Stellantis sembra cavarsela meglio delle altre aziende di auto
Il settore è in crisi da tre anni, ma alcune caratteristiche e un po' di «scelte impopolari» l'hanno resa più resiliente dei suoi concorrenti
C’è un’azienda che sta affrontando meglio delle altre la crisi che ha colpito pesantemente il settore delle auto dall’inizio della pandemia: è Stellantis, che è nata solo a gennaio del 2021 dalla fusione di PSA, l’azienda francese meglio conosciuta come Peugeot Citroën, e FCA, l’azienda italo-americana nata a sua volta dalla fusione di FIAT e Chrysler.
Dal 2020 il settore degli autoveicoli è in profonda crisi, sia per un notevole calo delle vendite che per le tantissime difficoltà che incontrano le aziende nel produrre i veicoli stessi, per la mancanza di chip e per i rincari sui prezzi dei materiali e dell’energia. Molti analisti di mercato ritengono che Stellantis sia riuscita ad adattarsi meglio a questa situazione di difficoltà perché la fusione e la nuova gestione hanno consentito di rendere più efficienti le produzioni e ridurre notevolmente i costi, anche se questo ha portato a un taglio del personale nei suoi vari stabilimenti produttivi, con un conseguente costo sociale.
Stellantis esiste solo da due anni ma ha una lunga storia, essendo composta da storiche aziende automobilistiche come l’italiana FIAT, la francese Peugeot e la statunitense Chrysler. La sua resilienza odierna è da molti considerata un risultato sorprendente, soprattutto alla luce del fatto che solo vent’anni fa, nei primi anni Duemila, la FIAT attraversava il suo momento più difficile e perdeva circa 5 milioni di euro al giorno. Da allora si è trasformata da una società inefficiente e retta dai sussidi statali a una solida, più redditizia e protagonista del mercato internazionale, prima come FCA (nata dalla fusione di FIAT e Chrysler) e poi come parte del gruppo Stellantis.
Oggi è il quarto produttore mondiale di auto, con 400 mila dipendenti e oltre 50 stabilimenti in tutto il mondo. È considerata una delle aziende più redditizie del settore, nonostante le aziende che l’hanno formata in origine, PSA e FCA, non lo fossero poi così tanto. L’azienda ha registrato nel 2021, ossia il suo primo anno di vita, un utile netto di 13,4 miliardi di euro, il triplo rispetto a quanto le due aziende hanno guadagnato separatamente nel 2020, a fronte di un fatturato complessivo dalle vendite di 152 miliardi di euro, il 14 per cento in più rispetto all’anno prima. I conti del 2022 saranno pubblicati a fine febbraio.
Nonostante sia ormai una multinazionale, Stellantis per l’Italia ha ancora un notevole valore economico: ha enormi stabilimenti come quelli di Mirafiori, Melfi e Pomigliano, e si stima che l’impatto dell’azienda sull’economia italiana valga tra l’1 e il 3 per cento del PIL. Secondo l’Istat, il settore della produzione di automobili in Italia dà lavoro a 160 mila persone; se si considera anche l’indotto, la maggior parte dipende da Stellantis.
La crisi del settore oggi
Dall’inizio della pandemia il settore degli autoveicoli (che comprende sia le auto che i veicoli commerciali) è entrato in una crisi gravissima. Secondo i dati di OICA, l’Organizzazione internazionale che raccoglie ed elabora le informazioni sulla produzione e vendita di autoveicoli, dopo una flessione del 5 per cento registrata già nel 2019, la produzione mondiale del settore auto ha subìto nel 2020, a causa dell’impatto dei lockdown e delle restrizioni, una flessione del 16 per cento, ritornando così ai livelli del 2010. Le vendite a loro volta sono diminuite del 12 per cento.
Nel 2021 le cose non sono migliorate e alle restrizioni dovute alla pandemia si sono aggiunti altri elementi di difficoltà: è diventato molto difficile reperire alcune componenti importanti per la produzione dei veicoli, come i chip, e si sono create grosse discontinuità nelle cosiddette catene globali del valore, ossia tutto quell’insieme di processi internazionali che rendono possibile che la produzione dei beni sia spezzettata in varie parti del mondo. La produzione ha avuto un lieve miglioramento, del 3 per cento, rispetto al 2020 ma era ancora del 13 per cento più bassa del 2019. Lo stesso vale per le vendite.
Non ci sono ancora i dati globali per il 2022, ma la crisi dei commerci mondiali e la difficoltà di reperimento delle materie prime si sono trascinate per la prima metà dell’anno, per poi iniziare ad attenuarsi. A questi problemi si sono aggiunti però i notevoli rincari sulle materie prime e sull’energia, che hanno reso le produzioni ancora più difficili e costose.
Sul fronte della domanda le cose non sono andate meglio. Il grosso calo dei consumi del 2020 non è mai stato compensato, soprattutto a causa del clima di grande incertezza che di fatto non se n’è mai andato: i consumatori hanno spesso rimandato le decisioni sugli acquisti importanti come comprare un’auto; l’inflazione lascia poco margine di spesa per moltissime famiglie.
