Il miglior tuffatore da grandi altezze
È Gary Hunt, un atleta estremo, riservato e atipico, che a quasi quarant'anni sta puntando alle sue prime Olimpiadi
Gary Hunt ha 38 anni e dal 2010 ha sempre vinto, tranne due volte in cui è arrivato secondo, la Red Bull Cliff Diving World Series, l’evento internazionale di tuffi da un’altezza che per i maschi è sempre tra i 26 e i 28 metri, più del doppio rispetto alla massima altezza prevista nelle prove olimpiche. Per ragioni fisiche, tecniche e ambientali i tuffi da quelle altezze sono quasi uno sport a parte rispetto ai tuffi olimpici da 10 metri.
Nel dominare questa disciplina per più di un decennio, Hunt ha inventato tuffi e approcci nuovi, a cui altri sono arrivati solo anni dopo, e ancora adesso batte avversari con quasi la metà dei suoi anni. «È il Michael Jordan, il Muhammad Ali e il Tiger Woods» dei tuffi da grandi altezze, ha detto di lui il tuffatore statunitense Steven LoBue.
Hunt è una persona riservata, che usa i social con parsimonia e che non corrisponde all’idea che molti probabilmente hanno di un atleta di uno sport estremo. In un lungo articolo a lui dedicato, il Guardian lo ha presentato come un tipo tranquillo e all’antica, molto competitivo e attento a come si allena, ma anche come un uomo spensierato, che mangia pesante prima di una gara e beve parecchio dopo; uno che usa i trofei come vasi, un atleta senza un agente e con molti meno sponsor di quelli che potrebbe avere.
Hunt ha vinto anche la World Series del 2022, rimasta aperta fino all’ultimo tuffo, e non sembra avere alcuna intenzione di ritirarsi. Anzi, si è addirittura messo in testa di partecipare, alle Olimpiadi del 2024, alle gare di tuffi dalla piattaforma a 10 metri.
Nato nel 1984 e cresciuto dalle parti di Leeds, in Inghilterra, Hunt si avvicinò ai tuffi intorno ai dieci anni, dopo aver provato danza e nuoto, gli sport fatti dalle sorelle maggiori. Non aveva però particolare talento per il nuoto né tantomeno la voglia di dedicarsi ai monotoni allenamenti in corsia, come ha detto al Guardian. Fu però proprio da quelle corsie che vide i tuffatori e decise di dedicarcisi, con risultati sempre migliori.
Nei tuffi più tradizionali e canonici, quelli dai tre metri del trampolino o dai dieci della piattaforma, Hunt era bravo, tra i migliori del Regno Unito, ma non abbastanza da arrivare alle Olimpiadi. Quando già aveva più di vent’anni fu battuto dall’undicenne Tom Daley, poi vincitore di una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo. Dovette quindi arrangiarsi per guadagnarsi da vivere e, così come diversi altri tuffatori, trovò lavoro in spettacoli, eventi o parchi tematici: per esempio interpretando un pirata che, a un certo punto dell’esibizione, si ritrovava a dover saltare in acqua da diversi metri di altezza.
Alla World Series organizzata e sponsorizzata da Red Bull – un marchio che punta molto e da tempo sul suo legame con gli sport estremi – Hunt arrivò ventiquattrenne, quasi senza esperienza in tuffi da oltre i 20 metri e soprattutto dopo un paio di anni difficili successivi alla morte di Gavin Brown, suo compagno di tuffi e amico fraterno.
Nella Red Bull Cliff Diving World Series ci si tuffava e ancora ci si tuffa da ponti, rocce o piattaforme, in fiumi, laghi e mari. La competizione, che dal 2014 ha anche una categoria femminile e che nel 2022 ha avuto tappe in Europa, Stati Uniti e Australia, prevede che gli atleti e le atlete (le cui piattaforme sono a 21 metri) facciano quattro salti sempre dalla stessa altezza. Cinque giudici, in genere seduti su una barca, li valutano con voti da 1 a 10 in base al salto, alle posizioni tenute in aria e all’entrata in acqua.
Per la World Series del 2022 gli atleti si sono tuffati per esempio nella Senna, con la Tour Eiffel sullo sfondo, nelle acque davanti alla Royal Danish Opera House di Copenhagen, dal Ponte Vecchio di Mostar, in Bosnia-Erzegovina, nel lago svizzero dei Quattro Cantoni e dalle scogliere di Polignano a Mare, in provincia di Bari.
