Nelle beghe tra cercatori di tartufi ci rimettono i cani
In una stagione scarsa in cui la concorrenza è stata estrema, diversi sono morti avvelenati da bocconi nascosti nel terreno
Da ottobre a oggi in Italia ci sono stati numerosi casi di avvelenamento di cani da tartufo, tanto che i giornali hanno parlato di “guerra tra i cercatori”. Non è di per sé una novità ma quest’anno, secondo diverse ricostruzioni che si basano principalmente sulle accuse circolate tra cercatori, queste beghe sarebbero diventate ancora più aspre perché i tartufi, almeno fino a dicembre, sono stati piuttosto rari, a causa della siccità persistente dei mesi scorsi. I prezzi perciò sono stati decisamente alti, e di conseguenza è stata più agguerrita ed estrema la concorrenza tra tartufai.
Gli ultimi casi di avvelenamento sono avvenuti nella zona di Camposecco, nel parco naturale dei monti Simbruini, al confine tra Lazio e Abruzzo, dove sono stati avvelenati un labrador e un lagotto. Ma casi si sono registrati nelle Langhe e nel Roero, in Piemonte, nelle Crete Senesi in Toscana, in Umbria, e in altre zone. In molti casi i cercatori di tartufi coinvolti o i rappresentanti delle associazioni hanno accusato esplicitamente i colleghi di nascondere i bocconi di cibo avvelenato per uccidere i cani di cercatori che arrivano da altre zone e che, spinti dalla scarsità di tartufi, spostano la loro attività lontano dall’area abituale.
In occasione di un avvelenamento avvenuto l’anno scorso in provincia di Cuneo, i carabinieri avevano spiegato che «l’uso di esche avvelenate è purtroppo molto ricorrente nelle aree vocate alla raccolta dei tartufi, dove soggetti senza scrupoli avvelenano i cani dei “trifulau” rivali per dispetto o per interessi economici». Secondo il corrispondente italiano del New York Times Jason Horowitz, che ha scritto di recente della questione, «i cercatori di tartufi dicono che la maggior parte di queste violenze non viene denunciata perché i proprietari dei cani non vogliono rivelare le zone dove cercano i tartufi».
Riccardo Germani, presidente dell’Assotartufai, prova invece a smentire questa ricostruzione: secondo lui non sono stati i cercatori ad avvelenare gli animali. «Per noi i cani sono come figli e nessuno di noi farebbe una cosa simile, neanche a un “concorrente”», dice. «I cercatori di tartufi adorano i cani, vivono in simbiosi con il proprio animale ma rispettano e amano anche quelli degli altri. Purtroppo gli avvelenatori sono sempre esistiti: sono persone che odiano gli animali».
Che tra i tartufai ci sia anche chi, per battere la concorrenza, utilizza metodi estremi e criminali lo sostengono molti cercatori. Stefano Scaccia, segretario di Assotartufai del Lazio, ha detto al Messaggero commentando un avvelenamento che «dietro questa vicenda c’è la guerra per il mercato del tartufo: l’uncinato può costare anche 700 euro al chilo. Qualcuno vuole che nella grande tartufaia dei Simbruini vadano pochissime persone, è assurdo».
Quest’anno tra ottobre e dicembre ci sono stati pochi tartufi, e i prezzi di conseguenza sono stati alti. Un tartufo bianco pregiato di grandi dimensioni (oltre 50 grammi) prima di Natale poteva costare oltre i 6mila euro al chilo; più di 4.200 euro per le medie dimensioni (fino a 50 grammi), e circa 3mila euro per le piccole dimensioni (fino a 20 grammi). Dopo Natale i prezzi sono crollati. A novembre, infatti, i cercatori faticavano a trovare esemplari da 30-40 grammi mentre negli ultimi giorni sono aumentate quantità e dimensioni. La qualità è inoltre eccellente, perché il freddo aiuta a farli crescere e a mantenerli buoni. La maggiore quantità di prodotti ha fatto scendere notevolmente il prezzo che è arrivato fino a 2.000-2.500 euro al chilo.
Il fatto che la stagione sia iniziata in ritardo ha spinto il Centro nazionale studi del tartufo di Alba a chiedere che vengano decise nuove norme per fare in modo che la raccolta prosegua oltre il 31 gennaio. La raccolta dei tartufi è infatti disciplinata da una serie di regole. Innanzitutto la raccolta è riservata ai tartufai abilitati che possono conseguire la licenza nella propria provincia. I periodi di raccolta sono stabiliti da regolamenti provinciali e regionali. Per il tartufo bianco pregiato la stagione va generalmente dal 15 settembre al 31 gennaio, per il nero pregiato e per il moscato dal 15 novembre al 15 marzo, per il tartufo estivo dal 1° maggio al 31 agosto, per l’uncinato dal 1° ottobre al 31 gennaio.
Non esiste una razza specifica di cane per la ricerca dei tartufi: deve avere ovviamente un olfatto molto sviluppato, cosa che hanno tutti i cani, ottima resistenza e scarsa attenzione per la selvaggina, che non deve distrarlo. La razza più utilizzata ultimamente è quella del lagotto romagnolo, facile da educare e molto legato al proprietario. Ma cani usati da tartufai sono anche labrador, pointer, bracchi, setter, beagle, cocker spaniel, jack russell terrier.
Fino al 1985, i cercatori si servivano anche di maiali, soprattutto femmine. Il tubero infatti emana un composto chimicamente simile all’androstenolo, feromone sessuale sintetizzato anche nei testicoli del maiale. Il problema era che i maiali trovavano i tartufi, ma era piuttosto difficile impedire loro di mangiarli. Dal 1985 la legge ne impedisce comunque l’uso a questo scopo visto che i maiali distruggevano i terreni sui quali avveniva la ricerca.
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Addestrare il cane alla ricerca dei tartufi non è semplice: servono mesi e molta costanza. Acquistare un cane adulto, di tre o quattro anni, già addestrato, costa da 3mila euro fino anche a 8-10mila, a seconda dell’esemplare. Quello del tartufaio sul suo cane-cercatore non è solo un investimento affettivo, ma anche economico.
I bocconi avvelenati contengono spesso lumachicidi, cioè veleno per lumache a base di un composto chimico chiamato metaldeide. Si tratta solitamente di piccoli granuli di colore azzurro-verde. Il composto agisce sul sistema nervoso centrale provocando convulsioni. I sintomi compaiono circa un’ora dopo l’ingestione. Nei bocconi avvelenati sono stati trovati anche stricnina, antigelo, topicidi. A volte, per uccidere i cani, nei bocconi di cibo sono stati inseriti chiodi e frammenti di vetro.
È questo il motivo per cui i tartufai utilizzano spesso per i propri cani museruole costituite da una rete fitta, come le maschere per gli schermidori. A volte il veleno viene infatti nascosto in cibo morbido, come formaggi molli, per superare la barriera delle normali museruole. Ad altri cani da tartufo viene invece messo un morso, simile a quello utilizzato per i cavalli, che consente loro di bere ma impedisce di ingoiare bocconi di medie o grandi dimensioni.