Un libraio fenomenale
Dopo aver rimesso in sesto la catena di librerie britanniche Waterstones, James Daunt ci sta provando con l'americana Barnes & Noble
Secondo James Daunt, «la libreria ideale è sempre una libreria indipendente». Non è un’opinione particolarmente originale, ma è significativo che sia condivisa proprio da Daunt, che è l’amministratore delegato di Waterstones, la più grande catena di librerie del Regno Unito, e di Barnes & Noble, la più grande catena di librerie degli Stati Uniti. In una certa misura peraltro riassume il metodo grazie al quale Daunt è riuscito a rimettere in sesto Waterstones, facendola tornare in attivo nel 2016 dopo una profonda crisi, e con cui ora sta provando a fare lo stesso con Barnes & Noble, a sua volta reduce da anni disastrosi: rendere le librerie di catena il più possibile simili alle librerie di quartiere, quelle abitualmente definite “indipendenti” appunto.
Le catene di librerie si sono sviluppate applicando al commercio dei libri gli stessi principi che regolano le catene dei supermercati: facendo decidere a un ufficio centrale quali e quanti libri acquistare per ogni punto vendita. Daunt ha rivisto questo modello, lasciando agli uffici centrali delle catene che dirige il compito di fare ridotti acquisti di novità per tutti i negozi, e dando alle singole librerie la «libertà» di scegliere quali libri proporre in base alla conoscenza della clientela locale.
«Con la libertà possono arrivare cose molto buone, cose discrete e cose terribili», spiega Daunt, che questa settimana è stato a Venezia per partecipare al seminario di perfezionamento della Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri, che ogni anno coinvolge persone autorevoli dell’editoria internazionale: «Chi è nella mia posizione deve accettare che le cose possano andare male. Quando succede, piuttosto che mandare qualcuno dagli uffici centrali a dire ai librai che hanno sbagliato tutto, chiediamo alla persona che dirige la libreria più vicina che invece va bene, quindi un altro libraio, di andare a vedere cos’è che non va. Non viene da Londra o da New York, ma da una città vicina, o da un’altra parte della stessa città, ha lo stesso accento dei libraio in difficoltà. Si tratta di creare una comunità di librai, in modo che imparino gli uni dagli altri. I social network lo stanno peraltro rendendo più facile: ad esempio quando una vetrina funziona la si può fotografare e postare e così tutti la vedono».
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Negli ultimi decenni del Novecento, un po’ in tutti i paesi occidentali, le librerie di catena si diffusero e allargarono a scapito delle librerie di quartiere. Le maggiori dimensioni, sia dei singoli negozi che delle società che c’erano dietro, permettevano alle catene di offrire una maggior quantità e varietà di libri e di proporre spesso promozioni e prezzi scontati, anche di molto.
Daunt divenne un libraio in quel periodo. Nel 1990, non ancora trentenne e dopo aver lavorato per tre anni per la banca americana JP Morgan, aprì a Marylebone, nel centro di Londra, la prima delle librerie Daunt Books – che oggi sono nove, di cui sei nella capitale del Regno Unito, e appartengono sempre a Daunt. Inizialmente era specializzata in libri di viaggio, il principale interesse di Daunt oltre a quello per i libri.
Alla fine degli anni Novanta arrivò il commercio online e soprattutto Amazon, che in breve tempo superò le catene sia in quanto ad assortimento, dato che permette di acquistare quasi ogni libro in commercio, che in quanto a sconti: per molto tempo, il modello di business del più grande sito di e-commerce del mondo si è basato sul vendere in perdita singoli prodotti per riuscire a imporsi sulla concorrenza.
Per cercare di star dietro ad Amazon, le catene cercavano di imitarlo: proponevano sempre più sconti, lettori per ebook alternativi al Kindle e, nei negozi fisici, una gran quantità di prodotti diversi dai libri, dagli articoli di cancelleria agli snack. Nessuna di queste strategie funzionò davvero.
Intanto, pur affrontando le tipiche difficoltà del commercio di libri e trovandosi spesso a non poter pagare i propri creditori nei primi anni di attività, Daunt stava diventando il proprietario di una piccola rete di librerie molto frequentate, impostando quello che sarebbe diventato il suo metodo, cioè lasciando a ogni singolo negozio la possibilità di mantenere una propria identità: un approccio molto diverso da quello delle catene, i cui vari negozi erano uniformi, sia per l’arredamento che per l’offerta di libri.
Negli Stati Uniti, dove Amazon si è espanso prima e oggi vende più della metà di tutti i libri che vengono acquistati nel paese, la crescita della libreria online portò nel 2011 al fallimento di Borders, una delle principali catene di librerie americane, e a una grave crisi per Barnes & Noble, l’altra più diffusa. Nel 2008 la catena aveva 726 negozi, nel 2019 circa cento in meno: l’anno prima aveva perso 18 milioni di dollari e licenziato 1.800 dipendenti con contratto a tempo pieno, delegando quasi tutte le attività a dipendenti part-time. Aveva anche licenziato il proprio amministratore delegato – il quarto in cinque anni – dopo che era stato accusato di molestie sessuali. Il prezzo delle azioni era diminuito tantissimo.
