Il pilota neozelandese sequestrato a Papua per la causa indipendentista
Phillip Mark Mehrtens è stato rapito nella provincia indonesiana da un gruppo separatista che non ha chiesto un riscatto, ma solo attenzioni
Il gruppo separatista della provincia indonesiana di Papua ha diffuso foto e video in cui compare Phillip Mark Mehrtens, il pilota neozelandese preso in ostaggio mercoledì 8 febbraio. Mehrtens appare in buone condizioni ma circondato da combattenti armati dell’Esercito di liberazione della Papua occidentale, un gruppo che chiede il riconoscimento dell’indipendenza della Papua occidentale dall’Indonesia. Il gruppo non ha chiesto un riscatto ma ha giustificato il rapimento come «strumento di lotta» per l’indipendenza.
La provincia indonesiana di Papua, che occupa la metà occidentale dell’isola della Nuova Guinea, non va confusa con la Papua Nuova Guinea, stato indipendente che occupa l’altra metà dell’isola. Il movimento indipendentista è attivo da decenni, ma lo scontro con le autorità indonesiane sembra essersi intensificato a partire dal 2018, quando più di venti operai che lavoravano alla costruzione di una strada nella provincia di Nduga furono presi in ostaggio dai ribelli: diciannove di loro e un soldato indonesiano furono poi uccisi.
Il rapimento del pilota neozelandese, avvenuto una settimana fa, ha riportato l’attenzione internazionale sulla questione della provincia indonesiana.
Mehrtens guidava un piccolo velivolo della compagnia Susi Air che doveva evacuare quindici lavoratori di un’impresa di costruzioni indonesiana. Nelle zone montuose della provincia di Papua i trasferimenti per via aerea sono gli unici possibili, per assenza di strade e collegamenti. Secondo quanto riferito dalle autorità locali, i quindici operai erano stati oggetto di minacce da parte del gruppo separatista. Non appena l’aereo di Mehrtens, che portava altri cinque passeggeri, era atterrato sulla piccola pista di Paro, nella provincia di Nduga, era stato attaccato dai separatisti, braccio armato del movimento Free Papua: i cinque passeggeri erano stati liberati in quanto indigeni di Papua, il pilota era stato preso in ostaggio.
I video inviati all’agenzia Associated Press mostrano il capo dei ribelli, Egianus Kogoya, insieme a Mehrtens.
Nei video Kogoya assicura che Mehrtens non sarà in pericolo se l’esercito indonesiano non proverà azioni di forza, ma non indica condizioni per il suo rilascio: «L’ho preso in ostaggio per l’indipendenza, non per avere cibo o bibite». In un altro video uomini armati con fucili, mitragliatrici, ma anche arco e frecce, invitano Mehrtens a dire: «L’Indonesia deve riconoscere l’indipendenza di Papua», mentre in un terzo i guerriglieri danno fuoco all’aereo.
Esponenti del governo indonesiano hanno assicurato che si stanno percorrendo vie diplomatiche per ottenere la liberazione dell’ostaggio, ma non hanno escluso altre soluzioni e hanno ribadito che la provincia resterà «per sempre» una parte dell’Indonesia.
La regione era parte delle colonie olandesi nell’area ed è culturalmente ed etnicamente distinta dal resto dell’Indonesia. Quando i Paesi Bassi nel 1949 concedettero l’indipendenza all’Indonesia, mantennero la sovranità sulle province occidentali della Nuova Guinea, con il progetto di una transizione verso un altro stato indipendente. L’Indonesia reclamò da subito le province e la disputa fu gestita dalle Nazioni Unite fra il 1961 e il 1963: le province dichiararono l’indipendenza, poi l’Indonesia ne prese il controllo con la forza. Nel 1969 fu organizzato dall’ONU un referendum: vinse l’adesione allo stato indonesiano, in una consultazione però ritenuta da molti osservatori viziata da brogli.
Da allora i movimenti indipendentisti hanno iniziato una guerra a bassa intensità: le province sono ricche di risorse minerarie (soprattutto oro, nichel e petrolio) sfruttate anche da compagnie straniere, ma la popolazione vive in estrema povertà e in totale assenza di infrastrutture, fatta eccezione per le città costiere, dove vivono per lo più immigrati dalle altre isole indonesiane.
Gli abitanti indigeni, prevalentemente cristiani (l’Indonesia è invece a maggioranza musulmana) e di etnia melanesiana (più vicina alle popolazioni della Nuova Guinea e delle isole Fiji) risiedono nelle province dell’interno. La maggior parte dei papuani che vivono nelle aree rurali ha indici di povertà tra i più alti di tutta l’Indonesia e non è alfabetizzata. Le politiche dello stato centrale sono sempre state molto contestate: il governo indonesiano sin dagli anni Settanta si è occupato di creare infrastrutture per lo sfruttamento delle risorse, ma non per migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Questo ha reso anche i lavoratori impegnati nella costruzione delle strade obiettivo dei ribelli, mentre agli attacchi dell’Esercito di liberazione della Papua occidentale è seguita spesso una violenta repressione con sistemi molto criticati dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani: arresti arbitrari, uccisioni extragiudiziali, corruzione di funzionari pubblici, brogli elettorali e abusi di potere di poliziotti e soldati.
L’uccisione del gruppo di operai nel 2018 portò a una forte reazione, che nel 2019 fu denunciata da proteste popolari, in cui si accusava il governo centrale di razzismo verso le popolazioni indigene.
Nel corso degli anni le province di Papua e Papua occidentale hanno ottenuto dal governo centrale indonesiano una maggiore autonomia, ma sono anche state divise in sottoprovince in modo arbitrario. L’intento sembra quello di dividere il fronte indipendentista e di creare zone “sicure” per le grandi miniere e per l’immigrazione da altre zone del paese. L’area è difficilmente raggiungibile dai media internazionali e indipendenti, e l’ingresso è soggetto alla concessione di un visto da parte del governo indonesiano, difficile da ottenere.