Spagna e Marocco stanno risolvendo i loro problemi di frontiere
Dopo decenni di dispute e tensioni, un nuovo accordo potrebbe cambiare Ceuta e Melilla, le due exclavi spagnole in Africa
di Valerio Clari
A Ceuta, exclave spagnola in territorio marocchino, c’è una delle due frontiere di terra fra Unione Europea e continente africano. È lontana tre-quattro chilometri dal centro cittadino e appena prima di arrivare alle barriere spagnole c’è una rotonda. A Ceuta gli abitanti fanno molto sport, corrono e vanno in bici, favoriti dal clima e forse anche per assenza di grandi alternative su come passare il tempo libero. Su quella rotonda capita spesso di vedere sfrecciare ciclisti: arrivano fino a lì, la percorrono frenando il minimo indispensabile e tornano indietro. La vita a Ceuta può essere un po’ claustrofobica, deve svolgersi tutta in 18 chilometri quadrati: la frontiera fa parte del paesaggio urbano, la sua apertura o la sua chiusura hanno effetti importanti sulla vita della popolazione locale.
Appena prima della rotonda si apre un ampio piazzale: c’è un bar, di dimensioni ridotte ma dal nome altisonante, “Porta dell’Europa”, che promette più dei caffè e panini che vende. Ci sono una stazione dei bus e alcuni taxi in attesa: a metà gennaio era tutto piuttosto vuoto, le frontiere erano aperte, ma il passaggio dei cittadini marocchini è regolato da visti, difficili da ottenere. Ci sono stati tempi, fino al 2019, in cui invece quel piazzale era affollatissimo, prevalentemente di donne con enormi carichi nelle valigie, sui carrelli o sulle spalle. Erano le porteadoras, protagoniste del cosiddetto commercio atipico: trasportavano merci da un lato all’altro della frontiera. Per pochi euro facevano un lavoro faticoso, rischioso e illegale (per il Marocco, la Spagna tollerava), le merci passavano senza che nessuno controllasse cosa ci fosse nei pacchi. A Ceuta, del resto, non c’è mai stata una vera dogana commerciale, il commercio fra i due paesi si è sempre svolto così.
Quella storia, almeno in quelle dimensioni, dovrebbe essere finita. Le frontiere di Ceuta e Melilla, l’altra exclave spagnola sulla costa marocchina, circa 400 chilometri più a est, sono state uno dei temi del vertice di alto livello fra Spagna e Marocco tenutosi nei primi due giorni di febbraio a Rabat, capitale marocchina. È il primo incontro ufficiale dal 2015, dopo che i due precedenti, programmati nel 2020 e nel 2021, erano stati annullati unilateralmente dal Marocco. L’incontro ha segnato un ulteriore e definitivo riavvicinamento fra i due paesi, dopo la visita di aprile del primo ministro Pedro Sánchez al re Mohammed VI, che aveva segnato la fine della crisi.
La dogana di Melilla dovrebbe essere riaperta nei prossimi giorni anche se il vertice, a differenza di quanto atteso, non ha indicato una data precisa. Quella di Ceuta dovrebbe cominciare a funzionare allo stesso momento: i lavori per attrezzare fisicamente gli spazi sono conclusi ed è stato effettuato un primo passaggio di prova. Al momento la dogana è una struttura prefabbricata, ma sono già stati stanziati 1,5 milioni per un locale definitivo di 300 metri quadrati. Il passaggio delle persone resterà più complesso e più regolato, quello dei migranti subsahariani è invece in calo proprio da aprile. Il Marocco, che al culmine della crisi aveva allentato i controlli alle frontiere provocando un paio di esodi di massa verso Ceuta e Melilla, ora è tornato a controllare e bloccare le persone: qualcuno passa, ma sono numeri limitati.
Il Marocco ha chiuso la crisi perché, in fin dei conti, ha ottenuto molto di quello che voleva.
