Che posto è Gerusalemme est
La parte della città in cui si trova il quartiere Neve Yaakov, dove c'è stato un grosso attentato venerdì sera, ha una storia complicata e una data fondamentale: il 1967
Venerdì sera c’è stato un grosso attentato davanti a una sinagoga a Neve Yaakov, un quartiere abitato da israeliani ultraortodossi a Gerusalemme est, la parte della città che appartiene ai territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. Sono morte sette persone, mentre altre dieci sono gravemente ferite. L’attentato è stato compiuto in un periodo di grande tensione tra israeliani e palestinesi, cominciato la scorsa primavera. Soltanto giovedì, l’esercito israeliano aveva ucciso almeno dieci palestinesi a Jenin, in Cisgiordania, in una delle operazioni militari più violente degli ultimi anni. Dall’inizio dell’anno almeno trenta palestinesi sono stati uccisi negli scontri con le forze di sicurezza israeliane.
Era dal 2008 che non venivano uccise così tante persone in un singolo attacco a Gerusalemme, città contesa da decenni tra israeliani e palestinesi in quella che è una delle dispute territoriali più complesse al mondo, nonché uno dei punti centrali del conflitto tra Israele e Palestina.
La complessità è data da motivazioni storiche, politiche, religiose e demografiche. Sia gli israeliani che i palestinesi considerano Gerusalemme la capitale del proprio stato, e la disputa non è mai stata risolta; nemmeno con gli Accordi di Oslo, l’ultima intesa politica fra le due parti, risalente al 1993.
Gerusalemme è di fatto divisa in due dal 1949, dalla fine della prima guerra combattuta fra arabi e israeliani e vinta dagli israeliani. Il territorio a ovest della “Green Line”, il confine che fin dall’inizio ha diviso la città, doveva essere controllato da Israele e abitato da una popolazione principalmente ebraica. Il territorio a est doveva essere invece amministrato dalla Giordania (paese arabo confinante con Israele) e abitato principalmente da arabi. Gerusalemme est è la parte della città dove si trova anche il centro storico, la cosiddetta “città vecchia”, e molti dei principali luoghi sacri delle tre grandi religioni monoteiste, ovvero cristianesimo, ebraismo e islam. La questione della “città vecchia” non è secondaria, perché vi si trovano dei luoghi simbolicamente molto importanti sia per gli israeliani che per i palestinesi.
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Le cose però non andarono come era stato deciso nel 1949, e la situazione cambiò radicalmente nel 1967, anno in cui si combatté la Guerra dei sei giorni. Tra il 5 e il 10 giugno di quell’anno, Israele sferrò un attacco aereo preventivo contro tre paesi arabi vicini – Egitto, Siria e Giordania – che erano alleati contro di lui e contro cui aveva già combattuto nel 1948, vincendo anche all’epoca. Israele era un paese fragile e nato da poco, molto odiato dai vicini stati arabi che lo vedevano come una forza d’occupazione coloniale in una regione storicamente abitata da popolazioni arabe e volevano interrompere la massiccia immigrazione ebrea verso il Medio Oriente. Si era quindi preparato militarmente di conseguenza, sapendo che la sua sopravvivenza dipendeva dalla capacità di sconfiggere la coalizione di stati arabi. Nell’arco di sei giorni neutralizzò l’aviazione egiziana e occupò sia l’intera Gerusalemme est, inclusa la “città vecchia” e vari quartieri e villaggi limitrofi, che la vicina Cisgiordania.
Nella Cisgiordania gli israeliani costruirono molti insediamenti propri, dove ancora oggi vive circa mezzo milione di persone e l’occupazione, durata fino al 1993, causò grossi disagi e sofferenze per milioni di palestinesi, trasformati in “cittadini di serie B” da un giorno all’altro. Con gli accordi di Oslo del 1993, la Cisgiordania fu sottoposta a controllo misto da parte di Palestina e Israele, sotto cui rimane ancora oggi.
