La Francia vuole mettere regole agli influencer
Dopo una serie di polemiche, maggioranza e opposizione vogliono riconoscerli a livello giuridico e limitare le sponsorizzazioni problematiche
In Francia si discute da tempo della possibilità di regolare il mercato degli influencer, e in particolare la loro principale fonte di guadagno, i contenuti sponsorizzati. Molti influencer sono accusati di non essere trasparenti nel presentare le pubblicità come tali, altri di accettare senza troppe prudenze qualsiasi genere di collaborazione, anche a costo di promuovere con grande enfasi prodotti di dubbia affidabilità e provenienza, come pillole per dimagrire o attività eticamente problematiche, come le scommesse.
La scorsa settimana Renaissance, il partito del presidente Emmanuel Macron, e il Partito Socialista, di opposizione, hanno annunciato che lavoreranno insieme a una proposta di legge sostenuta dal governo, dopo che negli ultimi mesi ne avevano presentate due diverse. La nuova proposta sarà discussa in parlamento a metà marzo, ma dell’argomento si parla già moltissimo per alcuni casi che negli ultimi anni hanno coinvolto influencer francesi molto famosi, con grandi polemiche intorno.
La nuova legge in sostanza intende creare le condizioni legali per riconoscere giuridicamente una professione che non è ancora contemplata dal diritto francese, e che quindi finora ha dovuto seguire regole che erano state fatte per altre professioni: regole che non solo risultano particolarmente obsolete e inadatte, se applicate a un mestiere nuovo come quello dell’influencer, ma che finora hanno anche permesso la creazione di una zona grigia in cui sono proliferate pratiche viste da molti come illecite.
Le leggi che fino a oggi sono state usate per gli influencer sono le stesse che valgono per le cosiddette «attività artistiche» e per modelle e modelli. Il governo francese stima che nel paese ci siano circa 150mila influencer, ciascuno seguito da migliaia, centinaia di migliaia o milioni di follower. Anche se non è possibile stabilire quante persone acquistino prodotti attraverso i loro canali, secondo il governo in Francia circa 42 milioni di persone fanno acquisti online (su una popolazione di circa 68 milioni) e più di metà lo fa dal telefono.
Il governo vuole inoltre riconoscere anche il mestiere ormai diffuso di “agente degli influencer”, che è difficile far ricadere in una delle tre categorie di agenti esistenti oggi in Francia, cioè quelle di agente sportivo, di modelli e di artisti.
Non è disponibile una bozza della legge, che sarà discussa a marzo, ma ci sono già diversi indizi utili per capire le intenzioni di chi la sta preparando. Uno dei politici più attivi sull’argomento per esempio è il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, che all’inizio di gennaio ha lanciato una consultazione popolare online per raccogliere proposte su come «inquadrare meglio gli influencer», che terminerà a fine mese.
La consultazione di Le Maire propone alcuni temi di discussione a cui le persone possono partecipare, e in base a quei temi è già possibile avere un’idea di quali punti affronterà la legge: c’è la creazione di una sorta di albo professionale, una definizione giuridica ufficiale di chi siano gli influencer e i loro agenti, l’istituzione di un codice di buona condotta da seguire, l’obbligo da parte degli influencer di segnalare le immagini e i video ritoccati, l’aumento della sorveglianza delle autorità e il divieto di promuovere certi prodotti. Da queste regole dipenderanno nuove sanzioni più specifiche di quelle che esistono oggi. Il governo punta anche a fare accordi con i social network affinché rendano più semplice per gli utenti segnalare truffe e comportamenti scorretti.
Questa settimana comunque sarà in discussione in parlamento un’altra legge che interviene sullo stesso argomento, ma con obiettivi più puntuali: propone di vietare agli influencer la sponsorizzazione di interventi chirurgici (con riferimento particolare a quelli estetici), farmaci e investimenti rischiosi come quelli in criptovalute.
La Francia è particolarmente attenta al tema e ha una storia consolidata di interventi preventivi e sanzionatori per regolare le attività su internet: è di due mesi e mezzo fa, per esempio, la creazione da parte del governo di un “Laboratorio per la protezione dei bambini online”, per ideare misure che preservino la privacy dei bambini e li proteggano da fenomeni come cyberbullismo e abusi di vario genere (diverse grandi piattaforme come Google, Amazon e i social network si sono impegnate a sottoscriverne il manifesto).
