Chi sono ora i principali latitanti italiani
Nell'elenco dei più pericolosi ce ne sono quattro: un mafioso, un camorrista, uno 'ndranghetista e un membro dell'Anonima sequestri
Negli ultimi tre anni sono stati arrestati quattro tra i criminali latitanti italiani più ricercati, l’ultimo dei quali è stato Matteo Messina Denaro. Nell’elenco dei latitanti definiti di “massima pericolosità” e inseriti nel Programma speciale di ricerca ci sono attualmente altri quattro nomi: Attilio Cubeddu, bandito dell’Anonima sequestri sarda, Renato Cinquegranella, camorrista, Giovanni Motisi, mafioso un tempo molto vicino a Totò Riina, e Pasquale Bonavota, esponente di spicco della ’ndrangheta.
Secondo l’articolo 296 del codice di procedura penale è latitante chi “volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o a un ordine con cui si dispone la carcerazione”.
Nel 2022, secondo i dati forniti dalla polizia criminale, sono state arrestate in tutto 1.369 persone che erano ricercate: 26 in più che nel 2021. Dei latitanti arrestati 654 erano considerati “attivi”, cioè ricercati dalle autorità giudiziarie italiane; 715 erano invece “passivi”, cioè ricercati da forze di polizia straniere e arrestati dalla polizia criminale italiana. I latitanti attivi erano ricercati in 40 paesi: il 22% è stato arrestato in Romania, il 18% in Spagna, il 14% in Germania, il 12% in Francia.
Fuori dall’Unione Europea, il maggior numero di arresti è avvenuto in Albania (36 latitanti). Dei latitanti arrestati, 138 appartengono al crimine organizzato e 24 a specifiche organizzazioni mafiose (2 a Cosa Nostra, 7 alla ’ndrangheta, 9 alla camorra, 3 alle mafie pugliesi e 3 alle mafie straniere). Per quanto riguarda la ’ndrangheta, in particolare, dal 2020 esiste il progetto I-CAN (Interpol Cooperation Against ’Ndrangheta), promosso dall’Italia e dall’Interpol (Organizzazione internazionale della polizia criminale): dalla sua fondazione ha portato all’arresto di 37 ’ndranghetisti in sei paesi del mondo.
Il 24 maggio 2021 fu arrestato in Brasile Rocco Morabito, importante membro della ’ndrangheta. Originario di Africo, nella Locride, in Calabria, è stato il capo della ’ndrina – cioè del nucleo mafioso, quello che in Sicilia si chiama cosca – che porta il nome della sua famiglia. È soprannominato u tamunga perché girava a bordo di un fuoristrada tedesco di fine anni Sessanta, utilizzato anche dall’esercito della Germania Ovest, il DKW Munga. Da metà degli anni Novanta, trasferitosi al nord dalla Calabria, divenne il più importante broker italiano nel commercio della cocaina. Ricercato in tutta Italia, si trasferì in Sudamerica dove assunse il nome di Francisco Antonio Capeletto Souza, cittadino brasiliano. Fu arrestato in Uruguay nel 2017, ma evase dal carcere di Montevideo due anni dopo. Venne arrestato nuovamente in Brasile, il 24 maggio 2021, nello stato di Paraíba. Il 6 luglio 2022 è stato estradato in Italia.
Raffaele Imperiale, camorrista 49enne di Castellammare di Stabia, fu arrestato a Dubai il 4 agosto 2021. Detto Rafael Empire o Lelluccio Ferrarelle, perché da ragazzo consegnava acqua minerale, è considerato uno dei più importanti narcotrafficanti del mondo. Divenne piuttosto celebre nel 2016 quando in una sua villa a Napoli vennero scoperti, nascosti in un ripostiglio vicino alla cucina, due quadri di Van Gogh che erano stati rubati ad Amsterdam nel 2002: La Marina di Scheveningen e La Congregazione che esce dalla Chiesa Riformata di Nuenen.
