Azione e Italia Viva sono uscite molto male dalle regionali
La coalizione guidata da Calenda e Renzi ha perso un sacco di voti rispetto alle politiche, e nei consigli conterà poco
Alle elezioni regionali in Lombardia e Lazio i risultati della coalizione dei partiti Azione e Italia Viva, quella che si fa chiamare “Terzo Polo”, sono stati molto deludenti e al di sotto di tutte le aspettative: nel Lazio ha quasi dimezzato le preferenze rispetto alle ultime elezioni politiche – quindi rispetto ad appena cinque mesi fa – e in Lombardia l’idea di sostenere la candidatura di Letizia Moratti per attirare elettori sia di destra che di sinistra si è rivelata infruttuosa e controproducente. Moratti sembra aver semmai demotivato alcuni elettori che alle politiche avevano votato il Terzo Polo, favorendo la polarizzazione dell’elettorato verso gli schieramenti di destra e di centrosinistra.
Uno dei due leader della coalizione, Carlo Calenda, ha commentato estesamente la sconfitta dicendo sostanzialmente che il Terzo Polo, per come è fatto, non è adatto a elezioni come quelle regionali: «È la cosa più difficile che può capitare ad un partito di opinione che sta al centro dello schieramento politico». L’altro leader, Matteo Renzi, al contrario ha parlato il meno possibile, commentando molto brevemente nella sua newsletter che «il risultato è peggiore delle aspettative», ma che nelle elezioni regionali è «fisiologico». Nei prossimi mesi i due dovranno decidere se dopo essersi alleati per ragioni di opportunità alle ultime elezioni politiche vorranno fondere i rispettivi partiti, Azione e Italia Viva, in un’unica formazione politica stabile.
Poco dopo le prime proiezioni sui risultati elettorali il segretario regionale di Azione in Lombardia, Niccolò Carretta, si è dimesso descrivendo l’esito come «fallimentare» e criticando «l’incomprensibilità delle nostre scelte che non sono stato in grado di contrastare»: secondo diversi giornali Carretta si riferirebbe direttamente alla candidatura di Moratti, che gli sarebbe stata imposta dall’alto dopo che per settimane aveva lavorato a candidature più vicine al centrosinistra (Domani fa i nomi dell’assessore milanese del Partito Democratico Pierfrancesco Maran e del senatore Carlo Cottarelli, sempre del PD).
Le dimissioni di Carretta confermano quanto Moratti sia andata peggio di quanto prevedevano i dirigenti di Azione e Italia Viva: si è fermata persino sotto la soglia del 10 per cento, più che altro simbolica, assai distante dalle percentuali tra il 15 e il 20 per cento che le venivano attribuite dai sondaggi prima del voto. Moratti poi aveva fissato l’asticella piuttosto in alto, pubblicizzando con grande enfasi l’unico sondaggio che la dava sopra Majorino, oltre il 27 per cento, evidentemente poco attendibile.
La singola lista Azione-Italia Viva in Lombardia è andata particolarmente male: ha preso il 4,25 per cento delle preferenze, che anche sommato al 5,3 per cento della lista civica di Moratti risulta inferiore al 10,3 per cento delle ultime elezioni politiche. Complessivamente, rispetto alle politiche, la coalizione ha preso circa 200mila voti in meno. Moratti è andata piuttosto male anche a Milano, con il 13,8 per cento: eppure è la città di cui è stata sindaca dal 2006 al 2011 e dove gode della maggiore notorietà, ed è anche quella in cui alle politiche Azione-Italia Viva aveva ottenuto il suo miglior risultato a livello nazionale, con il 16 per cento.
Il fatto che la lista Azione-Italia Viva sia andata peggio di quella di Moratti non è cosa da poco: la lista di Moratti era piena di politici di provenienze molto diverse, dal Movimento 5 Stelle a Forza Italia, e comprendeva diversi ex esponenti di lungo corso della Lega in Lombardia, con idee molto diverse da quelle di Calenda e Renzi.
In una campagna elettorale molto frenetica, almeno rispetto ai suoi avversari, Moratti ha tentato diverse alleanze, anche tra loro contraddittorie: prima aveva cercato l’appoggio alla sua candidatura da parte del Partito Democratico, che alla fine aveva candidato Pierfrancesco Majorino; poi aveva cercato di approfittare di una piccola scissione della Lega lombarda per accogliere alcuni fuoriusciti del partito, anche in questo caso senza successo. Tutto questo dopo che per diverso tempo aveva detto esplicitamente di essere disposta a candidarsi con la destra al posto del presidente uscente Attilio Fontana, della cui giunta aveva fatto parte fino a novembre. Moratti ha cioè tentato alleanze con quasi tutti i principali avversari politici del Terzo Polo, ma nel frattempo non ha smesso di criticarli.
