Come spiegarsi il successo dei Måneskin
La band italiana è nelle classifiche di mezzo mondo e piace tantissimo negli Stati Uniti, mentre critici e intenditori di rock storcono il naso
«Le canzoni dei Måneskin sono così evidentemente riciclate, così spudoratamente mediocri, che l’ipotesi che la band possa innescare qualche tipo di guerra culturale tra rock e pop – e contestualmente tra autenticità e falsità, tra passione e marketing – sembra, nel migliore dei casi, sconfortante» diceva un articolo di opinione pubblicato qualche settimana fa sull’autorevole rivista americana Atlantic, ripreso e commentato nei giorni successivi da moltissimi giornali e siti italiani.
La stroncatura riassume piuttosto bene quello che pensa buona parte della critica musicale internazionale sui Måneskin, la giovane band rock italiana che dopo la vittoria al concorso europeo dell’Eurovision Song Contest nel 2021 è diventata incontestabilmente il più famoso gruppo italiano nel mondo di questi tempi. Con Rush!, l’ultimo disco uscito il 20 gennaio, i Måneskin hanno confermato il loro grande momento. Il disco si è posizionato al primo posto delle classifiche in Italia, Belgio e Paesi Bassi, al secondo in Spagna, al terzo in Germania e al quinto nel Regno Unito, e negli Stati Uniti è arrivato al primo posto dei più scaricati su iTunes.
I Måneskin insomma hanno raggiunto una rilevanza internazionale paragonabile a quella per esempio di Laura Pausini, Eros Ramazzotti, il Volo o Andrea Bocelli, ma il loro successo è di un tipo diverso. Non hanno sfondato in mercati specifici grazie alla familiarità del pubblico locale con il pop italiano, come successo a Pausini e Ramazzotti nei paesi ispanofoni, né come Bocelli o il Volo hanno sfruttato l’attrazione speciale di alcune fasce demografiche per il canto lirico italiano. I Måneskin hanno invece ottenuto successo tra gli ascoltatori più giovani e dal gusto più pop, anche in mercati in cui, per via dell’enorme concorrenza, i musicisti italiani hanno storicamente faticato, come gli Stati Uniti e il Regno Unito.
La maggior parte delle canzoni dei Måneskin ha il testo in inglese, e Rush! è stato registrato in parte a Los Angeles assieme al produttore svedese Max Martin, l’uomo dietro a successi planetari come “…Baby One More Time” di Britney Spears e “I Want It That Way” dei Backstreet Boys. La casa discografica Sony ha scommesso moltissimo sulla band, come dimostra la massiccia promozione internazionale che ha compreso anche dei cartelloni giganti proiettati a Times Square a Manhattan.
La scorsa estate i Måneskin avevano fatto un tour mondiale con date in molti festival europei, in Asia, in Sud America e negli Stati Uniti, dove avevano suonato anche al Coachella, il festival più di moda di tutti. A giugno parteciperanno perfino al Primavera Sound, un grande festival che si tiene a Barcellona e che almeno fino ad alcuni anni fa era molto apprezzato da intenditori e addetti ai lavori.
Questo enorme successo, che li ha portati tra le altre cose ad aprire alcuni concerti dei Rolling Stones negli Stati Uniti e a esibirsi al Saturday Night Live e al talk show di Jimmy Fallon sulla tv americana, è stato accompagnato da estese critiche che riguardano, essenzialmente, la qualità e l’originalità della loro musica. Per chi ha un minimo di familiarità con la storia del rock, infatti, la musica dei Måneskin suona vecchia e molto sentita, a tratti quasi macchiettistica nell’imitare senza particolari rielaborazioni o invenzioni l’hard rock e il glam rock degli anni Settanta e Ottanta. Le canzoni sono molto simili tra di loro, e i testi sono piuttosto indiscutibilmente banali e velleitari, spesso incentrati intorno a cliché e a retoriche giovanilistiche e “antisistema” che a molti appaiono un po’ ridicole.
«La maggior parte delle pubblicazioni musicali sta scommettendo molto sul successo di questa band, con molte celebrazioni e interviste, e quindi c’è molta attenzione sul gruppo e su questo disco. E quindi com’è venuto?» si chiede lo youtuber e critico musicale Anthony Fantano nella sua recensione di Rush!. «Secondo me, molto male».
Fantano, che è uno dei più famosi divulgatori e critici musicali di internet, ha apprezzato la produzione – cioè il processo che determina come un disco suona – pulita e la buona prova della sezione ritmica, ma ha sottolineato come i giri di chitarra siano poco originali, le idee dietro le canzoni derivative e prevedibili, e i testi molto pretenziosi nel loro descrivere una fantomatica “ribellione contro la società non autentica”: «ma stiamo letteralmente ascoltando questo messaggio da una band che ha avuto il suo primo successo con X-Factor», dice riferendosi alla partecipazione della band al talent musicale di Sky nel 2017.
«È tutto molto annacquato. Nel rock, anche quello più pop e paraculo e mainstream, penso che ci siano molte cose più interessanti», conclude Fantano assegnando un voto di 2 su 10 a Rush!.
