Gli alpini, la memoria e mio zio
«La questione: il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, ricordo dello sterminio del popolo ebraico. Data scelta perché quel giorno, nel 1945, l'Armata Rossa abbatte i cancelli di Auschwitz. Il 26 gennaio è la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini. Data scelta “al fine di conservare la memoria dell'eroismo dimostrato dal Corpo d'armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la seconda guerra mondiale”. È il 1943, gli Alpini combattono contro l'Armata Rossa».
Alcune avvertenze, prima di cominciare, necessarie perché qui si parla di Alpini. Che sono un tema micidialmente sensibile. Dunque:
– chi scrive è un obiettore di coscienza. Se non avesse scelto il servizio civile – 20 mesi a Mestre, in periferia, in un Centro di Salute Mentale, con gli infermieri che lo guardavano storto perché aveva detto no al servizio militare – probabilmente sarebbe stato reclutato tra le truppe alpine. Storie di quarant’anni addietro, di cui residua oggidì un blando ma convinto antimilitarismo.
– chi scrive sa bene del valore civile e solidaristico rappresentato dall’Associazione Nazionale Alpini (ANA) e di quanto i suoi gruppi fanno quando c’è un disastro, un’emergenza. E anche della loro importanza nella vita civile dei paesi dove sono spesso una delle poche macchine sociali.
– nella famiglia di chi scrive permane il ricordo di come il Gruppo ANA di Quarrata, Pistoia, abbia cambiato la vita dello zio dopo una grave malattia tirandolo dentro le sue attività e portandolo fuori dalla palude della malinconia. Nella foto sulla tomba lo zio è con il cappello piumato in testa mentre sfila. Io, lì, l’ho visto contento.
– chi scrive ritiene che in una adunata degli Alpini – la prossima sarà a Udine a maggio – vi sia per una ragazza un rischio di palpeggiamenti del sedere, in pubblico e senza il suo consenso, statisticamente più alto che in un generico assembramento di maschi italiani. Stadi compresi. Pensiero poco profondo, lo so, che fa uso di etichette generiche e di ogni erba un fascio. Ma pensiero è.
La questione: il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, ricordo dello sterminio del popolo ebraico. Data scelta perché quel giorno, nel 1945, l’Armata Rossa abbatte i cancelli di Auschwitz. Il 26 gennaio è la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini. Data scelta “al fine di conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la seconda guerra mondiale”. È il 1943, gli Alpini combattono contro l’Armata Rossa.
La legge 44 del 5 maggio 2022, istituendo la Giornata, ci mette dentro “i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano”. Ma resta la scelta di quella data: una battaglia dove gli Alpini sono un esercito invasore, alleati dei nazisti. Così il 26 gennaio ricordiamo una vittoria sull’esercito sovietico e quello dopo la tragedia della Shoah – opera dei nazisti con qualche aiuto fascista – a cui pone idealmente fine la medesima Armata Rossa. Curioso. Un po’ imbarazzante?
L’Associazione Nazionale Alpini ha 350mila iscritti. Il suo presidente, Sebastiano Favero, 74 anni, trevigiano, ingegnere, è figlio, fratello, padre e nipote di alpini e ha una biografia che condensa tutta l’energia dell’associazione: ha costruito un rifugio sul Massiccio del Grappa, poi un museo all’aperto, un asilo a Rossosch in Russia – dove gli Alpini avevano il loro comando – una scuola multietnica in Bosnia, una in Mozambico e molto altro ancora. Il 26 gennaio, per la prima edizione della Giornata, non è andato alla celebrazione a Roma, al Senato. Dove c’erano il comandante delle truppe alpine gen. Ignazio Gamba e il vicepresidente del Senato sen. Maurizio Gasparri che ha portato il saluto del presidente del Senato sen. Ignazio La Russa.
Favero era a Brescia, dove “ha reso onore ai Caduti al sacrario militare nel cimitero Vantiniano”. Intervistato qualche giorno prima da Avvenire, fa una premessa: “La data è stata scelta in autonomia dalle Camere”. E alla fine lo ribadisce: “L’Associazione non ha mai messo condizioni sulla data, che è stata scelta dal Parlamento in piena autonomia. (…) Ma, ripeto: la data non l’hanno scelta gli alpini”. Se neanche gli Alpini volevano essere “festeggiati” con una data legata a una guerra di invasione – avrebbero preferito il 15 ottobre, fondazione del Corpo, nel 1772 – come siamo arrivati a questo 26 gennaio?
È una storia lunga, che mette insieme valori, sentimenti, miti e l’uso che la politica ne può fare. Li ricostruisce bene un articolo di Filippo Masina, La Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, pubblicato on line.
