Capiamo alcune scimmie meglio di quanto pensassimo
Lo dice uno studio basato sull'interpretazione dei gesti che usano bonobo e scimpanzé per comunicare, con risultati sorprendenti
I bonobo sono tra gli animali viventi più simili agli esseri umani assieme agli scimpanzé, e come loro fanno parte della famiglia delle grandi scimmie. Gli scienziati sanno da tempo che circa il 95 per cento dei gesti usati dai bonobo per comunicare a livello non verbale sono gli stessi che usano proprio gli scimpanzé, da cui in generale differiscono sia per il comportamento che per l’aspetto fisico. Uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica PLOS Biology mostra in maniera piuttosto sorprendente che nella buona parte dei casi gli esseri umani riescono a interpretare correttamente il significato di questi gesti, anche senza sapere nulla delle due specie.
Anche se per ora non ci sono prove scientifiche concrete, le ricercatrici che si sono occupate dello studio ipotizzano che il linguaggio umano si sia evoluto proprio a partire dai gesti usati milioni di anni fa dagli antenati degli esseri umani.
Oggi la lingua degli esseri umani adulti è dominata dalla parola e corredata da una grande varietà di gesti caratteristici di ogni cultura. Anche le grandi scimmie come i bonobo (Pan paniscus) e gli scimpanzé (Pan troglodytes) hanno una vita sociale piuttosto ricca, e oltre che con i suoni comunicano gli uni con gli altri attraverso un’ottantina di gesti più o meno complessi che indicano azioni ben precise: con i suoni esprimono necessità urgenti, come quella di segnalare un predatore, mentre i gesti servono per fare richieste puntuali, collegate ad attività quotidiane specifiche.
Grazie a centinaia di ore passate a osservare il comportamento di migliaia di bonobo e scimpanzé nei loro habitat naturali, le primatologhe dell’Università di Saint Andrews (in Scozia) Kirsty Graham e Catherine Hobaiter, autrici dello studio, hanno scoperto che quando un bonobo si strofina ripetutamente il pelo sul petto sta chiedendo a un altro bonobo di aiutarlo a pulirsi; se uno scimpanzé strappa le foglie di un albero con i denti cerca un partner, mentre in generale se un adulto di queste specie solleva la gamba con il ginocchio piegato sta indicando a un cucciolo di salire sulla sua schiena per trasportarlo.
Una ricerca preliminare svolta nel 2019 da Hobaiter aveva indicato che la gran parte dei gesti usati dai bambini di età inferiore ai due anni – che si esprimono senza una conoscenza chiara di parole e gesti – era simile a quelli usati dagli scimpanzé. L’obiettivo del nuovo studio era capire qualcosa in più sull’origine di quei gesti: per farlo, Graham e Hobaiter hanno coinvolto migliaia di persone che non avevano alcuna formazione scientifica sui primati in modo da capire come venivano percepiti e interpretati i loro gesti più comuni.
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Graham e Hobaiter sono partite da venti brevi video di scimpanzé e bonobo che alzavano le braccia, si grattavano il petto o si mettevano in certe posizioni, e li hanno condivisi online. A quel punto, hanno chiesto a migliaia di volontari di scegliere tra quattro possibili risposte quella che secondo loro ne descriveva il significato, senza poter vedere cosa succedeva dopo tra gli animali. Alla fine sono state valutate le risposte di 5.656 volontari, con risultati notevoli: in più del 50 per cento dei casi avevano indovinato la soluzione corretta, riuscendo ad associare il giusto significato di ciascun gesto, con una probabilità molto maggiore rispetto a quella di tentativi fatti a caso.
Secondo le ricercatrici, il fatto che gli umani riescano a interpretare correttamente i gesti degli scimpanzé e dei bonobo potrebbe significare che la lingua umana si sia evoluta per così dire da una specie di “dizionario” di segni fatti con il corpo e in particolare con le mani. Il risultato è stato generalmente positivo anche nel caso di gesti che hanno significati ambigui (per esempio, quando uno scimpanzé scuote un ramo può voler invitare un altro esemplare a fare sesso oppure intimargli di andare via; mostrare i genitali invece è sia un invito a fare sesso, sia a socializzare).
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I motivi per cui gli esseri umani sono in grado di interpretare i gesti dei primati sono ancora tutti da capire. Secondo le ricercatrici però è possibile che gli esseri umani abbiano «mantenuto la conoscenza delle caratteristiche fondamentali di un sistema gestuale» presente nell’ultimo antenato comune che si stima visse tra i 6 e i 7 milioni di anni fa. Un’altra ipotesi è che sia i primati sia gli esseri umani abbiano sviluppato la capacità di usare il corpo come strumento di comunicazione, mentre secondo un’altra ancora sono la somiglianza delle parti del corpo tra umani e primati e le abilità cognitive simili che renderebbero più facile intuire il significato dei gesti tra specie diverse.
L’antropologa dell’Università della California di Los Angeles Erica Cartmill, che non ha partecipato allo studio, ha spiegato alla rivista Scientific American che non è chiaro se riusciamo a interpretare quelle gestualità perché siamo bravi a dedurre, o perché le specie odierne condividono un antichissimo sistema di gesti. Anche Cartmill, comunque, ritiene che i gesti abbiano avuto un ruolo importante nell’evoluzione della lingua umana, e che pertanto questo studio sia un punto di partenza per capirne di più.
Nella comunità scientifica c’è anche chi non è molto convinto della teoria secondo cui umani, bonobo e scimpanzé condividono lo stesso repertorio di gesti. Federico Rossano, professore associato di psicologia comparativa all’Università della California di San Diego, ricorda per esempio che gli umani sanno riconoscere un cane che abbaia o un leone che ruggisce come una minaccia, ma ciò non significa che abbiano in comune con loro l’abbaio o il ruggito come strumenti di comunicazione.
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