Come funziona la giustizia sportiva in Italia
Visto che se ne parla e se ne parlerà ancora molto per il caso della Juventus e delle plusvalenze false
di Alessandro Austini
Nello sport esiste un sistema di giustizia autonomo che serve a regolare l’attività di atleti, società e federazioni e a gestire le controversie. Quando si parla di giustizia sportiva si intende quindi l’insieme di norme, organi e procedimenti su cui è basato questo sistema, che ha l’obiettivo di sanzionare le infrazioni commesse nell’ambito sportivo, senza che debba intervenire la giustizia ordinaria.
Il procedimento che sta coinvolgendo la Juventus e che le ha assegnato 15 punti di penalizzazione in campionato è stato gestito proprio dalla giustizia sportiva, e nella fattispecie dalla Corte d’Appello della Federcalcio italiana (FIGC). Sulle stesse vicende, quella delle cosiddette “plusvalenze false”, e su altre che riguardano i bilanci della società, sta indagando anche la giustizia ordinaria. E sono state proprio le scoperte legate alle indagini della giustizia ordinaria a dare impulso al procedimento della giustizia sportiva, che in precedenza aveva già fatto una prima indagine sulle stesse presunte irregolarità e che però, in mancanza di quelle prove, aveva deciso di prosciogliere la società.
In Italia il Comitato olimpico nazionale (CONI) ha emanato un Codice della giustizia sportiva valido per le federazioni di tutti gli sport, che possono approvare a loro volta un proprio specifico codice dedicato alle singole discipline sportive conforme alle norme generali. Alla giustizia sportiva devono rispondere tutti gli atleti, i tecnici, gli arbitri, le federazioni, le associazioni sportive e le varie figure che lavorano al loro interno per le questioni che riguardano l’attività sportiva. Deve essere rispettato anche dai soci o da chiunque sia riconducibile al controllo delle società.
Le norme che caratterizzano il sistema sono ispirate alle leggi ordinarie e in particolare al diritto amministrativo. Una delle peculiarità della giustizia sportiva riguarda la tempistica delle decisioni, come viene specificato dal CONI: «I giudici e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni sportive e dell’ordinamento dell’attività federale». Per questo i procedimenti si devono chiudere in tempi brevi e i giudici non possono aspettare la conclusione delle indagini della giustizia ordinaria — da cui spesso scaturiscono le inchieste sportive — per emettere le loro sentenze. Inoltre le pene vanno scontate dal momento della pubblicazione della sentenza, anche se nel frattempo è stato presentato un ricorso. È quanto successo con la penalizzazione della Juventus, decisa rapidamente e applicata fin da subito.
Le pene devono essere anche “afflittive”, ovvero determinare ad esempio un concreto danno sportivo alla squadra che viene penalizzata. Su questo principio furono basate le sentenze relative al cosiddetto caso “Calciopoli” del 2006, che stabilirono una riduzione dei punti in classifica sufficiente per far retrocedere la Juventus in Serie B, oltre alla revoca dello Scudetto del 2005 e la non assegnazione dello Scudetto della stagione appena conclusa. Lazio, Fiorentina e Milan furono invece penalizzate di 30 punti a testa. Questa differenza nelle penalizzazioni e il mancato coinvolgimento di altre squadre nel processo attirò molte critiche sulla giustizia, e accuse di arbitrarietà: tutte cose che si sono riproposte in occasione della più recente sentenza sulla Juventus.
Un altro principio della giustizia sportiva che viene spesso discusso è quello della “responsabilità oggettiva”. Una società può essere infatti giudicata per i comportamenti tenuti dai propri tesserati o dai propri tifosi negli stadi. Questo spiega perché i club vengono multati per i cori razzisti cantati dai tifosi durante le partite.
Un tempo nella giustizia sportiva valeva il principio secondo il quale nei processi spettava alla difesa l’onere di provare la propria innocenza. Le cose cambiarono in seguito alla sentenza su un caso legato ad alcune presunte scommesse illecite effettuate sulla partita di Coppa Italia Atalanta-Pistoiese del 2000. I giudici del processo di secondo grado assolsero tutti gli imputati e con quella decisione fecero giurisprudenza: da allora anche nei procedimenti sportivi devono essere fornite dall’accusa delle prove che dimostrino “oltre ogni ragionevole dubbio” la colpevolezza degli imputati.
Per garantire l’autonomia e l’indipendenza del sistema, tutti gli appartenenti agli organi della giustizia sportiva, nel momento in cui accettano un incarico, sono tenuti a firmare una dichiarazione con cui garantiscono di non avere rapporti di lavoro o qualsiasi altra forma di collaborazione con la Federazione o con i tesserati, né di avere rapporti di parentela fino al terzo grado con i membri del Consiglio federale, l’organo politico che riunisce il presidente della FIGC e i consiglieri eletti dalle varie componenti della federazione. Una volta concluso l’incarico, lo stesso vincolo deve essere rispettato per un ulteriore anno. Le cariche nella giustizia sportiva durano per quattro anni e possono essere rinnovate per due volte.