C’è la guerra più terribile, violenta, assoluta mai combattuta dall’umanità: quella tra Germania nazista e Unione Sovietica: 25, forse 27 milioni di morti tra i cittadini sovietici. Non c’è famiglia senza un caduto. C’è la tragedia dei 230mila militari italiani mandati da Mussolini a fianco dei nazisti (gli Alpini erano 60mila), ci sono 85 mila morti, i prigionieri di guerra che tornano dopo anni e quelli che non tornano. In un piccolo paese sull’Appennino dove vado in vacanza si racconta la storia della madre di un disperso in Russia che tutte le sere, per anni, fino alla morte, usciva di casa per andare in piazza, alla fermata della corriera. Aspettava l’ultima corsa da Firenze, forse ne sarebbe sceso il figlio.
In quella stessa piazza, seduti su una panchina, Natasha, che è nata a Leningrado e ora vive in Mugello perché il mondo è cambiato, mi ha raccontato della sua infanzia e dell’adolescenza in Unione Sovietica, tutte immerse nel racconto e nella celebrazione della Grande Guerra Patriottica contro i nazisti. Dei morti nella sua famiglia e di non aver mai saputo che in quella guerra avevano combattuto e sofferto anche degli italiani. Lo ha scoperto solo dopo, vivendo in Italia. Perché ognuno ha i suoi miti e perché, in quella carneficina, quello che fecero il Corpo di spedizione italiano in Russia e l’8a Armata italiana in Russia – “gli Alpini”, nella narrazione di dopo – fu anche drammaticamente insignificante sul piano militare. 85mila morti che nel tritacarne della guerra non significarono nulla: nei giorni brutti i sovietici perdevano 40mila soldati al giorno e i giorni brutti, durante l’inarrestabile avanzata nazista, durarono mesi. Ne ho parlato con qualche alpino del paese, nelle sere d’estate, e loro la vedono diversamente. Spirito di corpo, sensibilità, appartenenze, letture differenti. Ogni morte è un dolore. Quelle degli italiani in Russia, proprio perché non servirono a nulla, per me, aggravano solo la responsabilità di chi a morire li aveva mandati. E poi, mi pare, c’è quella difficoltà nostra, nazionale, a dirci che non siamo stati, sempre e comunque, “brava gente”. In Russia, noi, abbiamo anche fucilato e saccheggiato.
Ma torniamo a Nikolajewka, lo scontro su cui poggia la giornata. Filippo Masina scrive che è un’operazione di ricostruzione narrativa: la memoria di una battaglia diventa “formula retorica come tante altre, e tipica dei reducismi. Il ricordo non di tutta la campagna di Russia – incluso il suo carattere di guerra fascista di aggressione – ma solo dello scontro in fondo difensivo, in ritirata, per la vita o la morte, di Nikolajewka”.
Poi il percorso della legge. Nasce da una proposta della Lega, già nel 2017, poi ripresa nel 2019. Primo firmatario il deputato emiliano Guglielmo Golinelli. Che prende “i valori che incarnano gli Alpini nella difesa della sovranità e dell’interesse nazionale e nell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato” e li mette tutti lì, a Nikolajewka. Dove “le forze sovietiche vennero sopraffatte dagli Alpini della divisione Tridentina, comandati dal loro eroico comandante, il generale Reverberi, che li trascinò all’attacco delle postazioni russe al grido di “Tridentina avanti!”. Come una valanga, gli Alpini travolsero la resistenza sovietica”.
Lo fa perché sa quanto quella data, il 26 gennaio, sia piena di significato per gli Alpini? C’è un po’ di confusione? Ci sono troppe diverse cose messe insieme? C’è una riscrittura della storia? L’ipotesi, dice Masina, è che “gli Alpini in Russia avrebbero difeso una qualche supposta «sovranità» italiana, pur trovandosi a più di qualche migliaio di chilometri dalle patrie frontiere, e quasi che l’«interesse nazionale» stesse in una guerra (fascista) di aggressione”.
C’è che gli Alpini votano, riscuotono una generale simpatia e sono da celebrare tirandoli dalla propria parte anche a costo di qualche forzatura. E infatti, una volta approvata la legge, prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sorge qualche dubbio. Iniziano gli storici: la Società italiana per lo studio della storia contemporanea, quella per la storia dell’età moderna e quella degli storici medievisti scrivono ai presidenti di Camera e Senato dicendo, si perdoni la sintesi, che sarebbe meglio smetterla di istituire giornate della memoria un po’ come capita. Che si è scelta una data che non si collega all’intera storia e all’impegno anche umanitario degli Alpini, “bensì ne isola, celebrandola, un’impresa militare – la battaglia di Nikolajewka – condotta all’interno di una guerra di aggressione dell’Italia fascista”. Dicono anche che siamo accanto al Giorno della Memoria, che qui facciamo una figuraccia internazionale e che in futuro, “in occasione di altri provvedimenti su celebrazioni memoriali” sarebbe meglio chiedere anche a loro. Che di mestiere fanno gli storici. Chiedete a chi ne sa.
