Perché si parla tanto di intercettazioni
Il ministro della Giustizia vorrebbe riformarle escludendone l'utilizzo per i reati minori, ma un bel pezzo di magistratura non è d'accordo
Da quando lunedì è stato arrestato il boss mafioso Matteo Messina Denaro, latitante da trent’anni, il dibattito politico e pubblico non si è concentrato soltanto su come è avvenuta la cattura e come sono state condotte le indagini, ma anche su altre questioni più laterali riguardanti la giustizia. In particolare alcune iniziative del governo di Giorgia Meloni, come il decreto-legge sull’ergastolo ostativo e gli annunci riguardo alla volontà di riformare le intercettazioni, sono state rivalutate e commentate alla luce della cattura di Messina Denaro, in alcuni casi pretestuosamente e in altri no.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, aveva fatto sapere di voler intervenire sulle intercettazioni già più di un mese fa, intervenendo alla commissione Giustizia del Senato. La questione riguarda sia le leggi che stabiliscono quando e come possono essere usate nelle indagini, sia il noto fenomeno della loro diffusione non autorizzata sulla stampa. Nordio aveva detto di volere «una profonda revisione» delle norme sulle intercettazioni perché «la loro diffusione, talvolta selezionata e magari pilotata, costituisce uno strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica». Aveva anche detto che da mezzo di ricerca della prova sono diventate «uno strumento di prova», e si era lamentato del fatto che tra le altre cose costerebbero «centinaia di milioni di euro l’anno».
Vari magistrati si erano detti contrari a questa e ad altre riforme annunciate da Nordio, come quella del reato di abuso d’ufficio. E poco dopo l’arresto di Messina Denaro il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, ha detto: «Senza intercettazioni non si possono fare le indagini di mafia. Sono uno strumento indispensabile e irrinunciabile nel contrasto alla criminalità organizzata e alla mafia». La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha poi precisato che l’eventuale riforma delle intercettazioni non riguarderebbe le indagini sui reati di mafia: «Le intercettazioni per come sono utilizzate per i procedimenti di mafia sono fondamentali. Uno strumento di indagine di cui non si può fare a meno. Per questo genere di reati nessuno le ha mai messe in discussione».
Anche lo stesso Nordio ha ribadito questo punto, mercoledì, mentre presentava la sua relazione annuale sullo stato della giustizia italiana in Senato. Nordio ha detto che le intercettazioni «per reati gravissimi» di mafia e terrorismo resteranno, ma che non sarà più possibile farle per i reati minori: «Non vacilleremo, non esiteremo, la rivoluzione copernicana su questa forma di abuso delle intercettazioni che fa finire sui giornali conversazioni di persone totalmente estranee alle indagini, magari selezionate e manipolate, è un punto fermo del nostro programma».
Le intercettazioni di cui si parla non sono solo quelle telefoniche, ma anche quelle “ambientali” e “direzionali”, cioè fatte con microspie o con particolari microfoni. Esistono anche le intercettazioni “telematiche”, cioè fatte attraverso l’acquisizione di dati in rete, e quelle fatte con un “trojan”, cioè un virus installato in genere su uno smartphone e in grado di introdursi praticamente in ogni sua parte, azionando il microfono per registrare, scattando foto, registrando video e acquisendo immagini delle schermate. L’utilizzo di questo virus, che non lascia traccia mentre lavora, è già limitato alle indagini per reati molto gravi.
Nel codice di procedura penale le intercettazioni vengono definite come un mezzo per ricercare la prova, ma non si descrive con precisione cosa siano. Secondo una sentenza della Cassazione, invece, l’intercettazione «consiste nell’apprensione in tempo reale del contenuto di una comunicazione in corso». L’opinione di Nordio secondo cui in Italia vengano utilizzate troppo spesso, e troppo spesso finiscano sui giornali per via di rapporti opachi tra giornalisti e procure, è molto diffusa e viene spesso esposta da chi vorrebbe riformare alcuni funzionamenti della giustizia in senso più garantista. La politica ha già tentato più volte di cambiare le regole sull’uso delle intercettazioni, senza riuscire a trovare un punto di equilibrio tra efficacia delle indagini e tutela delle persone indagate.
La critica principale fatta dai magistrati alla riforma voluta da Nordio è che a volte le intercettazioni vengano utilizzate in indagini per reati minori che poi, grazie alle scoperte fatte, conducono a piste più grosse e magari ad arresti per mafia. Perciò privarsi della possibilità di intercettare persone indagate per reati minori potrebbe inficiare, a cascata, anche le indagini per reati più gravi.
È quanto sostiene per esempio il sostituto procuratore antimafia, Antonello Ardituro. Parlando a un convegno dell’Università LUMSA, a Roma, ha detto: «Le intercettazioni sono uno strumento investigativo che va utilizzato a trecentosessanta gradi. Oggi confinare le intercettazioni solo ai reati di mafia e di terrorismo significa lasciar cadere tutto un pezzo della repressione criminale che è una parte interna e intima della criminalità organizzata di tipo mafioso».
Ha detto più o meno la stessa cosa anche il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, che in un’intervista a Repubblica ha commentato che «sarebbe un danno serio» escludere le intercettazioni per le indagini sulla corruzione, ad esempio: «Una parte non secondaria delle conoscenze che costruiamo quotidianamente sulle mafie nascono da indagini su più rilevanti fenomeni di corruzione e di frode fiscale».
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