In economia il Giappone sta facendo le cose al contrario
Mentre tutto il mondo cerca di rallentare l'inflazione, il Giappone prende decisioni eccezionali e controcorrente, assumendosi molti rischi
Negli ultimi mesi, mentre le banche centrali occidentali alzavano i tassi di interesse per fermare l’aumento dell’inflazione e il surriscaldamento dell’economia, quella del Giappone faceva l’opposto e decideva di tenerli a livelli bassissimi, vicini allo zero, portando avanti così un tipo di politica monetaria che nel resto del mondo è stata abbandonata. Questa mossa è stata resa possibile da alcune particolarità dell’economia del Giappone, ma le cose potrebbero cambiare e molti analisti sono convinti che presto il paese dovrà adeguarsi.
L’economia del Giappone per molti versi è simile a quella dell’Italia. Ha il debito pubblico più alto del mondo, vicino al 240 per cento del PIL, e negli ultimi 25 anni, insieme a Grecia e Italia, è tra i tre paesi con il più basso tasso di crescita del reddito pro capite di tutti i paesi avanzati. Le cause di questa bassa crescita sono strutturali: la popolazione è piuttosto invecchiata e questo ha comportato una riduzione della forza lavoro; il che ha avuto pessime conseguenze in termini di innovazione e produttività, ossia i due ingredienti principali della crescita.
Per questo, da molti anni i governi e la banca centrale giapponese cercano di stimolare un’economia che è asfittica e non cresce più. I governi stanno cercando di farlo con riforme, sussidi, incentivi; la banca centrale invece mantenendo artificialmente bassi e intorno allo zero i tassi di interesse, ossia il prezzo a cui le banche prestano il denaro. Bassi tassi di interesse invogliano a prendere a prestito denaro per comprare cose o investire. Per esempio, le persone comprano più case, così si assumono più operai per costruirle o ristrutturarle, e questi a loro volta spenderanno e l’economia cresce.
Negli ultimi vent’anni, di fatto, le autorità economiche e monetarie hanno cercato attivamente di creare inflazione nel paese (entro il limite del 2 per cento), perché sarebbe stata un segno che l’economia aveva ripreso a crescere.
Fino a un paio d’anni fa, questa politica di stimolo dell’economia giapponese era stata più o meno allineata a quelle dei paesi occidentali, anche se con certe differenze e con molta più cautela da parte dell’Occidente. Anche negli Stati Uniti e in Europa, fino a un paio di anni fa, i tassi d’interesse erano eccezionalmente bassi, e i governi attuavano politiche di stimolo. Poi le cose hanno cominciato a cambiare.
Dalla fine del 2021 in tutto il mondo i prezzi hanno cominciato ad aumentare notevolmente, prima per tutte le conseguenze della pandemia e poi per i rincari dell’energia dovuti alla guerra in Ucraina. La lotta all’inflazione è diventata centrale per le banche centrali, che hanno iniziato ad aumentare i tassi di interesse di riferimento con l’obiettivo di limitare l’aumento dei prezzi.
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Anche in Giappone l’inflazione è tornata a crescere, ma molto meno che in Occidente. L’inflazione di fondo, ossia quella al netto delle fluttuazioni temporanee dei prezzi di energia e cibo, ha raggiunto il 3,7 per cento: è il valore più alto da quarant’anni. Ma è molto più bassa in confronto al 5,7 per cento degli Stati Uniti e al 6,9 per cento dell’Eurozona, ossia l’area dei paesi che adottano l’euro.
La ragione di questa differenza è che l’economia giapponese non si è mai davvero surriscaldata come quelle occidentali. L’economia del paese continua ad avere una crescita bassissima e questo non ha innescato quei meccanismi che hanno invece portato l’inflazione in tutto l’Occidente. In più, mentre negli Stati Uniti e nell’Eurozona l’aumento dei prezzi è stato trascinato da un’economia in surriscaldamento e dai rincari dell’energia, in Giappone ci sono state dinamiche molto diverse.
Il principale motivo per cui sono aumentati i prezzi deriva dalla grande debolezza dello yen, la moneta giapponese, che nel giro di un anno ha perso circa un terzo del suo valore rispetto al dollaro, la valuta di riferimento a livello mondiale, e si è indebolita molto anche rispetto all’euro. E questo proprio a causa della differenza nella gestione delle politiche monetarie: negli Stati Uniti e nell’Eurozona da mesi le banche centrali hanno aumentato vigorosamente i tassi di interesse, rendendo così gli investimenti finanziari mediamente più profittevoli, perché investire lì garantisce tassi di interesse più alti. I titoli americani ed europei si comprano in dollari ed euro, e questo significa che gli investitori comprano dollari ed euro sui mercati, vendendo invece gli yen, che perdono di valore.
La debolezza dello yen rende le importazioni relativamente più costose: ci vorranno più yen per comprare merci americane o europee e questo ha tirato su il livello generale dei prezzi.
Per questo, la banca centrale giapponese ha deciso di non seguire la strada di tutte le banche centrali occidentali, e finora ha mantenuto i tassi a zero, perché l’aumento dell’inflazione a cui si sta assistendo in Giappone non è dovuto a un vero surriscaldamento dell’economia, che rimane stagnante, ma a cause di fatto esterne.
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Tuttavia l’aumento dell’inflazione e l’indebolimento dello yen, anche se non sono dovuti a una crescita, stanno diventando sempre più preoccupanti. Molti analisti sono concordi nel dire che prima o poi il Giappone dovrà trovare il modo di agganciarsi e adeguarsi alle politiche occidentali.
C’è già stato un segnale: a dicembre la banca centrale giapponese ha allentato il suo impegno di tenere i tassi a zero, consentendo una piccola fluttuazione entro lo 0,5 per cento. Questo a suo tempo ha destabilizzato moltissimo i mercati, che hanno visto in questa mossa una decisione a metà e poco chiara, anche se successivamente il governatore della banca centrale Haruhiko Kuroda ha sostenuto di non voler in alcun modo aumentare i tassi di interesse.
Il problema per il Giappone è che sia lasciare i tassi a zero come sono attualmente sia aumentarli potrebbe avere effetti molto gravi sull’economia. Non toccare i tassi rischierebbe di far correre troppo l’inflazione, cosa che provocherebbe gravi danni a famiglie e imprese: i prezzi aumenterebbero senza nemmeno i vantaggi di un’economia che cresce e di salari che aumentano. Aumentare i tassi sarebbe altrettanto pericoloso perché l’economia giapponese è ormai dipendente da tassi bassissimi. Famiglie e imprese sono abituate a un basso costo del denaro, e per esempio i mutui a tasso variabile sono estremamente comuni. Se i tassi aumentassero, sarebbe un serio problema per una parte consistente della popolazione, ed è molto probabile che il Giappone finirebbe in recessione.