Ma Gerusalemme est ha continuato a restare sotto il solo controllo militare israeliano, ed è stata separata dal resto della Cisgiordania da un muro costruito dagli israeliani. Nel 1980 il parlamento israeliano emanò una legge che proclamava la città, «unita e indivisa», capitale ufficiale dello stato di Israele. L’ONU però non riconobbe mai l’annessione di fatto di Gerusalemme est a Israele, e ancora oggi la considera “zona occupata” militarmente.
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Oggi la città è abitata sia da israeliani (che sono circa il 60 per cento della popolazione) sia da arabi, ma è controllata interamente da Israele e la parte orientale, dove si concentra la popolazione araba, è sottoposta a una rigida occupazione militare. Le differenze tra Gerusalemme est e ovest sono evidenti: mentre la parte occidentale è molto moderna, con elementi di architettura contemporanea, trasporti pubblici all’avanguardia e spazi pubblici ben tenuti, quella orientale è fatta di stradine strette e edifici piuttosto malmessi, e sorvegliata anche in periodi di relativa pace da piccoli gruppi di militari israeliani armati.
Le persone palestinesi che abitano a Gerusalemme est vivono da oltre quarant’anni una situazione di limbo amministrativo: capita che abbiano cittadinanza palestinese ma un diritto di residenza permanente a Gerusalemme est che permette loro di votare nelle elezioni locali e usufruire dei servizi pubblici israeliani, come il sistema sanitario o scolastico. Il governo può comunque in qualsiasi momento revocare i permessi di residenza di chi non è cittadino israeliano.
Dopo il 1967, nella zona più settentrionale di Gerusalemme est furono costruiti oltre 100 chilometri quadrati di nuovi quartieri residenziali, venduti come soluzione abitativa per giovani coppie, nuove persone che volevano trasferirsi in Israele dall’estero e famiglie di classe media.
Queste comunità – tra cui c’è Neve Yaakov, il quartiere dove è avvenuta la sparatoria di venerdì – oggi hanno 165 mila abitanti, ma sono considerate degli insediamenti israeliani illegali ai sensi del diritto internazionale, sulla base della Quarta convenzione di Ginevra e della risoluzione 476 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché sono state volontariamente costruite oltre la “Green Line”.
D’altro canto la sensazione di molti abitanti arabi di Gerusalemme est è che l’amministrazione locale renda volontariamente più difficile per loro costruire nuove abitazioni nella zona per rispondere all’aumento demografico delle loro comunità, forzandoli a trasferirsi fuori dalla città e quindi a perdere il loro status di residenti. Esistono anche organizzazioni radicali religiose di coloni israeliani il cui obiettivo esplicito è quello di ridurre la presenza araba a Gerusalemme est, per limitare la possibilità che venga annessa in futuro ad uno stato palestinese.
Il tema è riemerso nel maggio del 2021, con lo sfratto di alcune famiglie palestinesi da un quartiere storicamente arabo vicino alla città vecchia, Sheikh Jarrah.
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Particolarmente emblematica di questa complessità è la Spianata delle moschee (chiamata dagli ebrei Monte del Tempio), dove si trova la moschea di al Aqsa: è la moschea che fu costruita nel luogo da cui, secondo il Corano, Maometto cominciò il proprio miracoloso «viaggio notturno» attraverso l’aldilà fino ad incontrare Allah e ricevere da lui proprio gli insegnamenti del Corano. Qui si trovano però anche i resti del Secondo Tempio, luogo sacro importantissimo per gli ebrei distrutto nel 70 d.C. dai Romani, e di cui rimane solo il cosiddetto Muro del pianto, unico luogo nell’area della Spianata dove attualmente è permesso agli ebrei di pregare.
Negli anni sulla gestione della Spianata delle moschee ci sono stati moltissimi scontri, soprattutto quando i governi israeliani hanno provato a limitare l’accesso per la Spianata alle persone musulmane.