Se dove si è presentato da solo, per quanto costretto, il Terzo Polo è andato male, non si può dire che dove è riuscito a fare alleanze sia andata meglio: nel Lazio la lista Azione-Italia Viva ha sostenuto con il centrosinistra la candidatura di Alessio D’Amato, assessore uscente alla Sanità, ottenendo solo il 4,87 per cento dei voti (era stato l’8,4 per cento alle politiche). A Roma ha preso quasi un punto in più, con il 5,83 per cento, ma è sempre quasi la metà del 10,7 ottenuto alle politiche.
Calenda sostiene che i candidati da appoggiare non siano stati scelti in base all’opportunismo politico ma per la competenza dimostrata: «Abbiamo scelto i due assessori regionali che meglio hanno gestito il Covid», ha detto al Corriere della Sera, «per guidare due Regioni, enti in cui il bilancio è quasi tutto assorbito dalla sanità. Non è importato a nessuno». Con questa convinzione, dopo il voto Calenda ha respinto le accuse di aver sbagliato i candidati da sostenere, attribuendo le colpe invece agli elettori.
In un video pubblicato sui suoi profili social dopo i risultati elettorali, infatti, ha sostenuto che nelle elezioni regionali gli elettori sarebbero più propensi a votare per il partito che sono sempre stati abituati a sostenere. Da qui deriverebbero le grosse difficoltà della sua alleanza: «Stiamo combattendo una battaglia difficilissima, perché chiediamo alle persone di votare il candidato che ci sembra più preparato. E invece qua votano per appartenenza».
Oltre a quelle date da Calenda, tra le possibili spiegazioni del risultato deludente di Azione-Italia Viva alle regionali c’è il fatto che l’alleanza è nata molto di recente, appena un mese e mezzo prima delle elezioni politiche (quindi circa sei mesi fa): anche se i due leader sono molto conosciuti a livello nazionale, non c’è stato abbastanza tempo per creare una base elettorale stabile nei territori e far conoscere i candidati, che in diversi casi erano giovani e poco noti.
Anche per questo Azione-Italia Viva aveva dovuto ricorrere nel Lazio a un’alleanza e in Lombardia a una candidata già nota sul territorio come Moratti, nonostante almeno in teoria provenisse da un’area politica un po’ distante da quella di Azione e Italia Viva, che sono nate entrambe poco più di tre anni fa da due scissioni del PD.
Le scelte politiche fatte per queste regionali non sembrano insomma aver voluto affrontare questa mancanza di radicamento sul territorio: nel Lazio si è scelto di sostenere il candidato di un altro partito, il PD, che governava la regione da dieci anni; in Lombardia la fretta di capitalizzare il buon risultato delle elezioni politiche ha portato a scegliere una candidata che doveva piacere a destra e a sinistra, ma che sembra non essere piaciuta a nessuna delle due parti.
Moratti peraltro, in quanto candidata presidente arrivata terza, non ha diritto a entrare in consiglio regionale (entrano invece automaticamente i primi due): dal momento che aveva deciso anche di non candidarsi come consigliera nella sua lista civica, è come se non avesse ricevuto preferenze, e quindi è stata esclusa dal consiglio. È un segno del fatto che l’alleanza Azione-Italia Viva competesse quasi solo per vincere, e che non aveva messo in conto la possibilità di strutturare un’opposizione in Lombardia per i prossimi anni, in caso di sconfitta.
Nei due consigli regionali di Lombardia e Lazio i capi dell’opposizione saranno di altri partiti, e l’alleanza Azione-Italia Viva avrà rispettivamente appena 3 e 2 consiglieri: un eventuale consolidamento del consenso nelle due regioni, dopo queste elezioni, dovrà comunque cominciare quasi da zero.
Il fatto che per il momento l’alleanza sia più interessata a una prospettiva nazionale è dimostrato anche dalle dichiarazioni dei due leader. Calenda dopo la sconfitta ha annunciato l’urgenza di fondare un partito unico di centro, descritto come «riformista, liberale e popolare». Al Corriere della Sera ha detto: «L’unica lezione che ricavo da queste elezioni è che il partito unico non può più aspettare. Basta perdere tempo. A marzo si parte: chi c’è c’è». Renzi sembra avere meno fretta e ha parlato semplicemente di una «casa comune dei riformisti in vista delle elezioni europee del 2024».
Le europee, che si terranno tra poco più di un anno, saranno la prima occasione utile per capire se davvero l’alleanza regge, perché dovrà necessariamente presentarsi da sola: il sistema elettorale è un proporzionale puro con la soglia di sbarramento al 4 per cento, in teoria tranquillamente alla portata. Nel frattempo però dovranno decidere chi sarà eventualmente il leader del nuovo partito di centro che formeranno: nel simbolo della lista attuale c’è il nome di Calenda, che però era stato inserito prima delle elezioni politiche, quando sembrava godere di maggiore popolarità rispetto a Renzi.