Altre recensioni sulle riviste anglosassoni di settore sono state più clementi, e c’è anche chi ha apprezzato il disco. Su Rolling Stone, David Browne ha detto di averlo trovato complessivamente divertente, anche se ha condiviso una certa difficoltà nel capire quanto i Måneskin siano seri mentre cantano e suonano le loro canzoni. «La ridicolaggine di gran parte di Rush! potrebbe essere voluta. In un panorama musicale dominato da tutto tranne che dal rock, i Måneskin sanno che devono forzare la mano il più possibile (…). Ma facendolo, riescono solo a confermare cosa debba fare il rock ‘n roll al giorno d’oggi per farsi notare».
Un aspetto che è stato spesso evidenziato nei commenti e nelle analisi al successo dei Måneskin è proprio che sono un raro caso di band – inteso come gruppo di musicisti che suona per davvero – di grande successo, in questi anni in cui gli artisti musicali sono perlopiù solisti. E che fanno rock, per quanto “annacquato” e derivativo. Non esistono di fatto altri esempi di band che abbiano avuto in questi anni un successo paragonabile in termini di vendite e pubblico internazionale: dagli anni Dieci in poi, il rock è infatti diventato sempre più marginale nell’economia dell’industria musicale, e oggi le vendite sono trainate perlopiù da riedizioni e raccolte di vecchi classici.
«Sono l’equivalente in carne e ossa di una discoteca rock» dice Emiliano Colasanti, discografico e giornalista musicale. «Il loro più grande difetto è anche una delle ragioni più evidenti del loro successo. Pescano un po’ ovunque, e il loro disco è un po’ come quelle librerie di basi hip hop che si possono trovare online: c’è quella “old school”, quella alla Kanye West, eccetera. Loro hanno un pezzo come gli Idles, uno come i Led Zeppelin, uno come i Muse, uno come i Rage Against the Machine, tutto preso da decenni diversi e riproposto in modo pop e molto fruibile».
Da un certo punto di vista, quindi, i Måneskin probabilmente piacciono perché i motivi per cui il rock ha dominato le classifiche per decenni valgono ancora oggi. Le schitarrate distorte, i ritornelli urlati con voce gracchiante, i riff essenziali e primitivi, i capelli lunghi e il pogo possono avere ancora oggi un fascino di massa tra i più giovani. E il fatto che quello che fanno i Måneskin sia già sentito non è un grosso problema, perché gran parte dei più giovani ignora totalmente la produzione musicale a cui si ispira la band. «I Måneskin hanno dalla loro il fatto di essere quasi dei cosplayer del genere, quattro supereroi ognuno con i suoi superpoteri, che ripropongono stilemi molto canonici e solidificati della storia del rock», continua Colasanti.
Ovviamente i Måneskin non sono gli unici rimasti a suonare musica rock, e non sono nemmeno gli unici a suonare rock appiccicoso e semplice (volendo differenziarlo dal rock più ricercato e sperimentale, che continua invece ad avere tutto un suo mercato, seppur di dimensioni marginali rispetto all’hip hop o al pop). Ma sono tra i pochi su cui l’industria musicale contemporanea abbia deciso di investire così massicciamente, specialmente dopo il potenziale dimostrato all’Eurovision Song Contest del 2021 (a cui parteciparono in quanto vincitori del Festival di Sanremo pochi mesi prima), quando la reazione entusiasta del pubblico internazionale rese evidente che quello che proponevano funzionava.
«La loro impostazione peraltro non è rock, ma molto pop e contemporanea, figlia dell’epoca delle playlist» spiega Colasanti. «Le linee vocali di Damiano prendono moltissimo dall’urban [termine con cui nell’industria musicale si indica la musica R&B e hip hop di vocazione radiofonica, che domina le classifiche in questi anni, ndr]. Sono una specie di cavallo di Troia: hanno tutta l’esteriorità del rock ma sono una cosa molto contemporanea».
A giocare evidentemente un ruolo centrale, forse prima ancora della musica, è la forza estetica della band. Il cantante Damiano David, la bassista Victoria De Angelis, il chitarrista Thomas Raggi e il batterista Ethan Torchio hanno tutti un loro tipo di bellezza e carisma molto evidenti ed efficaci. Tra di loro, quello con meno follower su Instagram ne ha comunque 1,7 milioni. Secondo Colasanti «sono stati bravi a creare sulle loro personalità lo stesso interesse che si crea intorno alle band giovanili asiatiche, prime fra tutte quelle del k-pop [il pop sudcoreano, ndr], che si sta diffondendo sempre di più nei paesi occidentali».
Tutti e quattro i membri dei Måneskin esibiscono una certa fluidità sessuale, altro elemento di grande efficacia in questi anni. E non secondariamente, anche a detta dei loro critici, sanno suonare piuttosto bene i loro strumenti, e dal vivo propongono concerti caratterizzati da grande energia e intensità: una cosa non così scontata in anni in cui le esibizioni dal vivo dei cantanti più alla moda e da classifica spesso non prevedono di fatto l’esecuzione delle canzoni da parte di una band, ma soltanto la riproduzione di basi.