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Secondo le nuove stime del Fondo Monetario Internazionale il Prodotto Interno Lordo (PIL) della Russia potrebbe nel 2023 crescere dello 0,3 per cento, contro le previsioni di ottobre che lo vedevano in calo del 2,3 per cento a causa delle conseguenze delle pesanti sanzioni economiche che l’Occidente le ha imposto. Secondo l’FMI l’economia russa è tenuta in piedi dalle esportazioni di petrolio, che continuano a garantirle notevoli guadagni, e dal fatto che sta aggirando le sanzioni commerciali.
Molte inchieste hanno effettivamente dimostrato che la Russia è riuscita nel tempo ad aggirare le sanzioni, anche grazie alla complicità di alcuni paesi, come Cina, India e Turchia. Non vuol dire che le sanzioni siano inutili: nel 2022 il PIL russo si è comunque contratto del 2,2 per cento. Non tanto quanto ci si attendesse, ma le sanzioni ci mettono tempo a produrre effetti, soprattutto quelle più efficaci, come il divieto di esportazione di tecnologia strategica.
Le sanzioni che l’Occidente ha imposto alla Russia sono tantissime – soltanto l’Unione europea ne ha approvati nove pacchetti – e sono riconducibili grossomodo a quattro tipologie.
La prima riguarda le sanzioni individuali contro membri dell’élite russa e del governo, e contro i cosiddetti oligarchi: consistono nel divieto di viaggio nei territori da cui arrivano le sanzioni e nel congelamento dei beni presenti in quei territori e appartenenti alle persone colpite, come conti correnti, immobili e yacht. L’obiettivo è di compromettere lo stile di vita di queste persone, ma anche di infliggere loro seri danni economici.
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Un secondo tipo di sanzioni comprende quelle misure che hanno ridotto lo spostamento di persone e merci da e verso la Russia, come il divieto di sorvolo di tutti gli aerei russi su Stati Uniti e Unione europea, e la chiusura dei porti all’intera flotta mercantile russa.
Ci sono poi le sanzioni che colpiscono il sistema finanziario. L’Unione europea, gli Stati Uniti e altri paesi hanno adottato misure specifiche per limitare l’accesso di alcune banche russe ai mercati finanziari occidentali e per bloccare totalmente le transazioni della Banca centrale russa, congelando anche tutte le riserve di denaro che deteneva all’estero presso altre banche centrali o istituzioni.
Infine ci sono le sanzioni commerciali. Riguardano il divieto di esportazione in Russia di varie tecnologie, come microprocessori, software e varie tecnologie militari che renderanno difficile per l’esercito russo aggiornare e potenziare le proprie capacità. È stata anche vietata l’esportazione di tecnologie che riguardano la raffinazione e la fornitura di petrolio. Sono sanzioni che hanno un notevole potenziale e potrebbero danneggiare vari settori dell’economia russa, ma richiedono tempo per far sentire davvero il loro effetto.
C’è poi il divieto di importazione di petrolio russo, che gli Stati Uniti hanno adottato da tempo. Nell’Unione europea è in vigore da inizio dicembre per il petrolio greggio, mentre per il petrolio raffinato è in vigore solo dal 5 febbraio. Da inizio dicembre, quel poco petrolio russo che è ancora acquistato dall’Occidente è soggetto a un tetto di prezzo pari a 60 dollari al barile, concordato dai paesi del G7, dall’Unione europea e dall’Australia. Tale cifra è piuttosto inferiore al prezzo di mercato (intorno agli 80 dollari al barile), quindi la Russia è costretta a venderlo riducendo molto i guadagni.
Tuttavia è ormai noto che la Russia ha trovato il modo di adattarsi a queste sanzioni, innanzitutto aggirando in parte quelle commerciali, grazie alla complicità di altri paesi.
Un’inchiesta del New York Times racconta per esempio che la scorsa estate in Armenia è arrivato un volume spropositato di telefoni cellulari, circa 10 volte quanto importato nei mesi precedenti. Erano davvero troppi cellulari per un paese così piccolo, ma è poi emerso che sono stati esportati a loro volta in Russia, a cui gli occidentali si rifiutano di vendere tecnologia che potrebbe applicare allo sviluppo delle tecniche militari.
La stessa cosa è avvenuta per prodotti come lavatrici e chip per computer, arrivati in Russia attraverso altri paesi. I dati sui flussi commerciali internazionali mostrano chiaramente che alcuni paesi stanno aiutando la Russia a rifornirsi: Turchia, Cina, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan fanno transitare merci sul loro territorio per poi farle arrivare in Russia. Queste pratiche si vedono anche dalle decisioni di alcune aziende di trasporti russe che stanno potenziando rotte alternative: per esempio Fesco, l’azienda russa di trasporti, ha aggiunto svariate navi sulla rotta tra Istanbul e Novorossijsk.
La Russia ha smesso da tempo di pubblicare dati sul commercio internazionale, ma gli analisti e gli economisti riescono comunque a ricostruirli tramite i dati che pubblicano gli altri paesi sulle loro esportazioni verso la Russia: non è chiaro quanta parte di questi scambi violino le sanzioni imposte dall’Occidente, ma una buona parte sembra sospetta. Un’analisi del centro di ricerca statunitense Silverado Policy Accelerator stima che le importazioni della Russia dal resto del mondo (esclusi Stati Uniti e Unione europea) siano notevolmente più alte rispetto ai flussi di prima della guerra.
