Come si è arrivati alla penalizzazione della Juventus
Perché è stata punita solo una squadra su nove accusate, come si difende la Juventus e cosa succederà adesso
Venerdì la Juventus è stata penalizzata di 15 punti in campionato come effetto della nuova inchiesta della procura della Federcalcio (FIGC) sulle plusvalenze false. Oltre alla pesante penalizzazione in classifica, che ha portato la squadra dalla terza alla decima posizione, una decina tra suoi dirigenti, ex dirigenti ed ex consiglieri non potranno ricoprire incarichi in ambito calcistico da un minimo di otto mesi a un massimo di trenta.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro dieci giorni circa, quindi non si sa ancora come la corte incaricata della FIGC sia arrivata a queste conclusioni. La stessa Juventus ha fatto sapere che attenderà di conoscere le motivazioni prima di presentare ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, ossia l’ultimo grado della giustizia sportiva italiana, che potrà solo confermare o annullare la sentenza.
Questa fase interlocutoria dopo una sentenza così pesante lascia quindi molte domande senza risposta, almeno temporaneamente.
A giudicare la Juventus è stata la Corte d’Appello della FIGC, ossia il secondo grado della giustizia sportiva. Nel farlo ha prima ammesso la richiesta di revoca del suo precedente pronunciamento sullo stesso caso: lo scorso maggio aveva infatti già prosciolto la Juventus e le altre otto squadre coinvolte per l’insussistenza delle accuse presentate dalla procura federale. Ma quali erano queste accuse?
Nel 2021 la procura federale aveva ricevuto dalla Covisoc, la commissione di controllo economico-finanziario del calcio, una segnalazione su 62 operazioni di mercato ritenute sospette in quanto identificabili come plusvalenze false, ossia scambi sistematici di giocatori a prezzi ritenuti non congrui al loro valore fatti per sistemare artificiosamente i bilanci delle squadre coinvolte.
In 42 di queste operazioni segnalate era coinvolta la Juventus, e questo aveva spinto la procura federale a indagare. Venne fuori che nelle operazioni ritenute sospette rientravano sia scambi di giocatori di livello internazionale con squadre estere, sia di giocatori semisconosciuti, con valori piuttosto alti, conclusi con le stesse otto squadre, quelle poi coinvolte nell’inchiesta: Genoa, Sampdoria, Empoli, Parma, Pisa, Pescara, Pro Vercelli e Novara.
Le inchieste avevano poi portato al processo dello scorso maggio, ma in quel caso le richieste della procura federale non erano state accolte. La Corte d’Appello si era trovata infatti davanti all’impossibilità di stabilire in modo univoco il valore di un calciatore, quindi la sua eventuale contabilizzazione con una valutazione eccessiva e di conseguenza la presenza o meno di irregolarità nei bilanci.
Negli anni precedenti proprio queste difficoltà di giudizio avevano consentito la proliferazione delle plusvalenze false, che quindi erano diventate uno strumento comune a disposizione dei club, anche se dai benefici puramente contabili: non rendono infatti una società effettivamente più ricca, ma servono a mascherarne le perdite e quindi a migliorarne all’apparenza la salute finanziaria, con tutti i benefici che ne possono conseguire.
L’ostacolo principale per la giustizia sportiva era, ed è ancora, la soggettività di queste operazioni. In mancanza di clausole specifiche, il valore di un calciatore viene infatti stabilito da venditori e acquirenti: nessun altro può stabilire se il prezzo di vendita sia giusto, come non si può escludere che una valutazione eccessiva sia in realtà un errore di mercato, come nel calcio se ne vedono spesso.
A complicare la situazione della Juventus, tuttavia, sono subentrati fattori esterni.
A fine 2021 la procura di Torino — quindi la giustizia ordinaria — iniziò a indagare la società per falso in bilancio e false fatturazioni dopo essere entrata in possesso di elementi, tra cui documenti societari e intercettazioni tra dirigenti, che potevano evidenziare l’intenzionalità di queste manipolazioni finanziarie.
Negli ultimi mesi alcuni di questi elementi sono parzialmente trapelati. Nelle intercettazioni, per esempio, gli stessi dirigenti della Juventus commentavano la critica situazione economica del club. In una di queste, riportata dalla Gazzetta dello Sport, l’allora presidente Andrea Agnelli diceva al cugino John Elkann, proprietario della Juventus tramite Exor: «Facendo eccessivo ricorso allo strumento delle plusvalenze ti crolla il mercato. Questo è un dato di fatto». In altre, più esplicite, certi dirigenti paragonavano le inchieste in corso a quella di Calciopoli, parlavano di «supercazzolare» chi stava indagando e dicevano di poter organizzare le operazioni anche per le controparti, ovvero i club più piccoli tra quelli coinvolti (alcuni dei quali, come il Novara, nel frattempo sono anche falliti).
Questi elementi sono stati ritenuti molto rilevanti dalla procura, tanto che ha ripreso le proprie indagini fino ad arrivare a questo venerdì, giorno in cui ha chiesto la riapertura del processo avanzando nuove richieste: 9 punti di penalizzazione per la Juventus, inibizioni per i suoi dirigenti e sanzioni economiche fino a 360mila euro per le altre squadre coinvolte.
La Juventus, dal canto suo, giudicava questo ricorso inammissibile perché non riconosceva la validità di nuovi elementi per una riapertura del processo, affidandosi inoltre al principio giuridico per cui in Italia non si può essere perseguiti nuovamente per un reato per il quale si è già stati giudicati.
Nella serata di venerdì, infine, la Corte d’Appello non solo ha accolto le richieste della procura federale, ma ha disposto 6 punti di penalizzazione in più rispetto ai 9 richiesti dopo aver accertato la validità dei nuovi elementi emersi. Parallelamente ha però respinto le richieste di sanzioni per le altre società coinvolte, presumibilmente non avendo a disposizione nuovi elementi che le coinvolgevano direttamente rispetto a quelli esaminati a maggio.
Per definire tutti i dettagli del caso — soprattutto quest’ultimo — si dovranno attendere le motivazioni della sentenza. A prescindere dal probabile ricorso al Collegio di garanzia del CONI, tuttavia, la nuova dirigenza della Juventus dovrà difendersi ancora su molti fronti, sempre per presunte irregolarità nei bilanci.
A fine gennaio la FIGC dovrà esprimersi sulle cosiddette “manovre stipendi” con cui la società avrebbe stipulato degli accordi privati con alcuni suoi calciatori per la restituzione di un totale di 67 milioni di euro di stipendi apparentemente tagliati in precedenza, di comune accordo con i giocatori, durante la pandemia. Queste restituzioni però non risulterebbero nei bilanci societari.
Il 27 marzo ci sarà poi l’udienza preliminare della giustizia ordinaria che dovrà stabilire se la società e dodici indagati tra dirigenti ed ex dirigenti dovranno andare a processo per falso in bilancio, manipolazione del mercato, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di pubblica vigilanza e dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.
Nel frattempo, anche la UEFA — l’organizzazione che governa il calcio europeo — sta indagando sulla Juventus per possibili violazioni del Fair play finanziario, cioè l’insieme di regole sul pareggio di bilancio a cui sono sottoposte le squadre europee.