Alfredo Cospito potrà essere alimentato forzatamente?
Continuare lo sciopero della fame anche fino alla morte è un suo diritto, secondo gli esperti: il governo si sta interrogando su come comportarsi
Alfredo Cospito, il detenuto anarchico che protesta contro il regime carcerario 41-bis, è al 120esimo giorno di sciopero della fame. Il 24 febbraio la Corte di Cassazione si riunirà per decidere sul ricorso presentato dai suoi avvocati che chiedono la revoca del regime carcerario a cui è sottoposto. In base all’orientamento della Corte di Cassazione, Cospito deciderà se e come proseguire la sua protesta. Se decidesse di continuare lo sciopero della fame, il ministero della Giustizia e specificatamente il DAP, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, potrebbe tentare di “obbligarlo” a nutrirsi, sottoponendolo ad alimentazione forzata. E questo porrebbe una serie di questioni che girano intorno alla domanda se lo stato possa legalmente farlo.
L’articolo 32 della Costituzione italiana dice che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Il punto, insomma, è quali siano le disposizioni di legge a cui si richiama la Costituzione, e se esistano leggi che possono scavalcare diritti individuali elementari, come quello di scegliere se alimentarsi o no, di essere curati oppure no.
In questi giorni Cospito ha ricominciato ad assumere integratori, che aveva sospeso da alcuni giorni. Secondo notizie non confermate, avrebbe anche mangiato un vasetto di yogurt con il miele. Chi lo ha visitato recentemente nel reparto destinato ai detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano, dove è stato portato dopo alcuni giorni passati nel carcere di Opera (Milano) nel quale era stato trasferito dall’istituto penitenziario di Sassari, lo ha descritto come molto provato (all’ultimo controllo aveva perso 47 chili) ma determinato a essere lucido in attesa della decisione della Corte di Cassazione.
La Corte dovrà decidere se dovrà rimanere o meno al 41-bis. Il procuratore generale, Pietro Gaeta, nella requisitoria scritta e depositata l’8 febbraio, ha chiesto che la Corte annulli con rinvio l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Roma che aveva confermato il regime carcerario 41-bis. Il procuratore generale ha scritto che per confermare il 41-bis avrebbe dovuto emergere «una base fattuale» con «elementi immanenti e definiti» che provassero il fatto che Cospito, dall’interno del carcere, dava indicazioni operative ai gruppi anarchici all’esterno attraverso le sue lettere e i suoi articoli pubblicati su riviste d’area. Questo, secondo il procuratore generale, non può essere «desumibile interamente e unicamente dal suo ruolo apicale».
Dalla decisione della Corte di Cassazione del 24 febbraio dipende come detto quella di Cospito sul proseguimento o meno dello sciopero della fame. Si torna così al quesito: se lo sciopero della fame proseguisse e le condizioni di Cospito si aggravassero, cosa succederebbe? Per rispondere a questa domanda il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha coinvolto, dal 6 febbraio, il Comitato nazionale di bioetica a cui ha chiesto il parere su alcuni punti.
Il primo è: Alfredo Cospito può far riferimento alla legge 219 del 2017 che regola le Disposizioni anticipate di trattamento (DAT), quelle in sostanza che riguardano il testamento biologico? Esiste per il ministero della Giustizia lo spazio giuridico per intervenire con la nutrizione forzata? Alcuni dei 32 componenti del comitato di bioetica hanno già spiegato che non spetta a loro esprimersi su casi singoli.
Secondo alcune interpretazioni, il digiuno prolungato farebbe cadere la persona detenuta in uno stato di incoscienza simile allo stato di infermità mentale, quindi non sarebbe in grado di decidere liberamente se sottoporsi alle cure, se cioè essere alimentato o meno. Ma Cospito ha scritto quali sono le sue volontà in uno stato di completa lucidità. Chiara Lalli, giornalista bioeticista, spiega infatti che «Cospito ha fatto il testamento biologico, ha espresso cioè la sua volontà nelle Disposizioni anticipate di trattamento. Ha detto cioè chiaramente che non vuole essere alimentato forzatamente. Possiamo non essere d’accordo né con le sue giustificazioni, né con la sua decisione, possiamo perfino ignorare le ragioni per le quali ha deciso di non mangiare più e per cui è detenuto, ma la sua volontà va rispettata. La legge, la 219 del 2017, rinforza quello che già dice la Costituzione».
È dello stesso parere Mariella Immacolato, medica legale e bioeticista che fa parte del direttivo della Consulta Bioetica onlus: «Cospito ha sottoscritto le cosiddette DAT, Disposizioni anticipate di trattamento, che sono legittime e vincolanti per i medici e che non possono essere disattese. Non si potrebbe non tenere conto delle DAT in cui l’interessato ha espresso chiaramente di non volere essere sottoposto ad alimentazione forzata».
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva chiesto che Cospito venisse sottoposto a visita psichiatrica, che però lui ha rifiutato. Su molti giornali si è ipotizzato che possa essere sottoposto a TSO, cioè a Trattamento sanitario obbligatorio: «Ma il TSO può essere esercitato nell’ambito di una malattia psichiatrica che in questo caso non è mai stata diagnosticata. Il codice deontologico dei medici, all’articolo 53, fa divieto agli stessi di assumere iniziative costrittive e di collaborare a “procedure coattive di alimentazione e nutrizione artificiale”».
