A gennaio l’inflazione è scesa ancora
Sia in Italia sia nell'Eurozona: è un buon segnale, anche se è ancora presto per essere ottimisti
Mercoledì mattina sono stati diffusi i dati ISTAT ed EUROSTAT sull’inflazione di gennaio, ossia l’aumento medio dei prezzi, in Italia e nell’area dei paesi che adottano l’euro, la cosiddetta “Eurozona”. Già a novembre e dicembre l’inflazione aveva iniziato a scendere e i dati di gennaio sembrano confermare questo andamento.
In Italia i prezzi sono aumentati mediamente del 10,1 per cento (dall’11,6 di dicembre) rispetto a gennaio 2022 e dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente. Significa che se a gennaio 2022 un bene costava 100 euro, oggi ne costa 110,1. Nell’Eurozona il rallentamento è stato meno marcato e i prezzi sono aumentati dell’8,5 per cento (dal 9,2 di dicembre) rispetto a gennaio 2022 e si sono ridotti dello 0,4 per cento rispetto al mese precedente. Il calo dell’inflazione annuale non significa però che i prezzi si stiano riducendo: significa solo che l’aumento annuale è meno intenso rispetto ai mesi precedenti.
La discesa dell’inflazione a gennaio è in larga parte spiegata dalla riduzione media del costo dell’energia, ossia del motivo principale che ha innescato i forti rincari all’inizio dello scorso anno.
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Il dato va poi confrontato con la cosiddetta “inflazione di fondo”, che si ottiene togliendo dall’inflazione complessiva la componente più volatile dei prezzi, ossia quella legata all’energia e ai beni alimentari, due mercati molto suscettibili a movimenti improvvisi. A gennaio è salita in Italia, dal 5,8 per cento al 6, e dal 6,9 al 7 nell’Eurozona.
Questo significa che gli aumenti dei prezzi sono ormai molto radicati nell’economia, e che non dipendono più solo dai rincari dell’energia: possono essere spiegati anche da un’economia che va molto bene, dove la domanda dei consumatori è superiore a quanto le aziende riescono a produrre, ma anche dal fatto che produrre per molte aziende è diventato più costoso anche a prescindere dagli aumenti del costo dell’energia, per esempio a causa della carenza e dei rincari di molte materie prime.
Il calo complessivo resta comunque un buon segnale ed è probabile che sia il risultato delle politiche piuttosto aggressive di aumento dei tassi d’interesse condotte negli scorsi mesi dalla Federal Reserve, la banca centrale americana, e dalla Banca Centrale Europea. È tuttavia ancora presto per capire se effettivamente ci sia davvero una tendenza in discesa, anzi: le banche centrali continueranno ad aumentare i tassi con il fine di rallentare l’economia, con l’intento di “raffreddare” l’aumento dei prezzi. Potrebbero tuttavia farlo a un ritmo meno intenso.
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