Per percorrere i quasi trenta metri che li separano dall’acqua i tuffatori ci mettono circa tre secondi raggiungendo nel frattempo una velocità superiore agli ottanta chilometri orari. L’entrata in acqua è sempre coi piedi, perché farlo di testa sarebbe troppo pericoloso: già così, anche nel caso di tuffi vicini alla perfezione, l’impatto è molto forte.
Il margine di errore ammissibile è pressoché assente: «Se sbagli qualcosa in un tuffo da 27 metri probabilmente andrai all’ospedale» disse nel 2015 il tuffatore Andy Jones.
I tuffi dalle grandi altezze sono diversi da quelli dalla piattaforma a 10 metri per la velocità, per come le condizioni esterne possono influire sull’entrata in acqua e, ancor più banalmente, perché è difficile allenarsi per farlo. Come ha ricordato il Guardian, nel 2009 non esisteva nessuna struttura adeguata per farlo e oggi sono tre: una in Cina, una negli Stati Uniti e una in Austria, nel parco divertimenti outdoor Area 47. In genere, per preparare un tuffo da 27 metri lo si scompone in tre fasi, mettendone ognuna in un singolo tuffo da 10 metri, per poi incastrare le tre diverse fasi nei tuffi di gara.
Così come tutti i suoi avversari, Hunt – che ha detto di avere «una certa paura dell’altezza quando non c’è l’acqua più in basso» – si trovò insomma a fare qualcosa di pressoché nuovo. Nel 2009 arrivò secondo appena dietro al colombiano Orlando Duque, di dieci anni più anziano, ma già nel 2010 vinse la prima delle sue dieci World Series. Ci si accorse piuttosto presto che aveva un talento eccezionale, una propriocezione fuori dal comune e una propensione naturale a pensare e realizzare tuffi più ambiziosi degli altri. Prima di lui, nei tuffi dalle grandi altezze si tendeva a replicare quel che si faceva dai 10 metri, per poi dedicarsi alla preparazione dell’entrata in acqua; lui andò oltre, rielaborò, aggiunse, sperimentò cose nuove.
Nel 2019 in Libano arrivò inoltre a quello che Red Bull definisce «il Santo Graal del cliff diving»: il tuffo perfetto, valutato con un 10 da ognuno dei cinque giudici presenti.
Da oltre dieci anni Hunt vive a Parigi con la sua compagna, l’attrice francese Sabine Ravinet, e per questo dal 2020 ha la nazionalità francese. Nel tempo libero, oltre ad allenarsi con costanza, gli piace curare il giardino e suonare il pianoforte. Fino al 2013 alternava il lavoro nello spettacolo con i tuffi, da qualche anno invece fa il tuffatore a tempo pieno: al momento i premi della World Series sono di 7mila euro per chi vince una tappa e di 16mila per chi vince la competizione. Con questi soldi e con uno sponsor, cui si aggiunge il fatto che le spese di viaggio e alloggio per ogni evento sono coperte da Red Bull, Hunt può insomma vivere di tuffi, pur non navigando nell’oro.
«Potrebbe senz’altro guadagnare di più con gli sponsor» ha scritto il Guardian, ma la ritiene una cosa troppo stressante e quindi l’unico contratto di sponsorizzazione che ha, dal valore di qualche migliaio di euro all’anno, è con un marchio australiano di costumi.
Oltre alle gare organizzate da Red Bull, Hunt partecipa anche ai Mondiali di nuoto, dove dal 2013 al 2019 sono state assegnate medaglie per i tuffi maschili da 27 metri e femminili da 20. Arrivò all’argento nel 2013, per poi vincere l’oro nel 2015 e nel 2019.
Alle Olimpiadi, invece, i tuffi dalle grandi altezze non ci sono mai stati e non è al momento previsto che arrivino. È per questo che, da atleta francese, un paio di anni fa Hunt decise, nonostante l’età, di ripescare il vecchio sogno di atleta adolescente per puntare alle Olimpiadi di Parigi del 2024. Mentre vince nei tuffi da quasi trenta metri, il trentottenne Hunt si sta quindi anche allenando per tuffi da 10 metri, con entrata di testa, per una gara il cui attuale campione olimpico in carica, il cinese Cao Yuan, ha dieci anni meno di lui.