Sulla regolamentazione delle attività online in questi anni le autorità francesi sono state più attive rispetto a quelle di altri paesi. Alcuni giorni fa l’agenzia del governo per la concorrenza e la tutela dei consumatori ha pubblicato un report con i risultati di un’indagine condotta a partire dal 2021 su 60 influencer o agenzie che gestiscono più influencer: ne è emerso che la maggior parte di quelli presi in considerazione ha commesso violazioni, o per non aver fatto capire chiaramente quando aveva ricevuto soldi per mostrare e promuovere una certa cosa, o nel dare informazioni false o fuorvianti sulle potenzialità dei prodotti, come nel caso di alcuni presentati come cure per il Covid.
La stessa agenzia governativa nel 2021 aveva fatto una multa di 20mila euro a una nota influencer francese, Nabilla Benattia-Vergara (che su Instagram ha attualmente più di 8 milioni di follower), per una pubblicità non dichiarata sui bitcoin che aveva fatto tre anni prima sul social network Snapchat (dove all’epoca aveva 3,6 milioni di follower). Casi mediatici come questo hanno contribuito all’interesse generale per la regolamentazione degli influencer.
Nell’ultimo anno il dibattito intorno a queste questioni però è stato ampiamente alimentato in particolare da una seguitissima polemica, sviluppatasi soprattutto sui social network, tra due personaggi molto noti in Francia: il rapper Booba e la popolare agente di influencer Magali Berdah, a capo di una società molto redditizia.
Booba, che ha 46 anni e il cui vero nome è Elie Yaffa, ha iniziato da diversi mesi una campagna per screditare pubblicamente Berdah e criticare il marketing che si serve di influencer, citandola come massima espressione del fenomeno. Ha cominciato a insultarla su Twitter, anche se quasi sempre indirettamente, pubblicando sul suo profilo (che è molto seguito: ha quasi 6 milioni di follower) moltissime denunce sulla qualità e affidabilità dei prodotti venduti dagli influencer gestiti da Berdah. Ha anche creato un indirizzo mail per raccogliere queste testimonianze.
Berdah invece ha 41 anni e l’azienda che dirige si chiama Shauna Events: è lei stessa un’influencer molto seguita, e su Instagram per esempio ha 1 milione e mezzo di follower.
Tra le accuse di Booba a Berdah c’è quella di dropshipping, cioè la pratica con cui alcune aziende vendono prodotti che non hanno realmente nelle loro disponibilità, acquistandoli materialmente solo quando qualcuno li ha ordinati, con il rischio di ritardi nelle spedizioni, esaurimento dei prodotti e rincari sul consumatore per oneri doganali imprevisti. La stessa Berdah ha ammesso che in passato la sua azienda aveva fatto ricorso al dropshipping, anche se ha negato che lo faccia ancora.
Ma ci sono anche accuse più gravi, come quelle di truffa, che hanno portato a una denuncia di Booba alla società di Berdah. Booba se la prende moltissimo anche con gli influencer francesi che per ragioni fiscali vivono all’estero (ce ne sono diversi a Dubai, per esempio), ma sostanzialmente fanno soldi grazie alle sponsorizzazioni di prodotti venduti in Francia: è un altro dei temi su cui il governo ha intenzione di intervenire con la nuova legge, anche se per il momento non è chiaro in che modo.
I metodi usati da Booba sono stati molto aggressivi e discutibili, e hanno spinto migliaia di suoi fan a partecipare a una campagna d’odio contro Berdah, con insulti e minacce sui suoi profili social e in molti commenti online. La questione però è stata talmente discussa e commentata che alla fine anche i politici sono stati costretti a prendere una posizione, su tutti il ministro dell’Economia Le Maire, che era stato più volte chiamato in causa dalle proteste di Booba.
Le Maire aveva poi dovuto negare di essersi interessato al dibattito solo perché citato dal rapper, ma è sembrato a molti che alcune sue proposte, come quella di dare regole agli agenti degli influencer, rispondessero direttamente alle questioni poste da Booba su Magali Berdah.