Sempre nel 2016, quando fu accusato di traffico internazionale di stupefacenti, iniziò a collaborare con la giustizia da Dubai facendo recuperare parte del suo patrimonio: tredici ville a Terracina, in provincia di Latina, dieci ville a Giugliano, in provincia di Napoli, una tenuta a Pianura, sempre Napoli, e dieci auto di lusso. Grazie alla sua collaborazione venne condannato per narcotraffico a otto anni di reclusione. Dopo la sentenza continuò però a vivere a Dubai, all’hotel Burj Al Arab, sentendosi abbastanza al sicuro, non esistendo un trattato di estradizione tra Italia ed Emirati. Un accordo tra i due paesi ne ha consentito però l’arresto e, nel marzo del 2022, l’estradizione. Ora Imperiale sta collaborando con la giustizia italiana.
Nella notte tra 18 e 19 dicembre 2021 fu invece arrestato Graziano Mesina, chiamato Grazianeddu, sardo di Orgosolo. Oggi ha 81 anni ed è stato uno dei banditi italiani più conosciuti, celebre esponente dell’Anonima sequestri, l’organizzazione sarda responsabile di numerosi rapimenti tra anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Condannato all’ergastolo, è evaso numerose volte. Nel 2003 gli venne concessa la grazia, revocata 13 anni più tardi in seguito a un arresto per traffico di droga. Nel 2019 venne scarcerato per decorrenza dei termini. Quando la Corte di Cassazione ordinò un nuovo arresto, Mesina era irreperibile. Fu definitivamente arrestato a Desulo, in provincia di Nuoro. Ora è nel carcere di Opera, vicino a Milano.
Restano, come detto, quattro ora i latitanti considerati dalla direzione centrale della polizia criminale “di massima pericolosità”. Tra loro c’è Attilio Cubeddu, sardo di Arzana, in provincia di Nuoro, come Graziano Mesina esponente importante dell’Anonima sequestri. Partecipò nei primi anni Ottanta ad alcuni celebri rapimenti come quello di Cesare Peruzzi in Toscana e di Ludovica Rangoni Machiavelli e di Patrizia Bauer in Emilia-Romagna. Venne arrestato nel 1984 a Riccione: 13 anni più tardi ottenne un permesso premio per uscire dal carcere di Badu ’e Carros, a Nuoro, e fuggì dando inizio alla sua latitanza.
In contumacia, è stato condannato per il sequestro di Giuseppe Soffiantini, imprenditore di Manerbio (Brescia), rapito il 17 giugno 1997 e rilasciato dopo 237 giorni di prigionia e dopo il pagamento di circa 5 miliardi di lire. Inizialmente Soffiantini venne rapito da altri banditi sardi ma poi venne ceduto a Cubeddu e Giovanni Farina, altro celebre bandito sardo, arrestato nel 1998 in Australia. Secondo un’ipotesi mai confermata, Cubeddu potrebbe essere morto, ucciso proprio da Giovanni Farina durante la spartizione del riscatto Soffiantini. Secondo un’altra teoria, Cubeddu è invece ancora latitante in Sardegna e avrebbe avuto un ruolo, anche se non è mai stato incriminato, nel rapimento di Silvia Melis, sequestrata a Tortolì, in Ogliastra, il 9 febbraio 1997 e rilasciata 265 giorni dopo.
Altro latitante nella lista dei ricercati di massima pericolosità è il camorrista Renato Cinquegranella, 72 anni, in fuga da 19. Cinquegranella era un affiliato della Nuova Famiglia, la “federazione” di clan camorristici che negli anni Ottanta combatté una feroce guerra contro la Nuova camorra organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo per il controllo delle attività criminali a Napoli. A lui viene attribuita la responsabilità di uno dei più efferati e simbolici omicidi avvenuti durante quegli scontri: quello di Giacomo Frattini, detto bambulella, affiliato della Nco.
