Le critiche anonime al reality show ispirato a “Squid Game”
Ancora devono finire le riprese ma alcuni concorrenti già eliminati hanno parlato di condizioni estreme e di generale disorganizzazione
Nel giugno 2022, dopo il grandissimo successo di Squid Game, Netflix annunciò che avrebbe fatto un reality show ispirato alla serie sudcoreana. La serie, che è la più vista di sempre sulla piattaforma, parla di un distopico gioco di sopravvivenza i cui 456 concorrenti devono superare prove sadiche e cruente, fino a uccidersi l’un l’altro, per riuscire a vincere un premio di 45,6 miliardi di won, circa 34 milioni di euro.
Per il reality show Netflix ha reclutato quindi 456 concorrenti e offerto al vincitore un premio di oltre 4,56 milioni di dollari. L’ovvia differenza è che nel reality show, le cui riprese sono ancora in corso e per cui ancora non c’è una data di uscita, i giochi non sono letali né tantomeno pericolosi. Tuttavia, negli ultimi giorni sono usciti resoconti anonimi in cui alcuni dei 456 concorrenti si sono lamentati di come Netflix ha gestito il reality show, che per differenziarsi dalla serie si chiama Squid Game: The Challenge.
Le prime critiche a Squid Game: The Challenge, le cui riprese sono iniziate in Inghilterra, erano arrivate a fine gennaio dal tabloid britannico Sun (la produzione è gestita da due importanti società del Regno Unito), che aveva parlato di concorrenti vicini all’ipotermia per essere stati lasciati diverse ore in un gelido hangar per aeroplani nel quale si è svolta la prima prova del gioco, una sorta di grande partita a “Un, due, tre, stella!”. A quell’articolo Netflix aveva risposto spiegando che i partecipanti erano stati avvertiti delle condizioni che avrebbero trovato e che ogni necessaria precauzione era stata presa per garantirne salute e sicurezza.
In un approfondito articolo pubblicato il 3 febbraio la rivista statunitense Variety ha raccontato altri e maggiori dettagli di Squid Game: The Challenge dopo averne parlato con tre concorrenti che hanno scelto però di restare anonimi, anche perché prima di partecipare al programma avevano firmato appositi accordi di riservatezza in cui si impegnavano con la produzione a non divulgare i dettagli del reality show.
I tre concorrenti hanno raccontato che “Un, due, tre, stella!”, il primo dei giochi, sarebbe dovuto durare circa due ore e che invece ne è durato quasi sette (arrivate dopo otto ore di preparazione e attesa), con temperature sotto lo zero e con diversi concorrenti collassati per il freddo e la fatica. Una concorrente ha detto che le condizioni non erano così estreme come raccontate dal Sun ma nemmeno facili come sostiene Netflix.
Variety ha scritto che nelle molte ore prima del gioco ai concorrenti, che per partecipare avevano dovuto fornire certificati medici di buona salute, è stato permesso di indossare cappotti (che la produzione aveva detto loro di portare) e altri indumenti oltre alle tute con cui giocavano, e che c’erano piccole stufe con cui scaldarsi. Una volta iniziato il gioco però «l’atmosfera è cambiata», perché i concorrenti hanno dovuto aprire o togliere i loro cappotti e perché si è arrivati a chiedere loro, per non essere eliminati, di restare immobili per un tempo massimo di 15 minuti (secondo una versione il tempo in cui stare immobili è arrivato fino a 26 minuti).
Secondo una delle fonti di Variety almeno quattro persone sono svenute e, in generale, molte «cadevano a terra come mosche» mentre nel frattempo la produzione insisteva perché il gioco non si fermasse. Secondo la fonte, solo dopo diversi casi in cui il personale medico è dovuto intervenire la produzione ha leggermente rilassato le regole.
Anche a prescindere dal gioco, i tre concorrenti hanno parlato di un’organizzazione secondo loro spesso approssimativa, impreparata al gran numero di partecipanti al programma e alle relative difficoltà logistiche, nonché in certi casi espressamente interessata a complicare le cose per i concorrenti, anche nelle ore precedenti o successive alle riprese.
Variety, che nel titolo del suo articolo ha parlato senza mezzi termini di un «disastro», ha scritto che la produzione ha contattato direttamente ognuno degli oltre 200 concorrenti che si stima siano stati eliminati dal primo gioco per chiedere loro se stavano bene e se erano rientrati a casa senza problemi.
Già prima e anche a prescindere dai resoconti su come è stata gestita la prima prova di Squid Game: The Challenge, del programma si è parlato e si sta parlando per considerazioni sulla sua difficoltà (456 concorrenti sono tantissimi da gestire), sul suo premio finale senza precedenti e su come e quanto questo gioco potrà reggere il confronto con la serie. Ha infatti il vantaggio di essere reale ma l’oggettivo svantaggio, in termini di racconto, di non potersi ovviamente spingere troppo in là con le sue prove. Le critiche al programma e le difese di Netflix e della produzione stanno in gran parte sulla negoziazione di questo confine: da una parte la necessità di garantire sicurezza e relativo agio ai concorrenti, dall’altra quella di metterli in condizioni più o meno estreme e drammatiche, partendo dal fatto che sapessero a cosa andavano incontro.
Variety fa notare inoltre che non è chiaro se, come e quanto Netflix e le società di produzione (che rispetto a Netflix hanno più esperienza in programmi di questo tipo) fossero o siano allineate su quanto rendere dure le prove e su quanto eventualmente renderle dure dal punto di vista della pura resistenza fisica, cosa in realtà spesso secondaria perfino nella serie Squid Game.
Su un ulteriore livello c’è poi da capire se, a conti fatti, Netflix trarrà o meno vantaggio dal dibattito su questo tema, ovviamente alimentato da resoconti fatti da concorrenti eliminati ai giornali. Almeno in parte, infatti, questi racconti accrescono l’aura di difficoltà e straordinarietà del programma.
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