Il commercio si è particolarmente intensificato con la Cina: secondo un rapporto di Free Russia Foundation il commercio tra Russia e Cina è aumentato di circa 27 miliardi di dollari tra marzo e settembre dello scorso anno, rispetto allo stesso periodo del 2021, fino a raggiungere i 99 miliardi di dollari. Non solo la Russia ha aumentato le importazioni di semiconduttori e microchip dalla Cina, ma ha anche dirottato lì quantità ingenti di gas e petrolio, che ha compensato in parte il calo delle esportazioni verso l’Occidente.
Il motivo principale per cui l’economia russa è ancora in piedi è legato al fatto che la Russia è comunque riuscita a esportare la sua più grande fonte di ricchezza, ossia l’energia. L’Unione europea è riuscita a liberarsi solo gradualmente dal gas russo, da cui era particolarmente dipendente prima della guerra. Nel corso dello scorso anno ha continuato ad acquistarlo, seppur in misura ridotta, contribuendo così a far guadagnare ancora la Russia.
Non è neanche chiaro quanto siano davvero efficaci il tetto al prezzo e in generale l’embargo al petrolio russo imposti dall’Occidente. Il tetto al prezzo del petrolio costituisce sostanzialmente una deroga all’embargo generale e consente di spedire il petrolio russo a livello globale utilizzando navi cisterna del G7 e dell’Unione europea, ma solo se il petrolio viene acquistato a un prezzo entro i 60 dollari fissati dal tetto. Questa eccezione è stata pensata per mantenere il flusso di petrolio sui mercati globali, evitando così una carenza e l’aumento eccessivo del prezzo, ma limitando al tempo stesso le entrate del governo russo.
Tuttavia in molti pensano che la Russia stia trovando il modo di aggirare queste regole utilizzando altre navi. Questo benché il governo russo abbia espressamente dichiarato di non avere più intenzione di vendere il proprio petrolio a un prezzo così basso.
Alcuni operatori del trasporto marittimo da mesi segnalano tantissimi casi sospetti in cui sembrava che gli spedizionieri stessero aggirando le sanzioni. Come quelli raccontati al New York Times da Ami Daniel, l’amministratore delegato dell’azienda di trasporti Windward Maritime: ha notato varie volte trasferimenti di petrolio russo tra navi in alto mare, che avvenivano in acque internazionali e quindi fuori dalla giurisdizione di un paese specifico, e tentativi da parte delle navi di operare nell’ombra disattivando i localizzatori satellitari o trasmettendo coordinate false.
Queste pratiche consentono all’economia russa di sopravvivere, ma non certo di crescere e prosperare: le industrie risentono tantissimo di tutti i componenti che non possono più ricevere dagli altri paesi e allo stesso tempo non possono più vendere loro le proprie merci, una condizione che ha portato a un calo della produzione industriale.
Nonostante i dati sull’economia russa non abbondino, si può però riportare qualche aneddoto per far capire come stiano andando le cose.
La compagnia aerea russa Aeroflot ha iniziato a smontare i suoi aerei che coprivano tratte extra nazionali per trovare pezzi di ricambio. A causa della mancanza di auto occidentali Yandex, il più diffuso servizio di taxi, ha dovuto rifornirsi di auto Lada, prodotte in Russia e considerate meno comode e sicure, chiedendo un aumento delle forniture. Ma la produzione ormai è ferma e almeno dieci grandi aziende automobilistiche si sono bloccate, un pessimo segnale dato che questo settore è uno degli indici più affidabili su come stia andando l’economia.
È innegabile però che la Russia stia reagendo meglio di quanto previsto all’inizio della guerra.
Secondo molti la sua resilienza è legata alla storia e alle caratteristiche dell’economia russa. Questa è la quinta crisi economica che la Russia deve affrontare nel giro di 25 anni, dopo quelle del 1998, 2008, 2014 e 2020. La popolazione russa è quindi in un certo senso abituata alle difficoltà economiche e si sa adattare con relativa facilità.
Inoltre, l’economia russa è molto più isolata rispetto ai paesi occidentali, che al contrario sono fortemente interconnessi. Nel 2019 gli investimenti diretti stranieri valevano circa il 30 per cento del PIL, contro una media globale del 49 per cento. Solo lo 0,3 per cento dei lavoratori russi lavorava in una multinazionale americana, contro una media del 2 per cento negli altri paesi avanzati. L’essere ulteriormente isolata dalla comunità internazionale non ha quindi avuto un effetto dirompente, perché di fatto la Russia era un paese già più isolato rispetto agli altri. E anche a livello di materie prime, energetiche e non, è piuttosto autonoma.
In più, per dire se le sanzioni siano efficaci oppure no bisogna chiarire qual è il loro l’obiettivo.
Quello di breve termine, almeno all’inizio, era di creare una crisi di liquidità in Russia, che le avrebbe reso difficile finanziare la guerra in Ucraina e il sostegno che il governo avrebbe dovuto fornire all’economia per evitare una recessione. Nel lungo termine, l’obiettivo è di compromettere la capacità produttiva e tecnologica della Russia, così da ridurre le risorse che in futuro Vladimir Putin potrebbe usare per continuare ed estendere la guerra, magari ad altri paesi. Inoltre le sanzioni, se efficaci, funzionano anche da deterrente generale verso tutti quei paesi che potrebbero avere in mente di iniziare una guerra.
Secondo l’Economist le sanzioni più efficaci sono i divieti all’esportazione di tecnologia alla Russia, che sono quelle di cui si discute meno anche perché ci mettono molto tempo a produrre effetti.