Poi anche 39 anziani Alpini ufficiali di complemento scrivono al presidente Mattarella esprimendo le loro perplessità. Ne avevamo intervistato uno alla radio, per farci raccontare di queste preoccupazioni. Non ne era uscito niente di interessante e molta retorica. Mi ero scusato, dopo, con Sara Zambotti, la collega in onda, per aver perorato quella scelta.
Poi il presidente firma la legge, accompagnandola con una lettera al capo del governo per dire che la festa delle forze armate c’è già, è il 4 novembre. Insomma: stiamo attenti a non esagerare. Lo aveva detto anche il generale Mario Buscemi, presidente delle Associazioni d’arma, in commissione Difesa al Senato: “C’è una disparità che è mal vissuta dal resto delle Forze Armate, dimentica i fanti e i marinai che hanno combattuto con altrettanto eroismo”.
I senatori non lo seguono e la legge passa con 189 voti a favore, nessun contrario e un astenuto al Senato. Alla Camera 459 favorevoli, 7 astenuti e nessun contrario. Tutti d’accordo.
In questo primo 26 gennaio quindi la Lega festeggia: Laura Cavandoli, eletta a Parma, mette insieme l’orgoglio di essere tra i primi firmatari della proposta di legge, l’amore per gli Alpini e un po’ di riscrittura della storia. A “Nikolajewka, in Russia, – dice – il Corpo Armato degli Alpini riuscì a opporsi vittoriosamente al blocco dell’Armata Rossa per difendere la libertà nazionale, (corsivo di chi scrive)”.
Per l’onorevole Golinelli a Nikolajewka “quegli eroi sacrificarono tutto per la difesa della Patria e dei suoi confini”. (Idem) Può sembrare revisionismo. No, prosegue l’onorevole, questo lo hanno fatto altri: “Eroi, troppo spesso non ricordati come tali o addirittura stigmatizzati dall’inaccettabile opera di revisionismo postuma al secondo conflitto mondiale”.
E il centrosinistra? Posizioni più sfumate. Pare di leggere una certa disattenzione, una titubanza. Dimenticando così un’altra parte dei protagonisti di questa storia: i tanti Alpini reduci dalla campagna di Russia che aderirono alla Resistenza. Uno per tutti Nuto Revelli. L’Associazione dei partigiani, l’Anpi, ha avuto meno dubbi.
Nella discussione alla Camera, era il 2019, Erasmo Palazzotto di Leu aveva presentato un emendamento per cambiare la data al 15 ottobre. Ma fu respinto dal centrodestra con l’astensione del Partito Democratico. Preoccupazione che un “no” potesse essere interpretato come ostilità verso gli Alpini? Emanuele Fiano, deputato PD, in un’intervista a Repubblica appena dopo l’approvazione definitiva del Senato, lo dice chiaro: abbiamo fatto una cazzata, ci siamo distratti. “Si è trattata di una clamorosa svista”, capita. “Rimedieremo presto”. Ma poi non è stato rieletto.
Una teoria, un po’ complottista o forse neanche tanto, dice che il Giorno della Memoria sta talmente sulle scatole a una parte della nazione profonda che si continua a cercare di depotenziarlo. Anche mettendogli intorno altre memorie: le foibe – E allora le foibe? – il 10 febbraio, Nikolajewka il giorno prima.
Tocca dire, per finire, questa storia piena di tante cose, che Nikolajewka oggi non esiste più. È parte di un altro villaggio, Livenka, Oblast’ di Belgorod, ai confini con l’Ucraina. Lì adesso c’è ancora la guerra.
Dello zio invece ho pochi ricordi e me ne dispiaccio. Abbiamo vissuto alcuni anni nella stessa grande casa, poi lui e la sua famiglia si sono trasferiti in quella nuova, costruita con il benessere degli anni ’70. Era a 30 metri da noi e le relazioni si sono allentate. Siamo gente che si è sempre spostata poco e le distanze ci mettono in difficoltà.
Aveva fatto il servizio militare in Alto Adige e la zia Alba, sua sorella, la più giovane, racconta che una sera, in un cinema di Merano, aveva interrotto la proiezione di un Cinegiornale Luce, quelli che davano notizie prima che partisse il film. C’erano le immagini di un lago artificiale, appena inaugurato in Toscana. Era a 200 metri da casa nostra e lo zio si alzò in piedi e cominciò a urlare: “Quella è casa mia! Quella è casa mia!”. Credo che volesse tornare lì. Come tutti gli Alpini, da Merano o dalla Russia, tornare a casa.