La stessa legge 219 dice:
Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.
Il TSO deve essere disposto dal sindaco su richiesta di due medici, di cui almeno uno dell’Asl del territorio in cui il trattamento viene disposto. Nel caso di Cospito è già stata depositata una diffida preventiva. Però secondo il Fatto Quotidiano dell’11 febbraio, che cita “fonti giudiziarie”, «la diffida inviata dall’avvocato al ministero non vale nulla: i medici penitenziari hanno il dovere di salvare una vita. È come se un agente assistesse al tentato suicidio di un detenuto e non lo fermasse».
Secondo alcuni pareri giuridici il fatto che Cospito sia detenuto lo metterebbe in una condizione di soggezione tale da non potere prendere decisioni “libere”. Dice ancora Chiara Lalli: «I detenuti, compresi quelli al 41-bis, perdono molti diritti ma esistono diritti personalissimi che riguardano solo la loro vita e la loro salute. Sono quei diritti che riguardano esclusivamente loro, che non provocano danni ad altre persone. Attengono a uno spazio privatissimo». Secondo Lalli, «la domanda alla fine è questa: la persona che sta facendo lo sciopero della fame è capace di capire le conseguenze delle sue decisioni, cioè è in grado di intendere e di volere, e la sua decisione è davvero la sua? Se rispondiamo di sì, allora sarà difficile non rispettare la sua volontà. E aggirarla se e quando non sarà più cosciente sarebbe un espediente grave che oltretutto violerebbe la legge costituendo un precedente».
Secondo Immacolato «il detenuto non perde diritti elementari come quello alla salute e quindi anche di decidere della sua salute». La Consulta di bioetica, in un comunicato, ha sostenuto che:
La nota sentenza della Cassazione del 2007, n. 21748, sulla vicenda (Englaro, ndr) ha stabilito senza ombra di dubbio che la volontà dell’interessato, maggiorenne, capace di intendere e volere, in merito alle cure non può essere disattesa anche quando questa ha come conseguenza la morte. Ed ha riconosciuto il valore della volontà dell’incapace espressa antecedentemente alla perdita della capacità di esprimersi.
La questione ruota quindi attorno a una domanda: lo stato di persona “in vinculis”, e cioè detenuta, impone allo Stato di riconoscergli un livello di integrità fisica superiore a quella di tutti gli altri individui? In sostanza, se un uomo libero può fare uno sciopero della fame fino a morirne, lo stesso vale per un detenuto che si trova in custodia dello Stato?
Per l’avvocato Davide Steccanella, difensore dell’ex terrorista Cesare Battisti, che nel 2021 intraprese uno sciopero della fame contro il regime di isolamento a cui era sottoposto, lo sciopero della fame è «l’unica forma di protesta non violenta che i detenuti hanno a disposizione». È una manifestazione estrema che deriva da una scelta libera e che il detenuto dovrebbe poter portare avanti «senza che gli venga imposta l’alimentazione forzata» per evitare che le sue condizioni di salute possano aggravarsi troppo, o perfino che possa morire.
«Dall’altra parte», dice ancora Steccanella, «l’amministrazione penitenziaria sostiene invece che il detenuto è affidato alla sua tutela, che ne ha quindi la responsabilità e per questo è tenuta a intervenire per salvaguardarne lo stato fisico».
Secondo il Corriere della Sera, i giuristi cattolici del Comitato di bioetica stanno preparando un parere da proporre all’assemblea straordinaria dei membri. La questione è quindi estremamente complessa ed è probabile che se lo stato di salute di Alfredo Cospito dovesse precipitare si aprirebbe una disputa giuridica.
La Dichiarazione dell’Associazione medica mondiale riguardo agli scioperi della fame dei detenuti sostiene che i medici debbano:
Bilanciare la doppia lealtà. I medici che assistono i detenuti in sciopero della fame possono trovarsi in conflitto tra la loro lealtà verso l’autorità che li impiega (come la direzione del carcere) e la loro lealtà verso i pazienti. In questa situazione, i medici con una duplice lealtà sono vincolati dagli stessi principi etici degli altri medici, vale a dire che il loro obbligo primario è nei confronti del singolo paziente. Essi rimangono indipendenti dal loro datore di lavoro per quanto riguarda le decisioni mediche.
Inoltre, sempre secondo l’Associazione:
L’alimentazione artificiale, se utilizzata nell’interesse clinico del paziente, può essere eticamente appropriata se i pazienti in sciopero della fame competenti vi acconsentono. Tuttavia, in conformità con la Dichiarazione della WMA di Tokyo, se un detenuto rifiuta il nutrimento ed è considerato dal medico in grado di formarsi un giudizio non compromesso e razionale sulle conseguenze di tale decisione, non deve essere alimentato artificialmente. L’alimentazione artificiale può anche essere accettabile se le persone incapaci non hanno lasciato istruzioni anticipate non pressanti per rifiutarla, al fine di preservare la vita dello scioperante della fame o di prevenire una grave disabilità irreversibile.