Lo street artist che riempie le città di mosaici ispirati all’estetica dei primi videogiochi

È francese, si fa chiamare Invader e realizza le sue opere soprattutto a Parigi, ma se ne trovano anche a Roma e a Ravenna

(Immagine tratta dal sito space-invaders.com)
(Immagine tratta dal sito space-invaders.com)
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Passeggiando per le strade di Parigi, con lo sguardo rivolto all’insù e un po’ di attenzione, è possibile notare alcune opere di street art piuttosto riconoscibili: sono i mosaici di un artista francese che si ispira all’estetica a pixel tipica dei primi videogiochi, e in particolare a Space Invaders, quello in cui bisogna difendersi dall’invasione di decine di navicelle aliene sempre più veloci. Del loro creatore, che si fa chiamare appunto Invader (invasore, intruso), si sa poco o nulla, ma nel tempo è diventato uno degli street artist più noti e prolifici della Francia: con oltre 4mila mosaici a tema ha per così dire “invaso” decine di città in tutto il mondo.

In alcuni articoli pubblicati sui media francesi Invader è stato identificato come Franck Slama: sembrano esserci pochi dubbi che sia effettivamente lui, ma non c’è la certezza completa. In una recente intervista al New York Times, ha raccontato di essere cresciuto nella periferia di Parigi, di essersi diplomato alla prestigiosa École des beaux-arts e di avere circa 50 anni. A dicembre la giornalista di Le Monde Emmanuelle Jardonnet aveva visitato il suo studio, ma lo aveva raggiunto accompagnata da due collaboratori dell’artista, che l’avevano bendata per non farle sapere dove si trovava.

Invader è attivo da più di vent’anni e sul suo sito si definisce un “UFA”, un artista libero non identificato, usando una formula che prende un po’ in giro quella per descrivere gli UFO (“unidentified flying object”). Se compare in pubblico indossa sempre una maschera; lavora al limite della legalità e perlopiù di notte, per non essere scoperto. Per creare i suoi mosaici utilizza prevalentemente piccole piastrelle di ceramica colorata, che poi fissa alle facciate dei palazzi o ai monumenti con cemento e colle: in questo modo crea vari disegni, che sono più o meno ispirati a videogiochi come Super Mario e Pac-Man, o comunque alla loro estetica fatta di grossi pixel. Nella gran parte dei casi li sistema a 3-4 metri di altezza o in posti in cui di norma non si guarderebbe.

Al momento Invader ha realizzato 4.083 mosaici, sparsi in 81 città in tutto il mondo. Più di un terzo si trova a Parigi: ce n’è uno in cima alla Tour Eiffel e uno vicino al Centro Pompidou, uno dei principali luoghi culturali della città, mentre vicino alla sede di un’agenzia investigativa ce n’è un altro che raffigura una grande Gioconda, per alludere al furto del celebre dipinto compiuto nel 1911. Ce ne sono poi decine a Marsiglia, Barcellona e New York, ma anche a Melbourne, Katmandu e Hong Kong, di cui si trovano foto e informazioni sul suo sito e sui social network. Ce ne sono vari anche in Italia, in particolare a Roma e Ravenna.

Un mosaico di Invader a Roma (dal sito space-invaders.com)

In un’intervista data ad AFP nel 2012, Invader aveva raccontato di essersi ispirato all’estetica dei computer e dei videogiochi di metà anni Settanta perché a suo dire rappresentavano «i primi passi del digitale», da cui poi si svilupparono rapidamente Internet e le tecnologie che usiamo tutti i giorni.

Il primissimo mosaico lo posò a Parigi nel 1996. Due anni dopo avviò il suo progetto per riempire le città con la sua arte, chiamandolo appunto “Space Invaders”, perché il suo obiettivo era “invadere” gli spazi pubblici con l’arte, un po’ come le navicelle aliene invadevano lo spazio del videogioco. Il mosaico numero 4mila invece lo ha realizzato nel 2021 a Potosí, in Bolivia, dove ne ha fatti molti altri. Nel 2015 era riuscito a piazzarne uno nella Stazione Spaziale Internazionale, il grande laboratorio per la ricerca scientifica che si trova in orbita intorno alla Terra.