Intanto nel Regno Unito, nello stesso anno della chiusura di Borders, Waterstones era arrivata ad accumulare un debito di 170 milioni di sterline: il miliardario russo Alexander Mamut la comprò per 53 milioni di sterline e ne affidò la gestione proprio a James Daunt, che a quel punto aveva sei librerie sue, che si distinguevano per la particolare disponibilità e competenza dei librai nel consigliare i libri.
Una delle prime cose che Daunt fece con Waterstones fu ridurre i costi licenziando metà dei dirigenti e un terzo dello staff delle librerie. Poi cominciò a trasformare le librerie per renderle più simili a quelle di quartiere. Prima di tutto le svincolò dai tradizionali accordi con i grandi editori per cui questi pagano le catene per piazzare i propri libri negli scaffali più in vista: è una pratica molto diffusa e apparentemente vantaggiosa dal punto di vista economico per le librerie di catena, ma che spesso lascia le librerie con grosse quantità di libri invenduti da rendere all’editore per fare spazio a quelli nuovi, con i relativi costi di spedizione.
Principalmente a causa di questa decisione, Waterstones perse 43 milioni di sterline nel 2012 e 23 milioni nel 2013; nel mentre però i libri da rendere diminuirono dal 23 per cento del totale al 4, perché i librai li ordinavano tenendo conto delle preferenze dei propri clienti di riferimento. Contemporaneamente le singole librerie si differenziarono tra loro e lavorarono per diventare più accoglienti: le file di scaffali simili a quelli dei supermercati vennero sostituite con un mix di tavoli e scaffali pensato per abbinare i libri per affinità di argomento, invece che per ordine alfabetico, renderne più visibili le copertine e spingere i lettori a curiosare in giro.
Nel giro di cinque anni il metodo di Daunt ha permesso a Waterstones di raggiungere risultati positivi, e nonostante un calo di vendite causato dalla pandemia continua a essere un’azienda che funziona.
Nel 2018 la maggioranza di Waterstones è stata comprata dal fondo di investimenti Elliott, che nel 2019 ha acquisito Barnes & Noble mettendo Daunt alla guida della catena americana. Anche negli Stati Uniti Daunt ha usato lo stesso metodo: ha cominciato licenziando la metà delle persone che lavoravano negli uffici centrali di Barnes & Noble e cinquemila dipendenti delle librerie, poi ne ha cambiato il funzionamento come aveva fatto con Waterstones.
In questo la pandemia da coronavirus ha creato un’occasione importante, perché nei mesi di chiusura legati alle restrizioni agli spostamenti – che negli Stati Uniti sono durate meno che in Europa – i librai hanno avuto il tempo di «togliere tutti i libri dagli scaffali» e cambiare completamente il modo in cui erano disposti.
Tra le altre cose, ha raccontato Daunt durante l’ultimo evento del seminario della Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri dedicato al cambiamento generazionale dei lettori e su come editori e librerie possono rivolgersi a quelli più giovani, ne hanno approfittato per creare nuovi spazi dedicati alla narrativa per adolescenti e ventenni – la “young adult”, o “YA” nel gergo editoriale. Inoltre «hanno comprato ogni singolo manga disponibile», per aggiornarsi a una delle principali tendenze nelle abitudini di lettura degli ultimi anni, quella che riguarda i fumetti appunto.
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È ancora presto per dire se con Barnes & Noble il metodo di Daunt funzionerà bene come con Waterstones, ma per il momento le cose sembrano andare nella direzione giusta. Le vendite del 2021 sono state del 3 per cento superiori a quelle del 2019: per quanto riguarda i soli libri (dato che nelle librerie sono venduti anche altri prodotti) l’aumento è stato del 14 per cento. Nel 2022 la catena americana ha aperto 16 nuove librerie, più di quelle che ha chiuso nello stesso anno; due hanno preso il posto di librerie Amazon Books, la catena di punti vendita fisici che Amazon aveva avviato nel 2015 e ha chiuso lo scorso marzo. Nel corso del 2023 Barnes & Noble progetta di aprirne altre 30.
Oggi Daunt, pur essendo il capo di due grandi catene, è molto ben visto anche dai librai indipendenti perché ha mostrato la rilevanza delle loro competenze. L’unica critica che gli è stata mossa riguarda i bassi stipendi dei dipendenti più giovani: nel Regno Unito sono pari al salario minimo previsto dalla legge britannica che secondo molti è insufficiente, soprattutto per chi vive a Londra.
Daunt però difende questa scelta e ci tiene a distinguere il modo in cui si lavorava sia da Waterstones che da Barnes & Noble oggi rispetto a quando c’erano le gestioni precedenti. All’epoca nelle librerie poche persone avevano buoni stipendi: erano i responsabili dei negozi, che spesso avevano esperienza in altri settori commerciali, come negozi di scarpe o altre categorie di prodotti. Poi c’erano decine di librai sotto di loro, con contratti part-time e stipendi molto bassi: spesso erano più commessi che veri e propri librai.
Ora invece c’è un sistema di formazione e promozioni che permette a chi lavora per le catene di diventare libraio nel vero senso della parola. «Se non vengono promossi dopo due anni è perché non sono le persone giuste: siamo interessati a persone a cui importa dei libri e che vogliono essere librai. Poi quelle persone le paghiamo di più».
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