Cos’è successo negli ultimi giorni tra israeliani e palestinesi, in ordine
Dall'operazione militare israeliana in un campo profughi in Cisgiordania agli attentati palestinesi a Gerusalemme est
La scorsa settimana, nel giro di pochi giorni, c’è stata una serie di attacchi e violenze reciproci tra israeliani e palestinesi come non se ne vedevano da parecchio tempo.
Tutto è cominciato giovedì con un’operazione militare dell’esercito israeliano in Cisgiordania, nel campo profughi di Jenin, in cui sono stati uccisi 10 palestinesi, a cui sono seguiti prima uno scambio di missili e razzi tra Israele e Striscia di Gaza, e poi tra venerdì e sabato due attentati ad opera di palestinesi a Gerusalemme est, la parte della città che fa parte dei territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. Nel primo, di gran lunga il più grave, un uomo di 21 anni ha ucciso a colpi di pistola sette persone che stavano uscendo da una sinagoga: era dal 2008 che non venivano uccise così tante persone in un singolo attacco a Gerusalemme.
Le violenze tra Israele e i palestinesi che abitano dentro Israele stesso, o in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, sono piuttosto comuni, e ormai da molti anni si alternano periodi di relativa tranquillità a tensioni e violenze. Nelle ultime settimane la tensione è risalita parecchio dopo che alla fine di dicembre si era insediato il nuovo governo israeliano di Benjamin Netanyahu. È il governo più di destra nella storia di Israele, e diversi ministeri e ruoli importanti sono stati affidati a politici molto discussi per le loro posizioni di aperta ostilità nei confronti dei palestinesi.
Tra queste c’è Itamar Ben-Gvir, il nuovo ministro della Pubblica sicurezza, che ha il controllo della polizia nazionale e della polizia di frontiera tra Israele e Cisgiordania. Ben-Gvir è noto per le sue posizioni razziste nei confronti dei palestinesi e dei cittadini arabi-israeliani ed è un noto sostenitore di un’annessione totale e permanente della Cisgiordania – che secondo diversi accordi internazionali dovrà fare parte di un futuro stato palestinese – al territorio israeliano.
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Dall’insediamento di Netanyahu ci sono state operazioni militari dell’esercito israeliano in Cisgiordania quasi ogni giorno. Quella con le conseguenze più gravi è stata compiuta giovedì 26 gennaio a Jenin: l’esercito ha sostenuto di essere intervenuto per sventare un potenziale «attacco terroristico» che, secondo la sua ricostruzione, stavano preparando alcune persone che vivono nel campo profughi. Nel corso dell’operazione i soldati israeliani hanno usato mezzi militari pesanti e sparato contro diverse persone che si sono opposte all’operazione, causando morti e feriti.
Tra i dieci palestinesi uccisi negli scontri c’è stata anche una donna di 60 anni, Magda Obeid: secondo la figlia stava osservando gli scontri dalla finestra di casa. L’esercito israeliano ha detto di aver mirato solo alle persone che hanno provato a resistere con la forza all’operazione militare, attaccando i soldati israeliani, e di non avere responsabilità per l’eventuale morte di civili.
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Nella notte tra giovedì e venerdì, in evidente risposta a quanto successo a Jenin, erano stati lanciati alcuni razzi verso Israele dalla Striscia di Gaza, territorio al confine tra Israele ed Egitto controllato dal 2007 dal gruppo radicale Hamas. Israele aveva a sua volta risposto lanciando missili verso la Striscia di Gaza.
Non c’erano stati feriti o danni gravi, ma lo scambio di attacchi era stato il segnale di una tensione crescente. Venerdì sera a Gerusalemme est un uomo ha infatti sparato a un gruppo di persone che uscivano dalla sinagoga a Neve Yaakov, un quartiere a una decina di chilometri a nord del centro della città abitato da israeliani ultraortodossi.
L’uomo è stato ucciso poco dopo dalla polizia mentre stava cercando di fuggire in auto: si chiamava Alkam Khairi, aveva 21 anni e al momento sembra che non avesse collegamenti con gruppi terroristici. Hamas ha comunque celebrato l’attentato definendolo una «risposta naturale» all’operazione militare compiuta dall’esercito israeliano a Jenin. Sabato c’è stato un nuovo attentato, sempre a Gerusalemme est: in questo caso un 13enne ha sparato a un uomo di 47 anni e al figlio di 22 vicino a Silwan, quartiere popolato principalmente da palestinesi. Le due persone sono state ferite gravemente, e sono ricoverate in ospedale.
Nel frattempo il governo di Netanyahu ha approvato alcune misure immediate in risposta agli attacchi, come il sequestro delle abitazioni dei responsabili degli attacchi e l’aumento delle attività delle forze di sicurezza a Gerusalemme. Tra le altre cose è stata decisa la demolizione della casa della famiglia di Alkam Khairi.
Tra gli stessi familiari di Khairi, alcuni dei quali sono stati interrogati perché sospettati di averlo aiutato, ci sono state reazioni miste all’attentato di venerdì. Suo padre per esempio, ha raccontato il New York Times, parlando con alcuni giornalisti ha elogiato quanto fatto dal figlio e ne ha parlato in termini eroici.
Anche diversi suoi vicini di casa, nel quartiere A-Tur di Gerusalemme est, hanno detto di essere «felici» per l’attentato. «Quando i palestinesi vengono uccisi quotidianamente, vedono un qualsiasi attacco che uccide gli israeliani come qualcosa che riscatta la loro dignità», ha detto un amico di famiglia di Khairi. Altri hanno invece espresso preoccupazione per le ripercussioni che l’attentato avrà sulle vite di molte persone palestinesi, a cominciare dalla decisione di demolire le case delle famiglie degli attentatori, e hanno detto di non desiderare una nuova escalation delle violenze.