Parlando con Jardonnet, Invader ha spiegato che all’inizio decideva dove posare i suoi mosaici camminando in giro per la città di notte e agendo molto in fretta; poi, a poco a poco, aveva cominciato a fare ricerche e a immaginare quale tipo di mosaico sarebbe stato bene dove, sviluppando varie strategie per essere il più veloce e discreto possibile. Oggi racconta di sentirsi «parte dell’architettura e del paesaggio di Parigi», qualcosa che definisce «straordinario» e al tempo stesso «entusiasmante».

Grazie ai suoi mosaici Invader ha ottenuto grandi attenzioni sia sui media che in alcune mostre e gallerie d’arte, dove periodicamente vengono esposte le copie di alcuni suoi mosaici; è molto popolare anche sui social network e in particolare su Instagram, dove ha circa 700mila follower. Il suo successo deriva dal fatto di mettere insieme le logiche della street art con quelle del gioco, visto che i suoi lavori sono pervasivi, si ispirano ai videogiochi, ma soprattutto vanno scoperti. Tra l’altro nel 2014 ha lanciato un’app chiamata Flash Invaders, in cui si può giocare a individuare le sue opere, condividerne le foto online e guadagnare così dei punti: a oggi i giocatori sono quasi 280mila.

Un mosaico di Invader a New York (dal sito space-invaders.com)

Invader sembra essere apprezzato anche dalle autorità di Parigi, che hanno usato un suo mosaico per il poster di una mostra dedicata alla street art: quello che fa però non è propriamente legale, uno dei principali motivi per cui non vuole far sapere chi sia. Alla fine del 1998 riuscì a “invadere” il celebre museo del Louvre installandoci di nascosto dieci suoi mosaici, senza essere scoperto. Tra il 2013 e il 2017 è stato arrestato tre volte negli Stati Uniti, dove ha trascorso dieci notti in carcere con l’accusa di vandalismo, ma alla fine non è mai stato incriminato.

Parlando con Le Monde, ha chiarito che la sua intenzione non è mai stata quella di deturpare i posti, bensì di portare avanti «un’invasione pacifica e artistica». Sul suo sito spiega che l’obiettivo principale dei suoi mosaici è quello di «liberare l’arte da musei o istituzioni», che a suo dire a volte possono «alienarla», ma anche liberare i videogiochi dai loro schermi e portarli nel mondo fisico. A questo proposito, racconta di essere stato contattato in varie occasioni da Taito, la società giapponese che creò Space Invaders nel 1978, ma senza contese o recriminazioni: «In un certo senso, lavoro con loro, e non contro di loro», dice. «Cerco di capire le città, e chi va in cerca dei mosaici viene portato a scoprirne aspetti diversi e posti interessanti, più ai margini», ha aggiunto.

 

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Invader dice di non avere un particolare messaggio da diffondere e di non interessarsi apertamente di politica, pur riconoscendo che il suo lavoro ha un significato politico, visto che «nel 99% dei casi» le sue installazioni sono fatte in maniera illegale. Aggiunge che gli piace il fatto di decontestualizzare l’arte per portarla in strada e di riuscire a sorprendere anche le persone che di solito non se ne interessano.

Negli ultimi anni alcuni mosaici di Invader sono stati rimossi o danneggiati, anche da persone che cercavano di toglierli dai posti in cui erano stati fissati per poterli rivendere. C’è però un gruppo di fan e collaboratori che lo sta aiutando a restaurare i mosaici rovinati o a sostituire quelli mancanti con delle copie, con un processo che ha chiamato «riattivazione»: a oggi grazie a loro ne sono stati messi a posto circa 300.

 

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