La distruzione di Aleppo, di nuovo
La città nel nord ovest della Siria, già devastata dalla guerra civile, è stata una delle più colpite dal disastroso terremoto di lunedì
Aleppo, la seconda città più grande della Siria dopo la capitale Damasco, è uno dei principali centri colpiti dal devastante terremoto avvenuto tra Siria e Turchia nella notte tra domenica e lunedì, in cui sono morte più di 4mila persone. Aleppo si trova nel nord ovest della Siria, in un’area che già prima del terremoto era stata martoriata da oltre un decennio di guerra civile tra il regime del presidente Bashar al Assad e i ribelli.
Nell’area in cui si trova Aleppo si stima che siano morte almeno 1.400 persone. Sono stime che molto probabilmente continueranno a salire: i soccorsi sono ancora al lavoro e ci sono migliaia di dispersi sotto le macerie. Anche qui, come in altre città siriane e turche, sono crollati interi edifici, collassando al suolo durante le scosse o qualche ora dopo.
Ad Aleppo il terremoto ha danneggiato anche l’antica cittadella che si trova nel centro storico ed è inclusa tra i patrimoni dell’UNESCO: al suo interno ci sono reperti archeologici risalenti all’epoca ottomana. È crollata parte della torre del minareto della moschea di Ayyubid e alcuni tratti delle mura difensive nel nord est della cittadella.
La situazione era già critica prima del terremoto. Aleppo, e in generale il nord ovest della Siria, ospita milioni di persone che negli anni della guerra civile, iniziata nel 2011, erano state costrette a lasciare le proprie case in altre zone del paese, per lo più a causa dei bombardamenti delle forze alleate ad Assad. L’intera città, dove si era combattuta una delle battaglie più feroci della guerra, era tornata sotto il controllo del regime nel 2016, dopo quattro anni di guerra contro i ribelli che avevano subito un lungo assedio dalle forze nemiche (quello che rimaneva dell’esercito siriano, le forze russe e le milizie sciite per lo più legate all’Iran). C’erano stati bombardamenti intensi ed Aleppo era stata in larga parte distrutta. Anche dopo la fine della guerra gli edifici erano rimasti fatiscenti e precari e l’assistenza sanitaria molto carente. È in questo contesto che si è verificato il devastante terremoto di domenica notte.
In queste ore gli abitanti di Aleppo che sono sopravvissuti hanno raccontato di non sapere dove andare. La situazione è complicata dal freddo e dalle forti piogge, che stanno ostacolando spostamenti e soccorsi. Il regime di Assad ha inviato in città i servizi di emergenza disponibili, compreso l’esercito e alcune squadre di volontari. Ma i danni sono estesissimi e per far fronte a tutto saranno necessari ulteriori aiuti.
In altre aree del nord ovest della Siria, quelle controllate dai ribelli, l’accesso dei soccorsi è invece complicatissimo e possibile solo attraverso il confine con la Turchia, e comunque con processi lunghi e complicati. Qui operano soprattutto i Caschi bianchi, un’organizzazione di volontari di difesa civile noti per i soccorsi prestati alla popolazione durante la guerra. I Caschi bianchi hanno chiesto in queste ore aiuto per riuscire a gestire tutti i soccorsi.
In un ospedale della provincia di Idlib, controllata da tempo dai ribelli, sono arrivate notizie di due o tre pazienti per singolo letto, e di ventilatori che non bastano per soccorrere tutte le persone che ne hanno bisogno. Mark Kaye, un dirigente dell’organizzazione non governativa International Rescue Committee, ha descritto la situazione in Siria come «una crisi dentro una crisi dentro una crisi».
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