Forse Alec Baldwin avrebbe fatto meglio a non parlare con la polizia
Tutti sanno di avere «il diritto di rimanere in silenzio», ma spesso chi si ritiene innocente vi rinuncia, mettendosi talvolta in grossi guai
Chiunque abbia mai guardato un film o una serie americana a sfondo poliziesco conosce la formula che viene recitata negli Stati Uniti alle persone sospettate di un reato che si trovano sotto custodia della polizia: «Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l’interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d’ufficio». La formula si chiama “Miranda warning”, dal caso della Corte suprema statunitense che ha reso obbligatorio recitare a chiunque sia interrogato all’interno di un’indagine i propri diritti, e si basa sul Quinto emendamento della Costituzione, in base a cui «nessuno può essere obbligato, in una qualsiasi causa penale, a deporre contro se medesimo».
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Nonostante questa formula sia conosciutissima, in un articolo d’opinione sul New York Times il giornalista Farhad Manjoo scrive che la maggior parte degli statunitensi non ne capisce veramente l’importanza, e finisce per autoincriminarsi – benché a volte innocenti – o per fornire alla polizia molte informazioni in più rispetto a quelle che vorrebbe. Per citare qualcuno che ha rinunciato al proprio diritto di rimanere in silenzio in buona fede e ora si trova in guai molto grossi, Manjoo fa l’esempio dell’attore Alec Baldwin, contro cui la procuratrice di Santa Fe, nel New Mexico, sta preparando un’accusa di omicidio colposo.
Baldwin venne interrogato dalla polizia di Santa Fe nell’ottobre del 2021, in seguito a un incidente sul set di Rust, un film western in cui stava recitando. L’attore stava utilizzando un’arma che gli era stata consegnata da un membro della troupe, che gli aveva detto «cold gun», cioè pistola scarica. Mentre Baldwin aveva la pistola in mano, però, partirono due colpi: furono feriti il regista del film, Joel Souza, che non riportò gravi conseguenze, e la direttrice della fotografia Halyna Hutchins, che invece morì poco dopo in ospedale. Baldwin parlò con la polizia poco dopo l’incidente, senza sapere che fosse morta: pensava che fosse soltanto svenuta.
Durante un colloquio alla stazione di polizia, dopo che i detective gli avevano ricordato che aveva il diritto di rimanere in silenzio fino all’arrivo del suo avvocato, Baldwin chiese loro: «Sono accusato di qualcosa?». Loro gli risposero che leggere i suoi diritti era solo una formalità e che non era accusato di nulla. Negli Stati Uniti, la polizia è autorizzata a mentire agli indagati durante gli interrogatori, e lo fa spesso: è già successo che dei poliziotti abbiano detto a una persona che non era nella lista dei sospettati anche se lo era, a qualcuno che altre persone avevano testimoniato contro di lui quando non era vero, addirittura che abbiano mentito su quale reato stessero effettivamente indagando.
Baldwin parlò per un’ora senza che il suo avvocato fosse presente e senza che gli venisse detto che Hutchins era morta, raccontando moltissimi dettagli sulla gestione delle armi sul set e sull’episodio, e facendo addirittura qualche ipotesi su quello che poteva essere successo. A un certo punto raccontò agli agenti che Hannah Gutierrez Reed, la persona responsabile delle armi sul set, gli aveva passato la pistola garantendogli che fosse sicura. «Lei mi disse, vuoi controllare? Io non volevo che si offendesse, non avevamo mai avuto alcun problema, e le dissi: va bene così». Manjoo sottolinea che in molti si sarebbero comportati come Baldwin durante l’interrogatorio: «Dopotutto, se sei convinto della tua innocenza, non ti senti obbligato ad aiutare la polizia a risolvere il caso? Rifiutarsi di parlare con loro sembra qualcosa che farebbe solo una persona che ha qualcosa da nascondere», si chiede.
Secondo Manjoo, però, quello commesso da Baldwin è un grosso errore in cui incorrono tantissimi statunitensi. Per spiegarlo cita James Duane, professore di legge che ha dedicato la propria carriera allo studio del Quinto emendamento e autore di una serie di lezioni per la Regent University dal titolo Don’t talk to the police (“Non parlare alla polizia”), secondo cui «gli americani medi, anche quelli che hanno studiato giurisprudenza o hanno una laurea molto prestigiosa, non sono davvero informati su tutti i modi in cui le persone innocenti possono rimpiangere per il resto della propria vita di aver rinunciato al Quinto emendamento e aver accettato di parlare con la polizia». Duane ha anche pubblicato un libro in merito, You Have the Right to Remain Innocent (“Hai il diritto di rimanere innocente”).
Secondo Duane, qualsiasi cosa si dica alla polizia – anche un commento apparentemente innocente o poco rilevante – può essere usata come prova di un illecito per cui non si sa neanche di essere indagati. Spesso questi commenti vengono poi ripetuti in tribunale, spogliati del contesto in cui erano stati pronunciati, ed è molto più complesso per gli avvocati della difesa ottenere informazioni complete su tutto ciò che è stato detto in un interrogatorio per dimostrare che il proprio cliente intendeva dire qualcos’altro.
Non è una cosa che succede di rado. Innocence Project è un’organizzazione che lavora per scagionare persone innocenti, condannate per crimini che non hanno commesso. Secondo i loro dati, circa il 29 per cento delle persone scagionate era stato condannato in base a confessioni false, quasi sempre ottenute dopo interrogatori lunghissimi in cui la polizia aveva mentito dicendo che ammettere la propria colpevolezza era la loro unica via d’uscita.
«Il Quinto emendamento non è una mera formalità. È tra le migliori difese contro gli abusi del governo di cui godono gli americani, e dovremmo difenderlo con forza», scrive Manjoo. «Ricordatevi: ogni volta che vi viene chiesto di parlare con la polizia di un incidente in cui potreste essere coinvolti, dite solo tre parole: “Voglio un avvocato”».
Anche in Italia la polizia giudiziaria è tenuta ad avvertire la persona arrestata o fermata che ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e di rimanere in silenzio (in gergo si chiamano “gli avvisi”). I poliziotti possono mentire agli interrogati in alcuni casi limitati e circostanziati, per esempio per stimolare una confessione o una dichiarazione quando si sospetta già la colpevolezza: non possono però creare bugie complesse per portare a confessioni falsate. Al contrario di quanto accade negli Stati Uniti, i poliziotti italiani devono anche fornire informazioni sull’eventuale accusa a carico della persona fermata e informare chi non parla italiano che ha diritto di ottenere assistenza linguistica. In ogni caso, la persona interrogata può rifiutarsi di rispondere a qualsiasi domanda: l’unica cosa che è obbligata a comunicare agli agenti sono le sue generalità, in modo da poter essere identificata. In ogni caso, l’avvocato dev’essere sempre presente affinché l’interrogatorio di un indagato sia valido.