La lotta per i diritti delle persone LGBT+ in Giappone
È l'ultimo paese del G7 in cui le unioni tra le persone dello stesso sesso non sono riconosciute dallo stato, ma alcune cose stanno cambiando
di Guido Alberto Casanova
Negli ultimi anni in Giappone gli attivisti e le attiviste per i diritti delle persone LGBT+ hanno ottenuto importanti successi, attirando l’attenzione pubblica sulle discriminazioni ancora molto frequenti nel paese. I loro risultati sono il frutto di lunghe battaglie legali e campagne di sensibilizzazione, portate avanti spesso nonostante l’opposizione del governo. Nel paese il dibattito si protrae da molto tempo e negli ultimi anni il riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso ha cominciato a diffondersi rapidamente nella società giapponese.
Benché la società stia facendo molti passi in avanti, il Giappone rimane ancora un paese profondamente conservatore da questo punto di vista ed è l’unico membro del G7 dove i matrimoni o altre forme di unione tra persone dello stesso sesso non sono riconosciute ufficialmente. La costituzione prevede all’articolo 24 che “il matrimonio debba essere basato esclusivamente sul consenso reciproco di entrambi i sessi” e stabilisce la parità di diritti tra “marito e moglie” che vengono nominati esplicitamente, individuando così nella sola famiglia tradizionale un valore da proteggere.
Nonostante il divieto ufficiale, in Giappone sempre più coppie omosessuali possono celebrare apertamente la propria unione, in cerimonie che non hanno valore agli occhi dello stato giapponese ma che consentono alle persone di ottenere alcuni riconoscimenti a livello locale. In certi casi ciò avviene anche grazie al sostegno di alcune istituzioni religiose che si sono dimostrate aperte alle istanze della comunità LGBT+ giapponese. Una di queste è il tempio buddista di Saimyoji, non lontano da Tokyo, dove nel 2020 si è cominciato a celebrare le nozze tra persone dello stesso sesso. “La religione prega per la felicità di tutte le creature viventi del mondo”, dice Myokan Senda, il monaco vice capo del tempio.
Anche nello shintoismo (la religione tradizionale del paese) si sta diffondendo una tendenza simile e il santuario Negainomiya, a Osaka, celebra rituali nuziali per coppie dello stesso sesso da più di 8 anni.
Un paese ancora conservatore
La costituzione è stata adottata nel 1947 durante l’occupazione statunitense seguita alla Seconda guerra mondiale e il Giappone non l’ha mai emendata, poiché fino a oggi non c’è mai stata la volontà politica di cambiarla nel senso di un maggior riconoscimento della comunità LGBT+. Nonostante i cambiamenti in atto nella società, il governo conservatore giapponese è molto reazionario su questo fronte. Con l’eccezione di due brevi parentesi, fin dagli anni ’50 il paese è sempre stato governato dai conservatori del Partito Liberal Democratico (PLD) all’interno del quale prevalgono i principi della destra tradizionalista di cui l’ex primo ministro Shinzo Abe è stato uno dei maggiori portavoce.
Alla vigilia delle elezioni generali del 2021, il professore dell’Università di Tokyo Masaki Taniguchi aveva condotto un sondaggio tra i candidati dei vari partiti e quelli proposti dal PLD risultavano essere i più ostili verso le unioni tra persone dello stesso sesso. Solo il 12 per cento degli esponenti del PLD sosteneva la necessità che venisse introdotto un riconoscimento legale, mentre la media tra i candidati di tutti i partiti era del 61 per cento. Il sostegno per le coppie dello stesso sesso accomuna gran parte dei partiti dell’arco parlamentare e, sebbene sia più consolidato nella sinistra, trova consenso anche tra esponenti del centrodestra.
Anche a livello sociale esiste già un consenso sulla necessità di riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso. Secondo un altro sondaggio, realizzato nel 2019 questa volta dall’organizzazione Marriage for All Japan, il 72,6 per cento dei giapponesi è a favore. Eppure, ciò non basta perché il problema centrale non è l’opinione popolare bensì il predominio politico indiscusso del PLD, che continua a ostacolare il riconoscimento.
