione di avere una classe dirigente molto brava nel governare», ha detto a Reuters Anthony Wells, esperto dell’istituto di sondaggi YouGov: «se non sarà più così, il partito e la causa indipendentista potrebbero subire dei contraccolpi».
Mentre l’SNP vive questo temporaneo momento di difficoltà, inoltre, altri partiti potrebbero cercare di prendersi la scena e sottrargli voti e consensi, danneggiando indirettamente la causa indipendentista. Il più preparato per farlo sembra la sezione scozzese del Partito Laburista, che altrove nel Regno Unito vive da qualche tempo un momento di nuova popolarità. I Laburisti scozzesi sono contrari all’indipendenza ma condividono diverse proposte politiche con l’SNP, e alcuni di loro auspicano che Sturgeon fosse «la colla» che teneva insieme il movimento indipendentista, che quindi in sua assenza potrebbe essere destinato a sbriciolarsi.