I bilanci delle principali società per il 2022 non sono ancora disponibili, ma la percezione e le preoccupazioni degli analisti sulla sostenibilità del loro business si vedono dalle quotazioni di borsa: nel 2022 alcune tra le più grandi aziende europee di autoveicoli hanno perso mediamente il 22 per cento del loro valore di borsa.
La resilienza di Stellantis
In tutto questo, molti analisti ed esperti sono concordi nel dire che Stellantis se l’è cavata un po’ meglio. Non tanto perché abbia venduto più mezzi rispetto alle altre aziende. Anzi, ne ha venduti meno della media: in Unione Europea ci sono state nel 2022 il 4,1 per cento di immatricolazioni in meno e sono state quasi il 14 per cento in meno quelle che hanno riguardato veicoli Stellantis.
Quello che ha fatto la differenza secondo molti è stata la direzione dell’amministratore delegato Carlos Tavares, un manager ritenuto molto capace all’interno del settore e famoso per riuscire a mettere a posto in fretta i conti delle grandi aziende di auto: arrivato dal gruppo Renault dieci anni fa, prima ha salvato Peugeot Citroën dal fallimento, poi nel 2017 ha rilevato Opel – anche lei parte del gruppo Stellantis – riuscendo a renderla un’azienda redditizia in un anno, dopo due decenni in perdita.
Vari osservatori ritengono che anche Stellantis sia stata sottoposta a quello che ormai è noto come “metodo Tavares”, che consiste nel rendere i processi molto più efficienti e ridurre moltissimo i costi. Va detto che già di per sé la sola fusione tra PSA e FCA ha prodotto 3,2 miliardi di cosiddette “sinergie”, ossia di risparmi resi possibili dall’unione di due aziende che ora possono condividere, per esempio, impianti, lavoratori e così via.
Carlos Tavares ha ridotto i costi attraverso scelte manageriali innovative, come mettere in competizione le proprie fabbriche, cercando così di spingerle a diventare più efficienti, e ridurre all’osso le scorte per non occupare troppo gli spazi dei magazzini, rischiando così di generare spese aggiuntive, anche a costo di ritardare le consegne, come effettivamente accade da diversi mesi.
La competizione tra le fabbriche dell’intero gruppo ha anche messo in luce la strategia di Tavares per ridurre i posti di lavoro nei paesi ad alto costo. La riduzione dei costi è quindi passata anche dalla riduzione del numero dei dipendenti, con un conseguente costo sociale: negli stabilimenti in Francia, secondo Le Monde, si è passati dai 59 mila addetti industriali del 2013 ai poco più di 40 mila di oggi e lo scorso anno è stato varato un piano per incentivare le dimissioni di 2.600 dipendenti; lo stesso in Italia, dove c’è stata una difficile negoziazione sindacale per le dimissioni di 1.820 dipendenti; a dicembre è stata annunciata la chiusura di uno stabilimento negli Stati Uniti nell’Illinois, dove lavoravano oltre 1.300 dipendenti.
La riduzione dei costi operativi ha consentito all’azienda di adattarsi meglio al notevole calo della domanda di questi anni e alle difficoltà enormi che tutto il settore sta attraversando per i problemi nelle catene produttive.
A inizio anno, proprio parlando di come l’azienda intende continuare ad affrontare questo periodo di difficoltà, Tavares ha parlato espressamente di «scelte impopolari», come possibili chiusure o ridimensionamenti di alcuni impianti, ma escludendo tagli ulteriori di posti di lavoro. Le scelte impopolari e la riduzione dei costi sono anche funzionali allo sviluppo futuro dell’azienda e al successo dei suoi investimenti sulle auto elettriche: «se non ottimizziamo la struttura dei costi, non possiamo assorbire i costi addizionali dell’elettrificazione. Se non assorbiamo i costi, i prezzi per il consumatore aumentano e il mercato si riduce e, se questo succede, servono meno fabbriche. È un circolo vizioso, un cane che si morde la coda».
È proprio l’obiettivo di ridurre i costi che ha portato in origine alla fusione tra PSA e FCA. La decisione nacque da un’esigenza di consolidamento che è molto presente nel settore automobilistico: negli anni molte aziende del settore si sono ingrandite tramite fusioni o acquisizioni, per rispondere a un mercato che è sempre più internazionale e che richiede investimenti ingenti, come quelli necessari per la transizione alle auto elettriche.
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Ormai tutti gli analisti sono concordi nel dire che il futuro della mobilità di massa sono le automobili elettriche, e anche se le automobili a guida autonoma per ora sono irraggiungibili, l’aspetto informatico e tecnologico è importante quanto quello meccanico nel processo di produzione di una vettura.
Quando si parla di tecnologia, però, sia il ramo francese che quello italiano di Stellantis (soprattutto quello italiano) sono piuttosto indietro, non soltanto nei confronti di rivali innovativi come Tesla ma anche di Volkswagen e altre case automobilistiche tradizionali. Nessuno dei due, per esempio, ha un’architettura pensata esclusivamente per un’auto elettrica, in parte a causa della diffidenza che sia Tavares sia Sergio Marchionne (storico amministratore delegato di FCA morto nel 2018) hanno sempre nutrito per questa tecnologia. Una delle ragioni dell’unione è dunque avere abbastanza risorse e capacità tecniche per sviluppare automobili di nuova generazione.
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