C’è un nuovo regolamento su come le piattaforme debbano pagare i giornali italiani
Servirà a favorire accordi tra le società come Google e Facebook e gli editori, ma ci vorrà ancora del tempo
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha approvato un nuovo regolamento che fornisce le istruzioni su come debbano avvenire gli accordi attraverso i quali le grandi piattaforme online, come Google e Facebook, dovrebbero pagare agli editori dei giornali i diritti d’autore sui loro articoli. Accordi di questo genere sono necessari per rispettare la direttiva sul copyright, una legge approvata nel 2019 dal Parlamento Europeo che prevede appunto l’obbligo per le piattaforme digitali, in alcuni casi specifici, di pagare gli editori dei giornali, dal momento che usano abitualmente parte dei loro articoli per generare traffico e quindi per fare profitti.
In Europa esistono già diversi accordi di questo genere tra alcuni paesi e piattaforme come Google e Facebook: l’Italia invece aveva già recepito la direttiva sul copyright con un decreto legislativo alla fine del 2021, e proprio attraverso il decreto aveva dato mandato all’Agcom di stabilire come debbano avvenire questi accordi. Il regolamento era perciò piuttosto atteso, soprattutto dagli editori dei giornali italiani, che accoglierebbero volentieri una redistribuzione dei profitti con le piattaforme online, visto il periodo di grandi difficoltà e crisi per il settore.
Si tratta comunque solo di un passaggio preliminare, e per arrivare a vedere piattaforme che pagano i giornali per i loro articoli ci vorranno verosimilmente ancora molti mesi di trattative, come d’altra parte è già successo in altri paesi.
Il regolamento dell’Agcom elenca i criteri da applicare per stabilire l’entità del compenso che le piattaforme dovranno eventualmente pagare ai giornali (alcune erano già state menzionate nel decreto legislativo), mettendole in ordine di importanza: numero di consultazioni online degli articoli; rilevanza dell’editore sul mercato (da stabilire sempre attraverso le visite sul sito); numero di giornalisti regolarmente assunti; costi sostenuti sia dall’editore che dalla piattaforma per gli investimenti tecnologici e infrastrutturali necessari alla diffusione dei contenuti; adesione da parte di entrambi a codici di autoregolamentazione, come per esempio i codici deontologici giornalistici, e a standard internazionali sulla qualità dell’informazione; anni di attività dell’editore.
Il regolamento però non chiarisce del tutto quanti soldi andranno effettivamente agli editori da parte delle piattaforme, ma parla di una quota «fino al 70 per cento», da decidere nelle contrattazioni in base ai criteri elencati. La base su cui calcolare la percentuale invece sono i ricavi pubblicitari che la piattaforma online (come potrebbe essere Google) ottiene grazie agli articoli dell’editore in questione.
Il regolamento stabilisce anche che se un editore e una piattaforma non riusciranno a mettersi d’accordo entro 30 giorni dall’inizio delle negoziazioni, potrà intervenire l’Agcom per stabilire (entro 60 giorni) quale sia l’equo compenso, a meno che le due parti non entrino in una causa legale per risolvere la disputa. Il regolamento si applica anche alle società cosiddette di “media monitoring” e rassegne stampa: cioè quelle che raccolgono articoli su un certo argomento per fornirli ad alcuni clienti, e che finora potevano farlo senza pagare niente agli editori. In questo caso però non viene indicata una quota, come quella del 70 per cento stabilita per le piattaforme online.