La squadra di basket ucraina che si è trasferita a Roma
Dopo l'invasione russa il Budivelnyk Kiev ha dovuto cercare un nuovo posto in cui stabilirsi e lo ha trovato in Italia
di Alessandro Austini
Gli eventi sportivi in Ucraina vanno avanti anche durante la guerra, ma per giocare le partite diverse squadre sono state costrette a spostarsi in altre città del paese considerate più sicure, oppure all’estero. È il caso del Budivelnyk Kiev, una società di basket della capitale ucraina fondata nel 1945 che in questa stagione si sta allenando a Roma e utilizza il palazzetto di Veroli, in provincia di Frosinone, come campo di gioco “casalingo” per i due tornei europei a cui sta partecipando.
I giocatori migliori del Budivelnyk e lo staff si sono trasferiti in Italia lo scorso settembre, mentre un’altra parte della squadra è rimasta a Kiev per giocare il campionato nazionale, che sta proseguendo nonostante i problemi logistici e di sicurezza causati dall’invasione russa. La Stella Azzurra, una società romana di basket che partecipa ai campionati di Serie A2 maschile e femminile ed è conosciuta soprattutto per il suo settore giovanile, ha deciso di mettere a disposizione degli ucraini l’Arena Altero Felici per gli allenamenti.
Così nella struttura di Tor di Quinto, nella periferia nord di Roma, il Budivelnyk si alterna sul campo con le varie squadre della Stella Azzurra. L’unico impianto che sarebbe adatto a ospitare le gare di basket a Roma è il PalaTiziano, ma è ancora chiuso per lavori di ristrutturazione. Quindi i giocatori della squadra ucraina devono spostarsi ogni volta in pullman e farsi un’ora e mezza di viaggio per andare a giocare a Veroli, dove c’è un palazzetto da 3.500 posti a sedere, ristrutturato di recente, con una capienza ampliabile a 5.000 spettatori. Negli anni scorsi anche le squadre romane di basket hanno utilizzato l’impianto di Veroli in attesa della riapertura del PalaTiziano, che è inagibile dal 2018.
«I nostri giocatori stranieri non vogliono stare a Kiev a causa della situazione creata dalla guerra. Abbiamo deciso quindi di venire a Roma. La nostra missione non è solo giocare, ma regalare emozioni positive alla comunità ucraina che vive in Italia e nel resto dell’Europa» racconta Gediminas Navikauskas, il general manager lituano del Budivelnyk, che viveva a Kiev da tanti anni e ora si occupa della gestione della squadra.
«Vogliamo mostrare a tutti che l’Ucraina è ancora attiva nonostante l’invasione russa. Lo sport e la vita possono andare avanti» prosegue Navikauskas. «La nostra sede si trova nel centro di Kiev. Ci sono nove squadre che giocano il campionato e due di loro si sono spostate in Lettonia. Ma alcune strutture sportive a Kiev funzionano ancora. Qui a Roma i nostri giocatori alloggiano tra case e alberghi, ci alleniamo al campo della Stella Azzurra e andiamo a Veroli a giocare le partite perché in città non ci sono palazzetti disponibili. Sembra un po’ assurdo, se si pensa che a Kiev invece c’è un posto dove si può giocare anche adesso».
Il Budivelnyk è attualmente impegnato nella FIBA Europe Cup, la seconda competizione per importanza dopo la Champions League tra quelle organizzate dalla federazione internazionale del basket europeo. Dopo aver superato il primo turno, qualificandosi in un girone che comprendeva anche il Brindisi, il Budivelnyk sta sfidando nella seconda fase i finlandesi del Karhu, gli israeliani dell’Hapoel Haifa e gli slovacchi del Patrioti Levice per accedere ai quarti di finale. Gli ucraini giocano a Veroli anche le partite della Balkan League — una competizione sovranazionale riservata ad alcune squadre dell’Est Europa — e partecipano a un altro torneo chiamato European North Basketball League, che si gioca su più campi nel nord Europa.