I rapporti con la Spagna, che è il primo partner economico del paese e il secondo investitore (dopo la Francia), erano diventati problematici nell’aprile del 2021. Il governo di Sánchez aveva permesso l’ingresso nel paese per motivi medici di Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario: le sue condizioni erano gravi dopo aver contratto il coronavirus ed era stato ricoverato all’ospedale di Logroño, in Spagna. Il Fronte Polisario è un movimento nazionalista che da più di 40 anni chiede al governo centrale marocchino l’indipendenza del territorio del Sahara Occidentale. Marocco e Fronte Polisario sono stati in guerra fra il 1975 e il 1991, quando è stato deciso un cessate il fuoco, ma lo status giuridico dell’area, per lo più desertica, rimane irrisolto. Dal novembre 2020, poi, le truppe marocchine hanno ricominciato a scontrarsi con il Fronte Polisario.
Il Marocco definì l’accoglienza concessa a Ghali dalla Spagna come un atto ostile e colse l’occasione per ribadire la sua contrarietà alla posizione ufficiale dei governi spagnoli sul Sahara Occidentale negli ultimi decenni. La Spagna, che era stata potenza coloniale nell’area, si era sempre detta totalmente neutrale. A maggio 2021 per rappresaglia il governo marocchino diminuì i controlli alle frontiere con le due exclavi, provocando ingressi di massa di migranti subsahariani, sia a Melilla che a Ceuta. Le due città si trovarono improvvisamente in enormi difficoltà, con circa 10.000 ingressi in pochi giorni: Sánchez andò a Ceuta e mobilitò l’esercito per gestire la situazione.
Intanto le frontiere per il traffico legale di persone, che erano state chiuse per questioni sanitarie durante le prime fasi della pandemia, non riaprirono. La dogana commerciale di Melilla, esistente sin dal 1958, era invece stata chiusa in precedenza, nell’agosto del 2018, con una decisione unilaterale sempre del Marocco, mai ufficialmente spiegata.
A marzo 2022 è arrivata la svolta, resa possibile da una lettera ufficiale del primo ministro spagnolo Pedro Sánchez che indicava un cambio di direzione piuttosto netto sulla questione del Sahara Occidentale. Nella lettera infatti Sánchez accettava le posizioni marocchine definendo il piano del governo di Rabat del 2007 «la base più seria, credibile e realista per la risoluzione di questa disputa». Quel piano, presentato all’ONU e considerato inaccettabile dal Fronte Polisario, prevede la creazione di un governo autonomo nella regione, sullo stile di quello delle Comunità autonome spagnole, ma sotto la sovranità territoriale del Marocco.
A quella lettera seguì la visita di Sánchez in Marocco, e gli annunci dell’organizzazione di un vertice bilaterale ufficiale (quello appena concluso) e di una prossima «piena normalizzazione» della circolazione di persone e merci.
La normalizzazione dei rapporti fra i due paesi avrà effetti consistenti sulle due città spagnole. La riapertura delle dogane avverrà, secondo quanto affermato dal ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, «in modo ordinato e progressivo»: nei primi tempi dovrebbe riguardare, dalla Spagna al Marocco, il passaggio di pesce e probabilmente frutta e verdura, mentre non è ancora chiaro quali merci, e con quali tassazioni, potranno essere vendute nell’altra direzione. Quando il commercio da quelle parti era una sorta di contrabbando tollerato, i marocchini acquistavano nelle exclavi soprattutto quei prodotti che lì non sono tassati, come nei duty-free: alcol, profumi, prodotti per l’igiene, cellulari e qualche altro prodotto tecnologico. Passando per le dogane, difficilmente le tasse potranno restare a zero.
Il governo spagnolo ha ribadito di voler mettere fine alla politica del “commercio informale” e alle cosiddette “valanghe” delle porteadoras, la pratica per cui un gruppo consistente di donne si radunava con i propri carichi vicino alle barriere, arrivando a superare eventuali blocchi grazie alla forza della calca: erano pratiche pericolose, che in passato hanno causato anche incidenti e morti.
