I cinque russi scappati dalla leva che vivono da mesi in un aeroporto in Corea del Sud
Volevano evitare di essere arruolati per la guerra in Ucraina e ora sono fermi a Incheon, dove stanno cercando di ottenere asilo
Da quando, alla fine dello scorso settembre, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato una “mobilitazione parziale” per inviare circa 300mila riservisti a combattere in Ucraina, moltissimi uomini russi hanno lasciato la Russia per evitare di essere arruolati. Tra questi ce ne sono cinque che sono bloccati da mesi all’aeroporto di Incheon, in Corea del Sud, dove hanno provato a chiedere asilo, finora senza successo. La loro storia era stata raccontata per la prima volta una decina di giorni fa dal giornale sudcoreano Korea Times per poi essere ripresa da altri media internazionali.
Uno dei russi bloccati all’aeroporto di Incheon è Vladimir Maraktayev, uno studente di linguistica di 23 anni originario di Ulan-Ude, nel sud della Siberia, e vive nell’aeroporto sudcoreano da ormai più di due mesi.
Maraktayev ha raccontato al Korea Times di essere scappato dalla Russia la notte del 24 settembre, poche ore dopo aver ricevuto l’avviso per l’arruolamento: prima era fuggito in Mongolia con altri uomini della sua città, e poi aveva preso un volo da Ulan Bator per Manila, la capitale delle Filippine, dove era rimasto alcune settimane. Da lì si era imbarcato per Incheon, arrivandoci il 12 novembre. In Corea del Sud tuttavia il ministero della Giustizia aveva respinto la sua richiesta di asilo sulla base del fatto che scappare dall’arruolamento non era una ragione valida per ottenerlo. Dopo sei giorni in un centro di detenzione, era stato riportato in aeroporto, dove ora è bloccato: avendo fatto appello, infatti, per la legge sudcoreana non può entrare nel paese né essere espulso se non dopo la sentenza del tribunale.
Assieme a Maraktayev nell’aeroporto di Incheon sono bloccati altri quattro russi. Tra di loro ci sono un uomo sui trent’anni che viene dalla città siberiana di Krasnojarsk e ha chiesto di essere identificato solo con il nome di Andrey e Dzhashar Khubiev, un ex calciatore di 31 anni di Nal’čik, che si trova vicino al confine con la Georgia. Andrey in particolare vive nell’aeroporto da oltre tre mesi: ci arrivò lo scorso 14 ottobre, dopo essere scappato in Kazakistan col treno. Tutti quanti avevano fatto richiesta di asilo e ora attendono l’esito dell’appello.
I cinque russi vivono in una piccola stanza nell’area delle partenze dell’aeroporto. Dormono su varie coperte accatastate le une sulle altre sopra una sezione rialzata del pavimento; riescono a farsi la doccia, sebbene l’acqua calda sia limitata, e lavano i loro vestiti a mano. «La mia vita è un po’ come quella di Ricomincio da capo», dice Maraktayev, facendo riferimento al famoso film con Bill Murray in cui tutte le sue giornate cominciavano inevitabilmente allo stesso modo giorno dopo giorno. Fa qualche passeggiata nell’aeroporto, legge e studia coreano, e per il resto non fa nulla; ha pochissimi soldi, visto che nella maggior parte dei paesi esteri le carte di credito russe non funzionano a causa delle sanzioni imposte a livello internazionale alla Russia.
Al cibo comunque provvede il ministero della Giustizia sudcoreano, che fornisce ogni giorno un muffin con succo di frutta per colazione, riso con pollo per pranzo e qualcosa per cena.
Parlando con il Korea Times, Andrey ha detto di non aver avuto altra scelta dopo aver ricevuto la notifica dell’arruolamento. Aveva partecipato a varie proteste contro il governo russo, era stato arrestato e picchiato durante un interrogatorio di varie ore e a causa delle ferite subite a naso e mento dovette essere operato. Sapeva insomma che sarebbe stato mandato a combattere perché era «sulla lista nera» del governo, dice. Khubiev invece spiega che tecnicamente lui non era nemmeno arruolabile, ma a novembre alcuni soldati erano andati a casa sua e lo avevano obbligato a firmare un documento che diceva che qualora non si fosse arruolato sarebbe stato considerato un disertore.
Maraktayev ha chiarito di non vedere nulla di cui vergognarsi nella scelta di difendere il proprio paese, e ha detto che lo farebbe anche lui se i suoi cari fossero in pericolo. «Ma è tutta un’altra storia quando l’aggressore è il mio stesso paese. Non prenderò mai le armi per uccidere gente innocente in Ucraina», ha osservato.
Ci si aspetta che il tribunale sudcoreano che sta esaminando l’appello dei cinque uomini russi emetta una sentenza entro la fine del mese, ha fatto sapere un loro avvocato. Se il tribunale darà ragione a loro, potranno ottenere un visto che gli permetterà di stare in Corea del Sud fino a quando sarà completata la revisione della domanda di asilo. Diversamente, verranno espulsi e rimpatriati in Russia.
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