Nella squadra ucraina ci sono diversi giocatori di livello internazionale. Il più conosciuto fra loro è l’americano Archie Goodwin, con un passato nei Phoenix Suns in NBA. C’è poi Jerai Grant, nipote di Horace Grant, quattro volte campione NBA, e fratello di Jerian, fino all’anno scorso all’Olimpia Milano.
Dell’organico del Budivelnyk fanno parte anche l’americano Alec Brown, il canadese Johnny Berhanemeskel e i due ucraini Vyacheslav Bobrov e Bogdan Bliznyuk. «Abbiamo una squadra giovane rinforzata dagli americani e puntiamo a qualificarci ai quarti di finale. Per quanto riguarda il nostro futuro, non sappiamo cosa accadrà il prossimo anno. Se non si potrà tornare in Ucraina la soluzione migliore sarebbe rimanere a Roma» dice il general manager della squadra.
In occasione della prima partita giocata al Pala Coccia di Veroli il 19 ottobre scorso contro gli estoni del Kalev/Cramo, i giocatori e lo staff sono stati accolti in Comune dal sindaco Simone Cretaro, che ha poi seguito tutte le gare sugli spalti. Il pubblico più numeroso a Veroli si è visto alla gara d’esordio e, oltre alla gente del paese, in tribuna c’erano diverse persone della comunità ucraina della zona. Alcuni di loro sono scappati dalla guerra e sono andati a vivere nelle strutture di accoglienza allestite nel territorio. Le partite del Budivelnyk sono diventate così un’occasione per riunirsi e sostenere simbolicamente il paese colpito dai bombardamenti. L’ingresso al palazzetto è sempre gratuito.
Durante la sfida dello scorso 25 gennaio contro l’Hapoel Haifa, oltre a un piccolo gruppo di tifosi israeliani, in tribuna c’era una signora moldava che ha mostrato un cartellone con i colori della bandiera ucraina per tutta la durata della gara. «Faccio il tifo per loro, alle altre partite ho incontrato tante persone ucraine e in questo modo cerco di sostenerli» ha raccontato.
«Saremmo potuti rimanere a Kiev e accontentarci di giocare solo il campionato. In quel caso, però, non avremmo potuto viaggiare e raccontare ai media europei che la guerra sta andando avanti ma noi siamo ancora vivi. Anche se la Europe Cup non è un torneo di primo livello, per noi è comunque importante esserci» spiega Maksym Gaiovyi, un giovane ucraino responsabile dei media del Budivelnyk.
La squadra è sempre in viaggio e questo complica i piani di allenamento, ma alcuni tifosi hanno seguito il Budivelnyk in diverse città europee. Oltre alle partite di Veroli è successo per esempio in Lituania, e poi in Olanda e in Israele. Ad Haifa si è creato un clima particolare dove persino dei bambini hanno intonato dei cori contro il presidente russo Vladimir Putin.
La lontananza da Kiev è un problema che riguarda quasi esclusivamente lo staff della squadra, visto che la maggior parte dei giocatori presenti a Roma proviene da altri paesi. «Otto persone del nostro staff sono ucraine. Alcune famiglie ci hanno seguito, ad esempio mia moglie e mia figlia mi hanno raggiunto a novembre e resteremo qui insieme fino a maggio. Anche l’allenatore, Valeri Plekhanov, è ucraino e la moglie viene a trovarlo ogni tanto» aggiunge Gaiovyi.
Portare avanti l’attività del basket è una distrazione e un motivo d’orgoglio. «Vogliamo dimostrare che si può fare qualcosa e non dobbiamo per forza rimanere chiusi dentro gli appartamenti ad aspettare gli eventi» dice il responsabile dei media, che racconta di aver trascorso i primi giorni della guerra rifugiato con la moglie nelle cantine sotto la sua abitazione, in attesa di capire cosa sarebbe successo.
