Il processo più seguito dai media negli ultimi anni in Argentina
Si è concluso lunedì con cinque ergastoli per un pestaggio di gruppo risalente al 2020 in cui fu ucciso un 18enne di origini paraguaiane
A Dolores, nella provincia di Buenos Aires, si è chiuso lunedì il processo agli otto accusati del pestaggio che ha portato alla morte del 18enne Fernando Báez Sosa, un caso che ha concentrato le attenzioni dei media argentini negli ultimi tre anni e in particolare nelle ultime settimane di udienze. Cinque degli otto ragazzi finiti a processo, quasi tutti giocatori di rugby nella stessa squadra dilettantistica, sono stati condannati all’ergastolo, che in Argentina equivale a 35 anni di prigione. Altri tre sono stati condannati a 15 anni per il ruolo attivo ma non decisivo nel pestaggio.
Il caso è stato seguito in maniera assai intensa da moltissimi media argentini, sia dai siti più scandalistici sia dai principali quotidiani nazionali: nelle ultime settimane, ogni giorno venivano riportate con assiduità le testimonianze dei familiari di Báez Sosa e degli imputati, oltre che le novità dal processo.
L’omicidio è avvenuto nel gennaio del 2020 a Villa Gesell, località sulla costa argentina: per la sua brutalità, per l’età degli imputati (oggi tutti fra i 21 e i 23 anni) e per le implicazioni razziste del pestaggio aveva attirato da subito molte attenzioni. Lunedì il verdetto è stato ascoltato dagli oltre 100 presenti nella sala di Dolores e da due milioni di argentini che hanno assistito alla diretta YouTube organizzata dal tribunale.
Fernando Báez Sosa aveva 18 anni ed era l’unico figlio di due immigrati paraguaiani. La sera dell’omicidio stava ballando con alcuni amici in un locale di Villa Gesell, quando era scoppiata una lite fra il suo gruppo e quello dei giocatori di rugby. I gestori avevano cacciato i litiganti dal locale, ma qualche minuto dopo i giocatori di rugby avevano accerchiato Báez Sosa e avevano iniziato a colpirlo, di sorpresa, prima con un colpo alla schiena e poi con uno di fronte.
Secondo le ricostruzioni, a quel punto Báez Sosa era caduto a terra ed era stato colpito nuovamente con altri due calci, che gli avevano fatto perdere i sensi. Un testimone ha detto: «Non si proteggeva nemmeno, incassava i colpi come un sacco di patate». Anche in quello stato, era stato calciato e picchiato con grande violenza per oltre 45 secondi, mentre uno dei ragazzi filmava la scena col telefono e gli altri si occupavano di tenere lontano chi cercava di aiutare Báez Sosa o di fermare il pestaggio.
Durante il processo alcuni degli ottantasette testimoni ascoltati dal tribunale hanno raccontato che gli otto ragazzi urlavano epiteti razzisti nei confronti di Báez Sosa e dicevano di volerselo «portare a casa come un trofeo». Indagini sulle loro chat private hanno evidenziato come gli imputati subito dopo i fatti si vantassero del pestaggio, non mostrassero alcun segno di pentimento e si accordassero per mantenere il silenzio sull’accaduto, nonostante fossero coscienti della possibile morte di Báez Sosa.
L’accusa aveva chiesto l’ergastolo per tutti e otto gli imputati, definendo l’azione collettiva come «un’esecuzione». La difesa ha invece sostenuto la tesi che non ci fosse volontà di uccidere. Máximo Thomsen, che secondo l’accusa ha dato il calcio mortale alla testa di Báez Sosa, Ciro Pertossi, Enzo Comelli, Matías Benicelli e Luciano Pertossi sono stati condannati all’ergastolo per omicidio aggravato da premeditazione. Blas Cinalli, Ayrton Viollaz e Lucas Pertossi sono stati condannati come “partecipanti secondari”, ma l’accusa potrebbe fare appello per ottenere una pena maggiore anche per loro.
Durante il processo, il tema del razzismo non è mai stato oggetto del dibattimento in aula, ma lo è diventato nelle discussioni legate al caso sui media. Secondo molte associazioni antirazziste, le origini paraguaiane della vittima sono uno dei motivi dell’odio e della brutalità degli assalitori. Le famiglie degli imputati si sono invece ripetutamente lamentate dell’eccessiva attenzione dei giornalisti sul caso, e in almeno un paio di occasioni ci sono stati confronti tesi fra parenti e rappresentanti dei media. Subito dopo la lettura della sentenza, Máximo Thomsen, uno dei condannati, è svenuto, mentre la madre ha attaccato verbalmente i giudici e i giornalisti presenti.