I commercianti di Ceuta per ora hanno mostrato una certa diffidenza: temono che i dazi doganali rendano il pesce e in generale le merci provenienti dal Marocco, più economiche in origine, poco competitive rispetto a quelle provenienti dalla Spagna. I transfrontalieri marocchini invece vorrebbero una riapertura delle frontiere per il traffico regionale che superasse la necessità dei visti. Prima della crisi fra i due paesi, i residenti delle province limitrofe alle exclavi potevano superare la frontiera liberamente, e lo facevano con costanza non solo per commerciare, ma anche per lavorare a Ceuta e Melilla.
Per decenni i lavori meno qualificati e più umili sono stati svolti quasi interamente dai marocchini che, almeno sulla carta, si trasferivano giornalmente dalle province vicine a Ceuta e Melilla per poi tornare in Marocco la sera. I governi locali sembrano poco inclini a rendere di nuovo possibile questa pratica: da una parte è difficile controllare che i transfrontalieri non diventino residenti illegali nel territorio spagnolo, dall’altra l’assenza di una concorrenza di manodopera a basso prezzo può favorire l’occupazione nelle due città spagnole, da sempre un punto dolente. Da anni gli impieghi pubblici e i contratti temporanei forniti in modo più o meno assistenziale dalle amministrazioni locali sono la prima, se non l’unica, fonte di lavoro nelle zone.
In questi due anni di chiusura delle frontiere varie associazioni che operano nei quartieri più depressi di Ceuta e Melilla hanno segnalato un maggiore interesse da parte dei giovani a partecipare a corsi di formazione professionale di base: il mercato interno ha mostrato di avere bisogno di manodopera e artigiani per far fronte ai mancati ingressi dal Marocco.
Nulla invece dovrebbe cambiare per quel che riguarda l’altro grande tema legato alle frontiere, il transito dei migranti. Già da aprile, cioè dal ristabilimento dei pieni rapporti diplomatici, è diminuito il numero dei transiti via terra fra il Marocco e le exclavi spagnole: è l’unica via migratoria verso la Spagna che mostra questa tendenza. Le due exclavi sono circondate da un’alta barriera, la valla, implementata negli anni per evitare proprio i passaggi clandestini. La valla è alta fino a sei metri e prevede due diverse recinzioni: in mezzo ci passa una strada, a uso esclusivo di polizia, Guardia Civil (corrispondente dei nostri Carabinieri) ed esercito spagnolo.
Nella maggior parte dei casi la valla è sufficiente per scoraggiare i tentativi di superamento, in altri il governo spagnolo pratica le criticate e illegali “devoluciones en caliente”, un particolare sistema di respingimenti rapidi che ha consentito alle autorità di espellere i migranti arrivati a Ceuta e Melilla senza prenderne le generalità e senza consentire loro di fare richiesta di asilo o altri tipi di protezione.
Gli attraversamenti irregolari sono costanti ma molto limitati (circa un migliaio nel 2022): di solito a Ceuta vengono tentati a nuoto o camminando nell’acqua bassa attorno ai moli e aggirando le barriere. Non sono pratiche prive di rischi: nel 2022 sono stati 25 i morti accertati, ma altri cadaveri potrebbero non essere stati recuperati. A Melilla invece lo scorso 24 giugno sono stati circa 40 i migranti morti in un tentativo di superamento collettivo della valla da parte di un migliaio di persone.
I migranti che riescono a entrare a Ceuta e Melilla e non vengono respinti attendono l’esito della propria richiesta di asilo in strutture spesso lontane dai centri cittadini, chiamate CETI (Centro di permanenza temporanea per immigrati): sono liberi di muoversi all’interno del territorio di Ceuta e Melilla, è previsto solo un rientro serale. La gestione di questi flussi, per quanto di bassa intensità, è stato un altro oggetto di discussione nel vertice ispano-marocchino: il governo socialista di Pedro Sánchez in questi anni ha incrementato, con più fondi stanziati per le forze di polizia, il controllo delle frontiere spagnole.