Dopo la paura dei primi giorni tutti hanno dovuto adattarsi alla nuova situazione. «Ho trascorso la scorsa estate a Kiev. Una notte stavo dormendo a casa e a un certo punto ho sentito il rumore di un missile che passava vicino. Mi sono affacciato alla finestra per capire cosa stesse accadendo, ho scritto ai miei amici se stessero bene, mi hanno risposto di sì e mi sono rimesso a dormire. Racconto questo episodio perché rappresenta un fenomeno psicologico interessante che si è creato tra noi ucraini: abbiamo capito che dobbiamo continuare a vivere e ad adattarci, senza allarmarci per ogni singola cosa che succede», racconta Gaiovy.
Ufficialmente la PrivatBank, l’istituto di credito più grande dell’Ucraina, risulta proprietaria del Budivelnyk. Nella gestione della squadra è coinvolto anche Ihor Valerijovyc Kolomoisky, uno degli uomini più ricchi del paese, con una storia controversa. Kolomoisky era infatti considerato uno dei maggiori sostenitori di Zelensky, ma in seguito alle accuse mosse contro di lui dagli Stati Uniti per un presunto giro di riciclaggio di denaro, la scorsa estate il presidente ucraino ha firmato un decreto con cui gli è stata tolta la cittadinanza.
«Lui non è il presidente, ma il sostenitore principale del Budivelnyk» precisano i dirigenti della squadra. Finora Kolomoisky non è mai passato al campo della Stella Azzurra o al palazzetto di Veroli. In passato è stato anche proprietario della squadra di calcio della sua città, il Dnipro. Un periodo della sua vita lo ha passato anche a Ginevra, in Svizzera, dove nel 1999 nacque uno dei suoi figli, Gregory, che adesso fa parte della squadra del Budivelnyk.
«Ho conosciuto la situazione del Budivelnyk la scorsa estate grazie a un’amicizia in comune che ho con il general manager Navikauskas. Ci hanno chiesto di venire ad allenarsi da noi e abbiamo accettato di diventare la loro casa. Abbiamo un accordo per questa stagione, li sosteniamo su tutto e li abbiamo aiutati anche a trovare gli alloggi a Roma. Laddove c’è da pagare ovviamente lo fanno, noi siamo dei facilitatori per i loro compiti perché non avevano legami con il territorio. Gregory Kolomoisky gioca nella squadra, ma credo che suo padre abbia altre cose a cui pensare: gestisce una serie di attività in Ucraina e il basket per lui è un passatempo» racconta Germano D’Arcangeli, responsabile del settore giovanile e manager di riferimento per la Stella Azzurra.
«Abbiamo deciso di ospitare gli ucraini perché in questo modo ci siamo messi dentro casa una squadra di alto livello, che ogni tanto guardiamo con invidia e in altri casi con affetto. I ragazzi della nostra accademia possono osservarli ogni giorno da vicino e imparare da loro» prosegue D’Arcangeli.
Il Budivelnyk aveva la possibilità di andare ad allenarsi in Portogallo o in Lettonia, dove avrebbe avuto meno problemi di quelli che deve affrontare qui. «Ci sono difficoltà logistiche, burocratiche, culturali e connesse alla sicurezza e alla legislazione italiana che vige su di loro. In più si aggiunge il fatto che il PalaTiziano a Roma è chiuso. Siamo stati accolti benissimo a Veroli, dove abbiamo giocato due anni fa con la Stella Azzurra: al Pala Coccia sono venuti a vedere le partite il sindaco, il vescovo e la comunità degli ucraini presente sul territorio. Sono tutte cose fantastiche, ma così ti senti ospite a casa tua» spiega D’Arcangeli, che per la prossima stagione spera di poter far giocare a Roma la Stella Azzurra ed eventualmente anche gli ucraini.
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