I giudici vengono scelti attraverso un bando a cui possono partecipare professori universitari in materie giuridiche, magistrati, avvocati e notai, anche se inattivi o in pensione. Per entrare fra i giudici territoriali, che si occupano delle questioni riguardanti i campionati locali, basta invece avere una laurea in giurisprudenza o un qualsiasi diploma, a patto di avere maturato almeno cinque anni di esperienza nel settore sportivo o tre anni di tesseramento in ambito federale.
Il più frequente caso in cui viene coinvolta la giustizia sportiva nel calcio riguarda i fatti che si verificano durante le partite, che vengono giudicati dai giudici sportivi. Le sentenze vengono formulate sulla base dei referti scritti dagli arbitri e sulle eventuali segnalazioni aggiuntive inviate dagli ispettori che vengono inviati negli stadi dalla procura federale, l’organo della FIGC che si occupa delle indagini. In genere quattro ispettori seguono le gare più importanti di Serie A e tre le partite di Serie B: sono loro ad annotare ad esempio i cori razzisti o di discriminazione cantati dai tifosi o le liti che avvengono tra i giocatori e i dirigenti.
I giudici sportivi, divisi in nazionali e territoriali, emettono le loro sentenze d’ufficio senza che si svolga un’udienza. Possono rivolgersi al giudice anche le squadre che ritengono che gli avversari abbiano commesso una violazione che non sia già stata sanzionata o segnalata dagli arbitri.
Il giudice sportivo si occupa di punire le squadre con una sconfitta “a tavolino” se si verificano determinate irregolarità, di stabilire l’entità delle squalifiche e delle multe ai giocatori, agli allenatori e ai dirigenti per le infrazioni commesse sul campo, di definire le sanzioni dei club per i comportamenti illeciti tenuti dai tifosi.
Il secondo grado di giudizio è di competenza della Corte sportiva d’appello, che può ridurre la durata delle squalifiche o annullarle solo in alcuni specifici casi: se ad esempio un giocatore viene fermato per una giornata in seguito a un’espulsione diretta, il reclamo sulla squalifica non è ammesso. La squadra può invece chiedere di diminuire il numero di partite per cui un calciatore è squalificato, se sono più di una.
Per le violazioni che non sono di competenza del giudice sportivo o che non vengono rilevate dallo stesso, può entrare in azione la procura federale, che ha il compito di indagare su tutte le possibili infrazioni al regolamento, salvo quelle relative al doping o di competenza diretta del CONI. È il caso dell’indagine che ha coinvolto la Juventus.
La procura federale è divisa in tre sezioni interregionali ed è diretta dal procuratore federale, affiancato da uno o più procuratori aggiunti, che fungono da vice, e dai sostituti procuratori. Oltre alle stesse categorie fra cui vengono scelti i giudici, i procuratori possono essere selezionati anche tra gli alti ufficiali delle forze dell’ordine.
La procura si avvale inoltre di collaboratori esterni, nominati dal Consiglio Federale, che partecipano alle indagini e si occupano ad esempio, insieme ai sostituti, di seguire le partite in televisione e segnalare eventuali comportamenti illeciti che sfuggono ai colleghi presenti sui campi. In quel caso il materiale audiovisivo prodotto viene inviato al giudice sportivo, che può utilizzarlo per squalificare i tesserati. Da quando è stata introdotto il VAR nel calcio, il ricorso alla prova televisiva è sensibilmente diminuito ma lo strumento viene tuttora utilizzato per segnalare le espressioni considerate “blasfeme” pronunciate dai calciatori e dagli allenatori mentre vengono ripresi dalle telecamere.
La procura prende in considerazione inoltre le segnalazioni su presunti illeciti ricevute da persone esterne al sistema, anche se inviate in forma anonima, e spesso apre delle indagini in seguito a notizie riportate dalla stampa.
Dal primo gennaio la procura federale si occupa anche delle infrazioni degli arbitri, avendo inglobato al suo interno gli organi di giustizia dell’Associazione Italiana Arbitri. La decisione è stata presa in seguito allo scandalo che ha riguardato l’ex capo della Procura arbitrale Rosario D’Onofrio, arrestato nell’ambito di un’operazione condotta dalla Guardia di Finanza per traffico internazionale di droga.
La procura può aprire i suoi procedimenti entro trenta giorni da quando viene a conoscenza del presunto illecito e ha sessanta giorni di tempo per condurre le indagini. Ma possono essere chieste due proroghe, rispettivamente di 40 e 20 giorni, alla procura generale dello sport: si tratta di un organo istituito all’interno del CONI, ma indipendente.
Al termine delle indagini la procura federale deve decidere se archiviare il procedimento oppure, entro venti giorni, comunicare l’avviso di conclusione delle indagini alle parti interessate, che in quel caso hanno altri quindici giorni a disposizione per essere ascoltate o presentare una memoria difensiva. Qualora la procura voglia procedere, deve disporre un atto di deferimento: si tratta dell’equivalente del rinvio a giudizio in ambito sportivo. Sia prima sia dopo il deferimento, gli indagati possono proporre un patteggiamento per ottenere una sanzione ridotta ed evitare il processo.
