L’accordo tra Italia e Libia sul gas e i migranti
Prevede un grosso investimento dell'ENI per lo sfruttamento di due nuovi giacimenti e il potenziamento dei controlli sui flussi migratori
Sabato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata a Tripoli, in Libia, dove sono stati firmati due accordi: il primo, atteso, riguarda un potenziamento dell’approvvigionamento di gas, il secondo invece una maggiore collaborazione per controllare il flusso di migranti che da anni cercano di raggiungere l’Italia partendo dalle coste libiche.
Il primo accordo è stato firmato dall’amministratore delegato dell’ENI Claudio Descalzi e da Farhat Bengdara, presidente della National oil corporation (NOC), la compagnia petrolifera nazionale della Libia, ed è considerato storico soprattutto per i notevoli investimenti previsti: 8 miliardi di dollari.
Le due aziende energetiche collaboreranno per esplorare i giacimenti di gas di fronte alla costa occidentale della Libia. Secondo le stime, i due giacimenti dovrebbero contenere complessivamente riserve sufficienti a fornire 8,7 miliardi di metri cubi di gas all’anno per i prossimi 25 anni. L’obiettivo è aumentare la produzione di gas sia per soddisfare la domanda interna, sia per garantire l’esportazione verso l’Europa. La Libia è al quinto posto tra i paesi africani con le maggiori riserve di gas dopo Nigeria, Algeria, Mozambico ed Egitto.
Le forniture di gas tra la Libia e l’Italia sono garantite da un gasdotto chiamato Green Stream, che collega la città di Mellitah a Gela, in Sicilia. È stato costruito vent’anni fa da ENI e da NOC e potenzialmente potrebbe trasportare fino a 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Nell’ultimo anno, tuttavia, dalla Libia sono arrivati soltanto 2,5 miliardi di metri cubi di gas nonostante l’esigenza italiana di trovare nuovi approvvigionamenti in seguito alla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. La Libia ha esportato meno gas perché è aumentata la domanda interna: le esportazioni sono state limitate al 15 per cento del gas esportato negli anni precedenti. I contratti attuali, confermati dall’accordo firmato sabato, prevedono che la Libia abbia la priorità sull’approvvigionamento di gas e il controllo sulle esportazioni in base all’andamento della domanda interna di energia.
Negli ultimi anni ENI ha continuato a investire in Libia nonostante l’instabilità politica del paese, che resta diviso dopo il tentativo di elezioni fallito alla fine del 2021. L’accordo, secondo Bengdara, è «un chiaro messaggio alla comunità imprenditoriale internazionale che lo Stato libico ha superato la fase dei rischi politici». Ma l’altro governo libico (non riconosciuto dalla comunità internazionale) guidato da Fathi Bashagha ha contestato l’affermazione.
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L’accordo sul controllo e la gestione dei flussi migratori prevede invece la «cooperazione con l’autorità libica in relazione alla Guardia costiera». In sostanza, l’Italia consegnerà alla Guardia costiera libica cinque nuove motovedette. Da anni la cosiddetta Guardia costiera libica è finanziata e addestrata dall’Italia e dall’Unione Europea per fermare le partenze dei migranti dalle coste libiche, con ogni mezzo. Rimane comunque un corpo piuttosto irregolare e disorganizzato: soccorre chi vuole, quando vuole, e con i metodi che vuole, spesso violenti. Oltretutto, in un secondo momento, riporta le persone intercettate sulle coste libiche e le riconsegna ai trafficanti e ai gestori dei centri per migranti, dove le torture e gli stupri sono sistematici.
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«La Libia è priorità per l’Italia, per la stabilità del Mediterraneo, per la sicurezza dell’Italia, per alcune delle grandi sfide come la crisi energetica», ha detto ieri Meloni. Gli investimenti italiani in Libia, così come quelli annunciati in Algeria dopo il viaggio di Meloni della scorsa settimana, rientrano in un più ampio piano del governo di Giorgia Meloni per aumentare la sua influenza politica ed economica nei paesi nordafricani, con l’obiettivo di far diventare l’Italia in futuro il principale centro per il trasporto di gas dall’Africa all’Europa.
È un piano a cui la presidente del Consiglio aveva fatto riferimento nel suo primo discorso alla Camera in occasione del voto di fiducia al suo governo. Lo aveva chiamato “piano Mattei per l’Africa”, in riferimento al presidente dell’Eni Enrico Mattei, morto in circostanze mai del tutto chiarite il 27 ottobre del 1962. Mattei fu infatti l’ideatore di una politica energetica rivoluzionaria per l’epoca, che aveva l’obiettivo di scardinare il ruolo egemone delle grandi aziende energetiche statunitensi e britanniche in Africa, lasciando per la prima volta ai paesi africani ampi margini di profitto.
Nel suo discorso alla Camera, Meloni aveva accennato a questo “piano Mattei” spiegando che gli investimenti nel Nordafrica dovrebbero servire non solo in termini di politica energetica, ma anche per il contrasto all’immigrazione illegale. Secondo Meloni, il piano dovrebbe migliorare le condizioni economiche dei paesi nordafricani e di conseguenza anche quelle della loro popolazione, con l’obiettivo di scoraggiare le persone a emigrare verso l’Italia.