In questa opposizione hanno un ruolo cruciale i legami del partito con il mondo del tradizionalismo religioso. La scorsa estate, durante la campagna elettorale per le elezioni della camera alta, si sono verificati due episodi che hanno svelato molto di questi rapporti. Il primo riguarda una riunione dei membri del PLD tenutasi a metà giugno, durante la quale era stato fatto circolare un opuscolo in cui l’omosessualità veniva descritta come un «disordine mentale acquisito». La notizia aveva provocato dure reazioni tra la società civile, ma aveva soprattutto messo in luce i legami del partito con un mondo molto poco visibile. L’opuscolo era stato distribuito dalla Shinto Seiji Renmei, l’Associazione shintoista della guida spirituale, un’organizzazione conservatrice fondata nel 1969 che sostiene politicamente il PLD e che conta numerosi simpatizzanti tra i capi del partito. Come ha scritto l’Asahi Shimbun, uno dei giornali progressisti del Giappone, dietro alla pubblicazione dell’opuscolo non c’erano soltanto membri dell’organizzazione religiosa, ma anche alcuni parlamentari.
Il secondo episodio riguarda un fenomeno che è emerso in tutta la sua profondità con l’omicidio di Abe, avvenuto lo scorso luglio. L’omicidio mostrò i profondi legami del PLD con la Chiesa dell’Unificazione, il movimento religioso fondato dal controverso reverendo Sun Myung Moon. Proponendosi come portatrice di una morale molto conservatrice, la nuova religione arrivata in Giappone negli anni ’60 ha sempre manifestato una visione molto ostile nei confronti dell’omosessualità. Durante la campagna elettorale Yoshiyuki Inoue, un candidato del PLD molto vicino ad Abe e sostenuto dalla Chiesa dell’Unificazione, aveva dichiarato a un comizio che «continuiamo a parlare dell’omosessualità come di qualcosa che ci deve muovere a compassione, ma se non si costruiranno famiglie […], possiamo davvero aspettarci che i nostri figli portino avanti il Giappone?». Inoue è stato eletto pochi giorni dopo in parlamento.
Progressi locali
A livello locale però si stanno facendo numerosi progressi. Da quest’anno la provincia settentrionale di Hokkaido comincerà a permettere alle coppie dello stesso sesso di far domanda per un appartamento di edilizia pubblica mentre l’amministrazione di Saitama, appena a nord di Tokyo, ha deciso di premiare quelle aziende con sede nella provincia che prenderanno misure per creare un ambiente di lavoro non discriminatorio.
Molti altri governi locali hanno adottato decisioni significative per la comunità LGBT+. Probabilmente quelle più importanti sono l’introduzione dei certificati che, sebbene non legalmente vincolanti, riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso. A oggi sono circa 240 le amministrazioni locali che hanno iniziato a produrre questi documenti, tra cui 10 province, arrivando così a coprire più del 60 per cento dell’intera popolazione del paese. L’ultima provincia in ordine di tempo ad aver cominciato l’emissione di certificati è quella di Tokyo, in cui le coppie omosessuali da inizio novembre possono ottenere questo riconoscimento.
Tuttavia questi certificati hanno dei limiti molto evidenti. Grazie all’attestato molte coppie hanno potuto affittare assieme una casa o visitare il proprio congiunto in ospedale. Alcune hanno potuto anche cointestarsi un mutuo in banca o ricevere i benefit aziendali per le coppie sposate. Ma gran parte dei diritti che invece sono concessi alle coppie eterosessuali rimangono comunque negati anche sotto questo sistema. I certificati non consentono di ereditare i beni del compagno o della compagna, né di ottenere la responsabilità genitoriale condivisa sui figli, né di avere accesso agli sgravi fiscali per le coppie sposate.
Il punto della questione sta nella legislazione nazionale, che non solo non riconosce i matrimoni omosessuali ma non prevede nemmeno alcuna forma di protezione legale per queste unioni. Per affrontare questo problema, nel 2019 un gruppo di coppie e attivisti e attiviste per i diritti della comunità LGBT+ ha iniziato una serie di cause legali in diversi tribunali del paese per colmare questa mancanza nella legge. Secondo i loro legali il divieto di riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso, inserito nella legge sulla registrazione familiare, è in diretta violazione dell’articolo 14 della Costituzione, che garantisce l’uguaglianza di trattamento dei cittadini a prescindere dall’orientamento sessuale.
A oggi sono stati emessi tre verdetti, e sebbene il giudizio non sia univoco sembra farsi strada nella giurisprudenza l’idea che non concedere una protezione legale a queste coppie sia di fatto una violazione dei loro diritti fondamentali. In due di questi casi le parti in causa hanno già fatto appello, mentre si attende ancora il verdetto di altri due tribunali. La battaglia giudiziaria perciò è ancora lontana dall’essere conclusa ma, se dovesse portare ai risultati in cui tanti sperano, per il PLD sarebbe molto più difficile eludere la propria responsabilità di fronte ai cittadini giapponesi.