Secondo la testimonianza di alcuni pentiti fu Cinquegranella a far trovare il cadavere di Frattini nel bagagliaio di un’auto dopo avergli tagliato la testa, le mani ed estratto il cuore lasciati in un sacchetto di plastica all’interno dell’auto. Frattini venne ucciso dalla Nuova Famiglia perché fu uno degli autori della strage di Poggioreale, il carcere di Napoli, avvenuta la sera del 23 novembre del 1980. Quel giorno, alle 19:34, un terremoto colpì la Campania e la Basilicata. L’epicentro fu in Irpinia ma anche a Napoli le scosse causarono distruzione e morti. Subito dopo il terremoto, tutte le celle del carcere vennero aperte: si trovarono così di fronte detenuti della Nuova famiglia e della Nuova camorra organizzata. Scoppiarono violentissimi scontri che si conclusero con la morte di tre detenuti: Michele Casillo, Antonio Palmieri e Giuseppe Clemente, tutti appartenenti alla Nuova famiglia.
Cinquegranella è stato accusato anche di aver avuto un ruolo nell’assassinio di Antonio Ammaturo, il poliziotto ucciso a Napoli il 15 luglio 1982 dalle Brigate Rosse: secondo la tesi della procura che indagò sull’omicidio, sarebbe stato lui a fornire supporto logistico al gruppo di terroristi colpevoli dell’agguato.
Cinquegranella è ricercato dal 6 ottobre 2002 per associazione per delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione. Dal 2018 le ricerche sono state estese a livello internazionale.
Di Giovanni Motisi, palermitano di 63 anni detto u’ pacchiuni per la stazza (in dialetto significa grassoccio), si è molto parlato negli ultimi giorni come possibile nuovo capo di Cosa Nostra in Sicilia dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro. Come ha spiegato il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, da tempo la mafia siciliana non ha però un capo unico. Non lo era, secondo il procuratore capo, nemmeno Messina Denaro che ricopriva un ruolo molto importante nella sua zona, il trapanese. Da dopo l’arresto di Totò Riina, avvenuto nel 1993, la commissione di Cosa Nostra non si riunisce più, seppure formalmente esistente.
Motisi non è quindi il capo di Cosa Nostra, ma è sicuramente un esponente mafioso molto importante, capo del mandamento (la zona di influenza di tre famiglie collegate) Pagliarelli, nell’omonimo quartiere di Palermo. È ricercato dal 1998 per omicidio, associazione mafiosa e strage. Dal dicembre del 1999 sono state diramate le ricerche anche in campo internazionale. Motisi è stato uno degli uomini più vicini a Totò Riina. Esecutore di diversi omicidi, secondo gli investigatori fu uno degli organizzatori dell’omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. L’ultima immagine che si ha di lui risale al 1999, quando partecipò al compleanno della figlia. Da allora non si hanno più sue notizie.
L’ultimo dei quattro maggiori ricercati italiani è Pasquale Bonavota, 49 anni, nato a Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia. Fa parte della ’ndrangheta e più precisamente del clan dei Bonavota, da sempre in guerra con la famiglia dei Petrolo-Bartolotta del paese di Stefanaconi, che negli anni Novanta sui giornali era chiamata la Corleone della Calabria. Il 6 gennaio 1991 un gruppo della famiglia Petrolo-Bartolotta sparò con pistole e kalashnikov nella piazza di Sant’Onofrio uccidendo due persone e ferendone undici. È ricordata come la strage dell’Epifania.
Pasquale Bonavota è cresciuto quindi in una famiglia impegnata a vendicare quell’attacco subito nel proprio territorio. Divenuto presto un capo all’interno della sua famiglia viene descritto da Marisa Manzini, sostituta procuratrice generale presso la procura di Catanzaro, come «una persona che assommava le due facce criminali: da una parte quella di ’ndranghetista vecchia maniera, cresciuto all’interno di un clan che ha fatto della dinamica violenta il leitmotiv della propria vita, dall’altra quella del rampollo intenzionato a estendere la propria presenza al di fuori dei limiti territoriali del suo comune».
Bonavota ha investito a Roma ingenti capitali per acquistare attività commerciali diventate nel tempo, secondo Manzini, «vere piazze di spaccio». È ricercato dal 2018 per associazione di tipo mafioso e omicidio aggravato in concorso.
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