Il primo grado del processo si tiene davanti al Tribunale federale. Anche questo organo è articolato a livello nazionale e territoriale e si riunisce in camera di consiglio per stabilire le sentenze. L’udienza deve essere fissata entro trenta giorni dalla ricezione dell’atto di deferimento e si tiene alla presenza degli interessati: vengono ascoltati sia la procura federale, che rappresenta l’accusa e svolge le funzioni assimilabili a quelle di un pubblico ministero, sia gli avvocati della difesa.
Il Tribunale federale si era occupato ad esempio per primo del caso delle plusvalenze fittizie, e ad aprile del 2022 aveva assolto la Juventus, gli altri club coinvolti e i 61 dirigenti finiti sotto processo.
Per tutte le sentenze emesse dal Tribunale federale il secondo grado di giudizio viene trattato dalla Corte federale d’Appello. Nel caso delle plusvalenze, nel maggio del 2022 la Procura federale aveva presentato un ricorso alla Corte d’appello per contestare le assoluzioni decise in primo grado dal Tribunale federale, ma quel reclamo era stato respinto.
La Corte federale d’appello è articolata in tre sezioni giudicanti, più una quarta sezione con funzioni consultive che è una sorta di Consiglio di Stato al quale si rivolge la FIGC per chiedere dei pareri interpretativi sulle norme. Ogni sezione è composta da sette membri e la Corte procede a sezioni unite nei processi che riguardano gli illeciti sportivi (qualsiasi atto che alteri il risultato di una partita) o le violazioni di natura economica e gestionale. Quest’ultimo era il caso ad esempio delle plusvalenze.
Il processo è stato riaperto in seguito alla ricezione di nuovi atti contenuti nell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Torino, che sta indagando a sua volta sugli affari sospetti della Juventus e delle altre società. Il Codice di giustizia della FIGC prevede infatti che si possa chiedere la “revocazione e la revisione” di un processo già chiuso nel caso in cui vengano scoperti dei nuovi fatti o dei documenti che dimostrino la colpevolezza o l’innocenza degli imputati. Nella vicenda della Juventus il fatto nuovo, che si è rivelato determinante, è stato la scoperta – nelle parole della Corte federale d’appello – di «un’impressionante mole di documenti giunti dalla Procura della Repubblica di Torino» che hanno messo i giudici «di fronte ad un quadro dei fatti radicalmente diverso», portando alla luce un «sistema fraudolento».
Per questo lo scorso 20 gennaio la Corte federale d’appello ha deciso di riaprire il processo accogliendo però solo in parte la richiesta della Procura federale: le nuove informazioni sono risultate decisive ai fini del giudizio della Juventus e dei suoi dirigenti, mentre non sono state ritenute sufficienti per condannare anche gli altri 8 club coinvolti dalla richiesta di revocazione e i relativi dirigenti.
La condanna della Juventus a 15 punti di penalizzazione è stata di entità superiore rispetto ai 9 punti proposti dal procuratore federale nell’udienza. La spiegazione di questa apparente anomalia è contenuta nelle motivazioni della sentenza: la Corte ha chiarito di dover «svolgere funzione anche di giudice di equità e deve quindi proporzionare effettivamente la sanzione alla gravità dei fatti scrutinati, potendo anche aggravare la sanzione richiesta dalla procura».
Per il terzo grado di giudizio nei processi sportivi, laddove è previsto, si deve uscire dall’ambito della FIGC e rivolgersi al Collegio di garanzia dello sport, che è l’ultimo organo di giustizia a livello sportivo. I suoi uffici si trovano all’interno del CONI ma si tratta di un tribunale indipendente.
Il Collegio è considerato la Cassazione dello sport ed è diviso in quattro sezioni che si occupano rispettivamente di questioni tecnico-sportive, disciplinari, amministrative e patrimoniali, mentre non può intervenire sulle vicende relative al doping. C’è poi una quinta sezione consultiva che fornisce dei pareri specifici richiesti dal CONI o dalle federazioni. Il Collegio si esprime a sezioni unite su questioni giudicate di particolare importanza.
Entro sessanta giorni dal deposito del reclamo viene organizzata un’udienza alla quale possono partecipare l’accusa e la difesa. La sentenza viene decisa in camera di consiglio dai giudici.
Il Collegio non può entrare nel merito delle decisioni prese dalla Corte federale d’appello ma può annullarle, confermarle o rimandarle indietro alla Corte stessa se individua dei vizi di forma nel procedimento. In quel caso spetta alla Corte modificare la sentenza, contro la quale si può presentare un ulteriore ricorso al Collegio. La Juventus ritiene che la sentenza con cui è stata condannata alla penalizzazione di 15 punti contenga un vizio di forma: secondo i legali della società, la Procura federale non avrebbe rispettato i termini previsti per la richiesta di revocazione del processo.
Esauriti i gradi di giustizia in ambito sportivo, contro le sentenze emesse dal Collegio di garanzia dello sport è possibile presentare un ricorso al Tar del Lazio e, per il secondo grado di giudizio, al Consiglio di Stato. Se la Juventus dovesse seguire questo iter nei prossimi mesi, si allungherebbero ulteriormente i tempi per una decisione definitiva sulle plusvalenze.